Capitolo 16

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Mi sentivo svuotata. Avevo sempre pensato che sarei riuscita ad ottenere la mia vendetta contro il consiglio, ma a quanto pare non era possibile.
"Se non si possono uccidere... Allora a qual'è il nostro scopo?! A cosa serve un cacciatore di demoni? Io non capisco, mia mamma mi aveva raccontato che molto tempo fa noi eravamo in grado di ucciderli..." dissi con voce rotta.
Miguel sorrise, come un adulto sorride ad un bambino ingenuo che ha appena fatto una domanda sciocca senza rendersene conto.

"Bene Rebeca, mi sembri una ragazza sveglia. Allora rigiro la domanda a te. Tu credi davvero che degli esseri creati da Dio, che una volta erano angeli, destinati a vivere su questa terra ed a regnare negli inferi fino alla fine dei tempi, possano davvero essere uccisi, da dei mortali sopratutto?".

No. Angeli e demoni era stati creati dalla stessa sostanza divina, seppure la mente degli angeli non era stata corrotta.
Abbassai lo sguardo e lui capii che mi ero data una risposta.
"Perché mia mamma mi ha raccontato una bugia allora?" chiesi supplichevole, come se lui potesse rispondermi. Ma cosa ne poteva sapere lui del motivo per il quale mia madre mi aveva mentito? Nulla assolutamente nulla, ma a quel punto avrei accettato qualsiasi spiegazione e lui sembrava l'unico in grado di darmene.
"Ah ah ah, avevo detto una domanda sola. Hai perso bambina" mi disse alzandosi e dirigendosi verso la finestra.
"Andiamo, torniamo alla festa".
No, non volevo tornare.
"La prego, la prego! Io... io ho bisogno di spiegazioni!" mi scostai leggermente l'abito dalla spalla sinistra
"Prenda tutto il sangue che vuole, ma la prego continui a rispondere alle mie domande".
Vidi gli occhi del demone diventare rossi, ma questa volta non gli spuntarono i canini. Si avvicinò e prese il mio volto tra le mani.
"Mi dispiace, ma la proposta non è cosí allettante. I tuoi occhi sono viola, segno che il sangue di demone scorre ancora nelle tue vene, corrompendo il tuo sangue e il suo...sapore".

Mi lasció il volto e uscí sul balcone, io lo seguii. Prima che rientrasse nella sala lo fermai, tirando leggermente la giacca.
"La prego, faró qualsiasi cosa, se lei mi darà delle risposte".
"Ragazzina, abbiamo ancora molto, molto tempo davanti a noi. Non affrettare le cose...oltretutto ti consiglio di aspettare ancora un po' prima di entrare, i tuoi occhi non hanno ancora riacquistato il giusto colore". Dopo aver detto quelle parole, il demone rientró nella sala, tornando alla festa. Io rimasi sul balcone a pensare al da farsi ed a quello che avevo appreso quella sera.

Non potevo uccidere i demoni. Miguel non mi avrebbe detto nulla, se non con i suoi termini ed i suoi tempi.
Sostanzialmente non potevo fare nulla, se non sottostare alla sua volontà.

Alcune volte pensavo sarebbe stato meglio dimenticare tutto, la vendetta ed il mio passato, ed andare avanti con la mia vita. Tuttavia ero quasi certa del fatto che la mia condizione non me lo avrebbe permesso. Per quanto non lo volessi, ero legata ai demoni e loro erano legati a me, ed ero conscia che questo legame di sangue non mi avrebbe permesso una vita normale.

Ripensai a Fermina. Mi chiesi se fosse rimasta ancora nel villaggio oppure se fosse scappata.
Per un momento mi sorse il dubbio che l'inquisizione avesse condannato anche lei come strega. Un brivido mi percorse la schiena. Forse non sarei dovuta scappare, ero stata egoista ad andarmene e a lasciarla li, ma ero conscia del fatto che la mia presenza l'avrebbe solo messa in pericolo. Oltretutto ero convita che avrebbero bruciato anche me, di lì a poco, ero figlia di una strega, infondo. Pensai a quell'evenienza: la vita ci è data senza apparente motivo o spiegazione, tocca a noi combattere per mantenerla, ed io avevo combattuto, mi ero aggrappata alla vita con mezzi che forse non tutti avrebbero approvato, ma se mi fossi lasciata morire, se gli avessi permesso di uccidermi, allora, a quel punto, avrei davvero sprecato la mia esistenza.
La vita mi era stata concessa da Dio e nessuno, nemmeno in nome di Dio stesso, me l'avrebbe tolta, almeno non così facilmente.

Per un attimo pensai al passato ed a dove sarei potuta essere adesso se i demoni non fossero mai arrivati nel villaggio. Mamma sarebbe ancora viva ed io probabilmente non saprei nulla dei demoni, della loro esistenza e del legame che hanno con noi.
Forse il legame tra me ed i demoni non stava nel sangue stesso, ma nel fatto di sapere di essere legata a loro. Mi illudevo quando pensavo che la mia vita sarebbe stata complicata per via del mio sangue, non era questo a legarmi a loro, ma era la consapevolezza che io avevo di quel legame e più in generale di quello che ero e che ormai non poteva più lasciarmi indifferente. Non era l'essere cacciatrice a legarmi a loro, era la mia indole, il mio spirito, il mio carattere, che non poteva ignorare quello che era stato e quello che sapevo.

La mia vita sarebbe potuta essere diversa, ma non lo era, perciò era inutile continuare a rimuginare il passato, sperando di cambiare il presente. Dovevo concentrarmi su quello che avevo ora per cercare di ottenere qualche miglioramento per il futuro. Al passato sarei tornata solo con la memoria per ricordarmi di mia madre e di quanto l'avessi amata, ma non l'avrei più usato come via di fuga per fuggire il presente.
Con questa convinzioni rientrai nella sala. Uno specchio sulla parte e un forte mal di testa mi avvisarono del fatto che il sangue di demone aveva esaurito i suoi effetti. Gli occhi erano gli stessi occhi verdi, ma lo sguardo era più deciso e determinato.
Io sarei riuscita, in tutto ció che avessi voluto ottenere, perché ero Rebeca Maria Almódovar, del clan dei Leon, e nessun'altra.

Patto di Sangue Where stories live. Discover now