XXIV

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23:40

Mancavano venti minuti all'ora stabilita, ero sdraiata a letto con due guardie fuori alla porta e sbarre alla finestra. Avevo perso tempo inutile quel pomeriggio, imparare l'invisibilità, quando sarebbe stato inutile.

Anche se volevo mettere in atto il mio piano, era impossibile uscire: la porta si sarebbe aperta, le guardie avrebbero avvisato i miei di quello strano fenomeno e mia madre subito avrebbe capito. La curiosità ardeva in me e mi ritrovai a girarmi e rigirarmi nel letto. Cosa sarebbe successo se non sarei andata? L'anonimo sarebbe venuto a casa mia?
Talmente erano le domande, iniziavo a fantasticare su cose assurde; era ovvio che non poteva venire a casa mia.

L'orologio a pendolo al piano inferiore iniziò a suonare; 00:00.
Deglutii ed alzai il busto, osservando la stanza. Stavo diventando paranoica, nessuno si sarebbe presentato, né sarebbe successo qualcosa.

Mi lasciai ricadere sul letto ed osservai il soffitto. Accidenti. Proprio non c'è la facevo a restare lì, mi alzai dal letto ed uscii fuori. Nel momento stesso in cui aprii la porta, le due guardie subito si voltarono verso di me.

«Devo solo andare in cucina», sbuffai, ma nessuna delle due mi fece passare.

«Siamo desolati Principessa, ma non potete lasciare questa camera, neppure in nostra compagnia. Cosa desiderate? Possiamo procurarvela noi», disse quella più alta.

In quell'istante un istinto primordiale della mia natura mi fece serrare i pugni ed emettere un ringhio strozzato. Ero nervosa, arrabbiata e assetata. A causa del piccolo battibecco avvenuto con i miei, avevo dimenticato di nutrirmi e non lo facevo da ben tre giorni.

Ancora una volta la preoccupazione di mia madre mi apparse davanti agli occhi, sapeva a cosa sarei andata incontro e alla responsabilità di portare sulle spalle quell'enorme peso. Dovevo organizzarmi meglio e stabilire regolarmente il nutrimento, ecco cosa significava essere responsabili.

Purtroppo io ancora non lo avevo capito, o almeno fino a quel momento. «È qualcosa di estremamente personale, non posso mandare voi», cercai di mantenere la calma.

«Ci dispiace infinitamente, ma dobbiamo eseguire gli ordini del Re», fu la seconda a rispondere.

Abbassai il viso e, alzandolo di scatto, mi preparai a colpirli. La mia intenzione non era ucciderli, non lo avrei mai fatto, ma fargli perdere i sensi si. Una voce, però, mi fermo.

«Principessa Jane!», disse una voce minacciosa: mio padre. Cosa ci faceva in quell'ala del castello a quell'ora? Non lo sapevo, ma sicuramente era lì per controllare me.

«Padre, voglio uscire dalla mia camera, ma-»

«Ho dato io l'ordine a loro di non farvi uscire», con un cenno le mandò via e rimanemmo solo io e lui. «Sapevo che prima o poi sareste uscita, la causa?»

«Devo andare nelle cucine, non voglio scappare o altro», mi dondolai sui talloni, non volevo dirgli della mia inaspettata sete; me ne vergognavo.

«Potevate benissimo chiedere loro di portarvi ciò che volevate», la sua espressione dura non cambiò nemmeno di una virgola. Capii che qualsiasi cosa gli avessi detto sarebbe stata inutile, già mi accusava di qualcosa che non volevo fare.

«Sono questioni personali, non posso mandare loro, lo sapete benissimo!»

«Volete nutrirvi?», chiese senza peli sulla lingua.

Deglutii ed annuii in silenzio, abbassando il viso. Ancora non ero abituata a parlare di ciò come se fosse normale.

«Perché abbassate il viso?»

«Nulla, vi chiedo solo di portarmi tre brocche; vi attendo in camera», feci tre passi indietro e, prima di chiudere la porta, udii: «tre brocche?»

Chiusi la porta con un gran botto e presi a calci una sedia che mi intralciava il cammino. Non capivo da cosa era prodotto tanto nervosismo. Paura? Mai mi era successo una simile cosa.
Attesi impaziente quelli che erano minuti e alla fine vidi la porta aprirsi e mio padre entrare con le brocche tra le mani.

Mi fiondai su lui e le afferrai, iniziandi a bere dalla prima. Poco mi importava in quel momento di lui, che non fece altro che fissarmi.

«Siete agitata?», chiese, sedendosi elegantemente sulla sedia della scrivania.

«Perché questa domanda?», iniziai la seconda.

«La nostra sete segue i nostri sentimenti e più siamo agitati, più abbiamo il bisogno di nutrirci.»

«Non sono agitata, non mi nutro da tempo.»

«Ditemi la verità Jane, siete agitata perché è passata la mezzanotte e voi siete qui?»

«Più che altro ero curiosa di scoprire chi mi avesse mandato quel messaggio», terminai anche la terza in massimo un minuto. Una bellissima sensazione di sazietà mi fece sospira e passare la lingua sul labbro inferiore, per poi sedermi nuovamente sul letto, di fronte a lui. «Ma non nego che una strana avvertenza è in me, succederà qualcosa.»

Aggrottò le sopracciglia, «pensate che qualcuno possa attaccarci?»

«Non solo noi», abbassai il viso, «avete fatto un grave errore a non farmi andare lì.»

Si alzò dalla sedia e si avvicinò alla porta, «non succederà nulla e, in caso qualcosa andasse per il verso sbagliato, non saremo impreparati. Adesso tornate a dormire.»

Il mattino seguente

Quella notte non dormii affatto, sia perché non ero a mio agio, sia perché l'ansia e la preoccupazione non erano sparite.

Mi stropicciai gli occhi leggermente gonfi e indossai -con l'aiuto di Sophia- l'abito che mi aveva portato.
«I vostri genitori vi stanno attendendo nella sala principale, non avete riposato?»

«Più o meno, grazie per l'aiuto.»

«Di nulla», mi sorrise.

Uscii finalmente da quella cella e percorsi i tre corridoi che mi condussero nella sala centrale, dove li trovai a chiacchierare e mangiare quelli che mi sembravano dolciumi.
«Buongiorno tesoro», mi sorrise mia madre.

In quel momento la parte maledetta in loro aveva avuto la meglio, non resistevano al peccato della gola e si ingozzavano di ottimo cibo. Non potevo di certo incolparli, anch'io ero molto golosa.

«Buongiorno», mi sedetti accanto ad Angel, che a differenza del giorno passato, era leggermente più sorridente.

«Questa mattina è arrivata una lettera da parte dei miei genitori, a quanto pare il popolo si sta riprendendo dall'attacco e stanno inalzando una muraglia che circonda l'intera Campagna del Nord», mi disse quest'ultima.

L'idea della muraglia non era eccellente, sarebbero rimasti intrappolati in caso di un altro attacco, ma almeno era un'ottima strategia di difesa. «Mi fa piacere», un leggero bruciore alla mano seguì quelle tre parole. Iniziai a grattarmi proprio al centro della mano destra, portandola in grembo.

«Non è successo nessuna altra disgrazia, per fortuna», disse mia madre, fissandomi intensamente. Sicuramente mio padre le aveva riferito cio che gli avevo detto la sera scorsa.

Annuii nel momento esatto in cui il bruciore si fece più vivido. Avvertivo la pelle pizzicare e formicolare, come se un ferro bollente mi stesse marchiando. Abbassai lentamente lo sguardo sulla mano, mentre gli altri continuavano a parlare e vedi la pelle arrossata.
Proprio nel punto in cui bruciava maggiormente, vidi delle linee rosse che non capii sa cosa fossero prodotte, ma che collegandole, riuscivo a leggere: errore.

Sentimenti Mai ProvatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora