10: una bella giornata

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10. cose che rotolano. Cose che schiacciano.


Tutto sommato, era stata una bella giornata.

Per Corin era strano poterselo dire e, in un certo senso, aveva anche paura di affermarlo. Negli ultimi tempi di belle giornate non ce n'erano state poi così tante.

Però non poteva negare di essere soddisfatto. Non solo aveva saltato per davvero tutta la lezione di ginnastica, perché Anna aveva avuto la fantastica idea di rimanere a parlare con la dottoressa Clemmons per quasi un'ora prima di lui, ma aveva ricevuto anche i complimenti dalla psicologa: per la prima volta da quando aveva iniziato il percorso con lei, l'aveva vista sorridere con orgoglio.

"Hai superato un grande scoglio, Corin. Hai dimostrato a te stesso di potercela fare" gli aveva detto, annotando tutte le informazioni che lui le aveva rivelato nel suo quaderno dei pazienti. "E sai qual è la seconda cosa più importante?".

"Quale?" aveva chiesto lui, emozionato.

"Hai scoperto che c'è sempre qualcosa di bello nell'inaspettato. Uscire dalla propria comfort zone non significa sempre mettersi in pericolo. Sei d'accordo?".

Ovviamente la signorina Clemmons parlava della scoperta nei confronti della signora Fraser e Corin aveva annuito, ripensando alla sua piacevole visita. Contava di tornarci in un paio di giorni, perché aveva tentato di preparare altre tre volte il tè dell'anziana vicina di casa ed ogni volta era stato un fallimento.

In quel momento non pensava altro che alla ricetta, di cui sicuramente continuava a sbagliare qualcosa, mentre percorreva la via di casa. Si era perfino fermato nel negozio preferito di sua madre, che si trovava a due isolati da Norman Ave, per comprarle una busta di biscotti. Vendeva dolci buoni ma costosi e Corin pensava fosse la giornata ideale per comprarle qualcosa di speciale. In fondo era merito suo se si sentiva meglio. Aveva ascoltato i suoi consigli.

Girò nella sua strada dopo aver superato la casa del signor Milligan, il decrepito veterano di guerra che come al solito stava tagliando il prato, nonostante fosse ormai ottobre e l'erba non crescesse più con la stessa velocità dell'estate, e all'improvviso si irrigidì, fermandosi. Deglutì a fatica e sentì improvvisamente le mani molto fredde quando si rese conto che, a due giardini di distanza da lui, c'erano delle persone. Ma non delle persone qualsiasi: Charlie Cox e i suoi amici.

"Oh no" mormorò Corin, rendendosi immediatamente conto che non sarebbe potuto tornare a casa senza passare davanti alla villetta di Richard Smith, il migliore amico di Charlie che, a quanto pare, aveva invitato tutta la sua cricca a cuocere marshmallow su un piccolo falò improvvisato.

Cercò una via di fuga ma non ce n'erano, perché non c'era modo di nascondersi in Norman Ave. L'unica cosa che poteva fare era raccogliere il coraggio – proprio come aveva fatto quando aveva deciso di mettere piede nella piccola giungla della signora Fraser – e camminare molto velocemente. Ripensò alla comfort zone di cui parlava sempre la dottoressa Clemmons e si disse che la donna aveva ragione: poteva affrontare le sue parole. Forse avrebbe trovato qualcosa di bello anche in quel caso.

Prese un ampio respiro e lanciò una rapida occhiata alla non troppo distante casa della signora Fraser: era stranamente confortante il pensiero che presto ci avrebbe rimesso piede. Così, con il pensiero di un tè aromatico e le labbra di sua madre pronte a stendersi in un sorriso, si mise in moto, testa bassa e sguardo fisso in avanti. Si chiese se avrebbe dovuto mettersi a correre, ma decise che era meglio non rischiare: i cani rabbiosi si eccitano quando vedono il postino correre.

Riuscì a mantenere il passo costante fino a quando non giunse davanti proprio alla palizzata del giardino degli Smith: il suo passo seguente fu meno certo e meno rapido, perché le sue orecchie avevano captato le risate del gruppo di cinque ragazzi riuniti a pochi metri di distanza. Il suo passo incerto colpì un sassolino sul bordo del marciapiede e questo rimbalzò rumorosamente contro la palizzata di ferro, emettendo un tintinnio metallico.

Forse fu quello il suo errore fatale.

"Ehi! Guardate chi c'è!".

"Ma è Dawson il Pisciasotto!".

"Dawson! Ehi, Dawson!".

Corin pensò di tirare dritto, ma la paura che puntualmente si affacciava alla sua mente quando sentiva la voce di Cox lo costrinse a fermarsi, congelando sul posto. Era la mossa sbagliata, lo sapeva benissimo, ne ebbe la conferma non appena i cinque scattarono in piedi e galopparono verso il cancelletto. Quando questo si aprì, con un cigolio fastidioso, Corin ebbe l'impulso di scattare in avanti, ma fu prontamente afferrato per il bordo della felpa da Charlie.

Charlie Cox era un energumeno per la sua età. Era nero come il carbone, molto più scuro di Corin, ed era un giocatore di pallacanestro. A dodici anni aveva gambe e braccia lunghissime, nonché una forza smisurata. Per poco non sollevò il ragazzino, ma lo sbatacchiò ridendo.

"Ehi, ragazzi! Siamo proprio fortunati oggi! Dawson ci degna della sua presenza!" esclamò, rivolto a Richard, Benny, Michael e Hugh. Gli altri, a parte Benny, erano tutti bianchi come il latte. Sarebbe stato un bell'esempio di amicizia che non guardava al colore della pelle, se solo non fossero stati dei maledetti bulli.

"Dov'eri finito a ginnastica?" chiese Hugh, un biondino lentigginoso che non sapeva dire la esse.

"Ti sei perso una grande partita!" aggiunse, schernendolo Michael, che sapeva benissimo quanto poco Corin fosse interessato allo sport.

"Già. Ma scommetto che avevi da fare con la tua psichiatra, vero?" rise Charlie.

"Psicologa" lo corresse Corin. Charlie si strinse nelle spalle e rispose: "Chissene frega. Rimane comunque una strizzacervelli per handicappati come te".

"Ehi, Charlie" lo chiamò Richard. "Dawson ha qualcosa in mano".

Corin cercò di stringersi il pacchetto di biscotti speciali al petto, ma Cox fu più veloce: tese una delle sue lunghe braccia da scimmia e gli strappò il pacchetto, alzandolo trionfante.

"Uh-u! Guardate qui! Il nostro Dawson si tratta bene!".

"Ridammeli!" esclamò Corin, in un momento in cui la rabbia superò la paura. "Non sono per te!".

"E per chi sono? Per la tua mammina? Eh, Dawson? Sono per lei?" lo schernì Charlie, dandogli uno spintone. Corin si allontanò di un paio di passi, ma tornò subito al suo posto, saltellando nel tentativo di riprendersi i biscotti. Charlie rise e questa volta gli diede una spinta forte, tanto che Corin perse l'equilibrio e cadde a terra, con un singhiozzo. Subito dopo, Charlie aprì in pacchetto e ne cavò fuori un biscotto piatto e bitorzoluto. Mise su una faccia delusa.

"Cos'è sta merda?" domandò, annusandolo. Ne assaggiò un morso e lo sputò immediatamente verso la strada. "Che schifo! Ma è segatura!".

"È segale" commentò Benny.

"Stai zitto. È merda" tagliò corto Charlie. Si voltò verso Corin e con un sorriso bianchissimo e crudele, alzò il braccio e scaraventò il sacchettino per terra, ai suoi piedi.

"No!" pigolò il ragazzino, mentre Cox ci saltava sopra con entrambi le scarpe taglia quarantadue. A lui si unirono subito i suoi amici che, ridendo e prendendo in giro le lacrime che erano immediatamente sgorgate dagli occhi di Corin, ridussero in poltiglia il regalo per la signora Dawson. Quando ebbero finito, Charlie diede un calcio a ciò che rimaneva del pacchetto, dicendo: "Buona serata, Pisciasotto".

Corin non riuscì a trattenere un singhiozzo, mentre i cinque bulletti si voltavano e sghignazzando ritornavano al loro falò.

Si era sbagliato: quella non era una bella giornata. Nessuna giornata era bella. Mai. 

Corin Dawson e la strega di Cabanyà RoadWhere stories live. Discover now