L'oasi nera (parte 2)

160 52 63
                                    

Non saprei dire esattamente quando le cose iniziarono ad andare male, so solo che nel giro di pochi mesi fra me e Martina si era creato un muro, che ogni giorno minacciava di diventare sempre più alto, sempre più invalicabile. Eravamo sposati solo da un paio d'anni, ed eravamo già in crisi. E la maggior parte della colpa era mia.

Ero insoddisfatto, e la mia infelicità si riversava nel matrimonio, avvelenandolo poco a poco. Il mio lavoro di musicista mi tormentava: ero un buon chitarrista turnista, un professionista piuttosto conosciuto nell'ambiente; suonavo sui dischi e partecipavo a tournée di artisti importanti, di quelli che si ascoltano alla radio e di cui si guardano i video sul web.

Tutto ciò mi disgustava. Perché non ce ne era uno che rispettavo: erano solo banali esecutori di canzonette melense scritte da altri, faccini rassicuranti venduti alle masse come detersivi. Mi sentivo un mercenario, cosa che in effetti ero. Quando decisi di metter su una band tutta mia e suonare la musica che amavo davvero, che mi faceva sentire vivo, fu l'inizio della fine: non avrei abbandonato l'attività di turnista, sarebbe stato troppo rischioso per la mia carriera, e in più avrei dovuto spendere tempo prezioso sul mio nuovo progetto. Il che significava vedere Martina sempre meno. Dedicavo la gran parte della giornata al lavoro, al mio matrimonio restavano solo i ritagli di tempo, quando andava bene. Era una situazione insostenibile, non poteva durare. Mia moglie non era una donna che si sarebbe accontentata degli avanzi.

Una volta, una delle tante che rincasavo all'alba, la trovai ancora in piedi, che mi aspettava in cucina. Le occhiaie erano due ombre scure sotto le palpebre, e la camicia da notte pareva troppo grande per il suo corpo esile. Sarebbe dovuta apparire vulnerabile, ma la sua espressione era dura.

- Non ho chiuso occhio. - mi accusò, come se fosse la prima volta che tornavo a quell'ora – Sono stanca. - aggiunse, mentre si torceva le mani in grembo e camminava su e giù per la cucina.

- Scusa, ma non capisco. – dissi sulla difensiva, scrollando le spalle – Perché non hai dormito? Sapevi dov'ero e cosa facevo... Mica ero in giro a divertirmi! -

- Non cambia niente. - e mi annientò con lo sguardo – Lo sai che non mi va che lavori così tanto! Non sopporto più questa situazione. E l'hai creata tu. –

Mi puntò il dito contro, a sottolineare il concetto. Sapevo che prima o poi saremmo arrivati a litigare per la mia scelta, ma non mi aspettavo che accadesse dopo neanche tre mesi.

- Non mi sentivo realizzato, e ho deciso di impegnarmi in qualcosa che mi piacesse... E' forse un crimine? - rintuzzai come un adolescente.

- No, certo! Ma allora molla coso... Come si chiama... -

- La settimana prossima inizia il tour, e ho firmato un contratto. - la interruppi, gelido - E non intendo mettere a rischio la mia reputazione di professionista! – finii gridando, anche se non ne avevo l'intenzione, esasperato dal suo atteggiamento. Ero stanco, volevo solo dormire e lasciarmi tutto alle spalle, almeno per un po'.

- A casa non ci sei mai, ti sembra un matrimonio, questo!? - urlò Martina a sua volta – Stiamo diventando due estranei, non te ne rendi conto? Ormai non scopiamo nemmeno più! -

Era stravolta, teneva le mani chiuse a pugno, neanche si stesse preparando ad un combattimento. Chissà da quando ruminava quei pensieri, chissà quante notti passate a pensare sempre alle stesse cose... La immaginai svegliarsi nel cuore della notte e cercarmi nell'altra metà del letto, trovandola vuota. Magari si sarebbe alzata, inquieta, per controllare l'ora, e avrebbe vagato solitaria per casa nostra come un fantasma senza pace, prima di decidersi a tornare a letto e provare a riaddormentarsi. Quante notti aveva passato così? Quante? Farsi domande simili faceva male al cuore.

- Voglio un figlio e lo sai! Ma non te ne frega niente! – strepitò con il fuoco negli occhi, strappandomi da quelle fantasie. Tentai di avvicinarmi, ma si divincolò.

- Non provarci nemmeno! - mi redarguì – Credo che per adesso abbiamo detto abbastanza. Ma non finisce qui. –

Ne ero certo, su quell'ultimo punto non avevo dubbi.

- Io me ne vado a dormire, tu fa' quello che vuoi... Tanto lo fai sempre. Ma la prossima volta non sarò tanto stupida da aspettarti in piedi. -

E così fu: da allora, quando rincasai ad orari simili, ad aspettarmi trovai solo casa nostra, vuota e silenziosa. Martina dormiva, e forse sognava un'altra vita.

Il deserto bianco (vincitore Wattys & Horror Games)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora