Capitolo 1

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~🌈Dato che il romanzo è ambientato in Spagna, ho deciso che qua e là inserirò qualche parola autoctona, giusto per dare un poco più di gusto al tutto (perciò non sono tutti errori di battitura giuro). Trovate nel dubbio la traduzione a piè di pagina 🌈~

1500 - Da qualche parte nel nord della Spagna.

Correvo, correvo senza pensare. Il Sole stava ormai tramontando e pochi raggi riuscivano ad attraversare il fitto fogliame della foresta in cui mi trovavo.

Gli alberi erano alti, scuri, minacciosi. Sanguinavo, ma non capivo da dove provenisse, quel sangue. L'abito si impigliava tra i folti cespugli, i rovi mi perforavano la pelle di continuo, avevo perso una scarpa e sentivo un forte dolore al piede ferito, probabilmente per colpa di qualche roccia su cui mi ero tagliata correndo. Ma non avevo tempo.

Non avevo tempo per pensare alle ferite, al dolore, all'abito stracciato.

Feci un salto per evitare il tronco di un albero caduto, ma l'abito si impigliò ad un ramo e capitombolai per terra. Provai ad alzarmi, ma nel momento in cui puntai le mani sul terreno per darmi lo slancio, i miei gomiti cedettero e ricaddi con la faccia sul terriccio umido e coperto di foglie marce. "Forza". Strinsi i denti e mi rialzai.

Correvo, correvo senza sosta e in lontananza iniziai a vedere le luci del villaggio.

Mi precipitai sulla strada principale e arrivai nella piazza, svoltai nel primo vicolo a destra, seconda casa sulla sinistra, quella col tetto rosso. Spalancai la porta "Dove sono?!" gridai. Fermina mi guardò. Era seduta vicino al fuoco e stava ricamando. "Santo cielo Rebeca come ti sei conciata" fece per alzarsi dalla sedia per andare a prendere dell'acqua "Vieni qua fatti lavare quelle ferite..." mi disse, avvicinandosi a me.
"Fermina! Dove sono?!" chiesi con fermezza, scandendo bene le parole. Lei capì. Abbassò lo sguardo e si risedette accanto al fuoco "Loro sono in consiglio".
Mi girai ed uscii, correndo nella direzione dalla quale ero arrivata. Sentivo la voce di Fermina chiamarmi e chiedermi di tornare indietro. No, non potevo.

Tornai nella piazza, poi ancora dritto e sulla sinistra. Il paese era deserto. Sentivo il freddo selciato di ciottoli in pietra sotto i miei piedi. Era bagnato. Aveva piovuto molto questo mese e continuavo a scivolare.

Le case in pietra e legno scuro mi sovrastano. Le vie strette mi toglievano il fiato. Le poche luci alle finestre non mi rincuorano. Ecco, la vidi. Porta nera di legno, pareti in pietra sormontate da cinque o sei gargoyle, finestre scure. Ero arrivata.

Battei i pugni contro la porta. Nessuna risposta. Dovevo entrare, io dovevo entrare. Presi a calci la porta. Nulla.

Guardai in su. Le finestre al primo piano erano piuttosto basse. Iniziai a tastare la facciata della casa. Trovai un buco tra un mattone in pietra e l'altro. Misi la mano dentro. Poi misi un piede in un altro e poi ancora l'altra mano. Mi ci volle poco per arrampicarmi fino al primo piano. Respirai e con un paio di pugni riuscii a rompere la finestra. Sentivo le schegge di vetro nella carne. Ma non avevo tempo per il dolore. Entrai.

Mi trovai in una stanza tetra, con tende pesanti, arredata con vecchio mobilio in legno e drappeggi neri e rossi. L'aria era piena di polvere e sapeva di stantio, di vecchio, di marcio, di morte. Dovevo uscire in fretta da quella stanza.

Feci per aprire la porta e andarmene, ma vidi uno specchio alla mia destra. Un raggio di luna entrava dalla finestra spaccata e mi illuminava, consentendo allo specchio di riflettermi. Avevo la faccia sporca di terra, gli occhi erano arrossati e l'iride verde risaltava ancora di più, sembrando spiritata. Le mani e le braccia erano coperte di sangue, in particolare quella con cui avevo rotto la finestra. L'abito era ridotto a brandelli, il sangue lo aveva impregnato, rendendo l'azzurro del vestito scuro e cupo. Sangue, troppo sangue, troppa carne viva esposta.

Mio Dio, non uscirò viva da qui.





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