La tomba del mondo (parte 2)

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Le indagini furono svolte con straordinaria incompetenza, e così riuscii a cavarmela nonostante avessi ideato su due piedi un piano traballante. Scoprii che i miei vicini quella sera c'erano eccome, ed erano tutt'altro che indifferenti: quando udirono il primo colpo di pistola pensarono fosse la TV col volume troppo alto, ma già al secondo furono colti da qualche dubbio. Al terzo smisero di mentire a se stessi, e dopo un tempo troppo lungo, passato a tentennare in preda alla paura, si decisero ad avvisare le forze dell'ordine. Da ciò che riuscii a ricostruire, lo fecero proprio negli istanti in cui abbandonavo l'appartamento. La polizia arrivò pochi minuti dopo, interrogando i miei dirimpettai, e facendosi dare il mio numero. Tentarono invano di rintracciarmi al cellulare, ma il sottoscritto era troppo impegnato a suonare a volumi esagerati per rispondere. Sfondarono allora la porta, anche perché la puzza di polvere da sparo filtrava dalla porta d'ingresso.

La prova dello stub dimostrò la presenza di tracce di polvere pirica sulla mano destra di Mario, così come l'esame balistico confermò la plausibilità della traiettoria dei colpi. Il proiettile rinvenuto nel muro fu attribuito ad un colpo a vuoto dovuto ad imperizia da parte di chi sparava. Inoltre, ciliegina avvelenata sulla torta andata a male, il biglietto trovato nella tasca del cadavere non lasciava spazio a dubbi su quanto era successo.

Non venne effettuata alcuna perizia sui telefoni, e si scavò davvero poco a fondo nella vita dei due amanti. Da parte mia recitai la parte del marito sconvolto, e anche se venni indagato, in realtà fu una pura formalità. I miei movimenti di quella sera furono verificati solo superficialmente, e lo stub su di me diede esito negativo, di fatto scagionandomi. Per rafforzare la mia posizione, raccontai agli inquirenti che l'avventura extraconiugale di Martina era ormai finita, e che ci stavamo riavvicinando. Non c'erano elementi che comprovassero la mia storiella, ma neanche prove contrarie: per mia fortuna i due avevano lasciato poche tracce sulla rete, e neanche troppo recenti (Martina detestava i social); inoltre non avevano informato quasi nessuno della loro storia iniziata da poco; solo la sorella di Martina, Miriana, era a conoscenza della prossima convivenza.

Ma gli inquirenti credettero a me, non a lei, che fu ritenuta astiosa nei miei confronti e quindi inattendibile, e si bevvero anche il mio alibi: raccontai che quella sera ero tornato a casa esausto, deciso a non partecipare alle prove con la band. Ma mia moglie mi aveva spronato ad andarci, secondo lei bisognava lavorare duro per i propri sogni... La mia versione era che l'avevo lasciata ancora in vita, e con mia grande sorpresa venne accettata. I primi tempi sospettai che mi stessero tendendo una trappola, ma poi capii che agivano guidati da un pregiudizio di fondo: la scena del crimine faceva pensare ad un banale omicidio – suicidio, e i primi riscontri andavano in quella direzione, così come ci andarono le indagini; arrivati a quel punto gli inquirenti non avrebbero mai ammesso il loro errore, almeno non la gente che si occupò di quel caso. Qualcun altro forse sì, ma non loro. Mi ritrovai così a constatare che la fortuna non arride solo agli audaci, ma anche agli assassini.

Il deserto bianco (vincitore Wattys & Horror Games)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora