Ho una camicia di flanella nei toni del bordeaux sistemata sul mio appendiabiti, e qualche volta la indosso per zampettare in giro per la casa, anche se ormai inizia a fare quasi troppo caldo per averla addosso. Profuma di James e Marlboro rossa.

Nel suo appartamento ci sono le mie calze di lana, la felpa grigia che ho indossato per la maggior parte del mio tempo tra le sue quattro mura, e un pigiama decisamente poco seducente con delle allegre stampe di gufi.

Sono innamorato di te. Ripensarci mi fa avvampare le guance. Quando poi ricordo quello che mi ha detto dopo, ricordo anche perché non sarebbe giusto uscire da casa in fretta e furia per nascondermi tra le sue braccia. Funziona, che funziona un po' come vuoi tu.

Sorrido appena, recuperando la camicia di flanella dall'appendiabiti a indossandola in silenzio, nella quiete della sera.

*

"Si chiama James."

È una mattina assolata, oltre la finestra dell'ufficio.

Ho bevuto pigramente l'ultimo sorso bollente di caffè – potrà anche far caldo, ma mai abbastanza da convincermi a privarmi del sapore di un americano – e ho abbassato lo schermo del mio computer portatile, per non avere impedimenti nell'incrociare lo sguardo di Kevin.

Lui sistema sulla scrivania il foglio che ha in mano e mi osserva in silenzio. Sto rispondendo a una domanda che mi è stata fatta più di un mese fa, e lo sto facendo adesso perché non c'è rabbia, nei suoi occhi azzurri: oggi, lui è pronto ad ascoltare, ed io a raccontare.

Non lo faccio per ferirlo, e credo che lo sappia. Lo faccio perché sto cercando di riannodare i fili della mia vita, e questo è un nodo da sciogliere per andare avanti, o tornare indietro.

Kevin aspetta e io mi mordo le labbra, mentre scelgo accuratamente cosa dire. Mi lascia raccontare, e io tratteggio brevemente i contorni della mia vita da gennaio a oggi, senza eccedere in dettagli ma senza tralasciare nulla. Proprio come quando ho spiegato a James di Kevin, questa volta mi chiedo quale immagine io lo stia aiutando a costruirsi del mio barista. Mio. Sì.

Lui incrocia di nuovo il mio sguardo, permettendomi di leggere l'emozione in attesa nei suoi occhi chiari. Malinconia. Bile nera, la chiamavano gli antichi.

"Sei felice, Olivia?" chiede con dolcezza. "Con lui?"

Non c'è fastidio nella sua voce, solo mite preoccupazione. Sincerità. Siamo ancora una volta oltre i limiti di quello che dovrebbe essere il rapporto tra un professore e una studentessa, ma ancora una volta, sono linee che abbiamo oltrepassato tanto tempo fa. Oggi, ci stiamo spingendo ancora più in là.

Amare, perdere, lasciar andare. Sta succedendo in questo momento.

"Sì."

*

La copia rilegata della mia tesi è pronta, chiusa, appoggiata sulla scrivania.

Kevin sistema delicatamente una mano sulla mia spalla, aggirandomi per tornare a sedersi, un sorriso gentile sulle labbra. "E' un ottimo lavoro," mi dice, mentre io ricambio la sua espressione. "A questo punto mi organizzerei per settembre, con le tempistiche."

Annuisco, sapendo che ad oggi siamo troppo in là per presentare l'elaborato per luglio. "Settembre è perfetto," commento, torcendomi le mani. "... finalmente potrò tornare a Galway per un po' di più di beh, due minuti."

Kevin percorre con la mano la copertina blu notte della mia tesi, le dita che si soffermano sui caratteri del mio nome. "La tua famiglia ti raggiungerà per la laurea?"

Lover's eyesWhere stories live. Discover now