1. Il gatto - Segui la mia voce

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Se ne stava lì, immobile, seduto sopra un vecchio muretto di pietra quasi del tutto avviluppato dall'edera sul limitare del bosco. All'inizio non lo notai. Ma lui notò me.

Stavo tornando a casa da scuola, coprendo a piedi la distanza che separava la fermata dello scuolabus da casa mia. Come sempre, avevo le cuffie calcate per bene in testa, la playlist apposita sparata a tutto volume e contavo mentalmente le tracce che mi avrebbero fatto compagnia lungo il tragitto. Cinque in totale.

Ero arrivato alla terza quando una sensazione di gelo mi fece accapponare la pelle del collo, lasciata scoperta dalla giacca leggera che avevo scelto di indossare quel giorno. Mi fermai, guardandomi intorno alla ricerca della fonte inconscia delle mie ansie, ma invece di trovare Thomas e la sua banda di attaccabrighe -che stavano rendendo i miei giorni alle scuole medie assai difficili-, i miei occhi caddero su un gatto nero seduto sopra un muretto. Sebbene si trovasse a qualche metro da me, riuscii a distinguerne i dettagli con sorprendente chiarezza.

Non l'avevo mai visto prima in quella zona, eppure non mi dava l'idea di essere stato abbandonato. Il suo pelo era folto e ben curato, così nero e lucido da apparire privo di sfumature, come l'inchiostro. Ma furono i suoi occhi a colpirmi maggiormente. Del colore dell'ambra, sembravano emanare un tenue bagliore, simile a quello delle braci morenti del vecchio camino che avevamo in salotto.

Ci guardammo per qualche momento in silenzio. Io ero incerto, ma lui -o lei?- non sembrava minimamente turbato. Anzi, continuava a ricambiare il mio sguardo con un'intensità tale da mettermi a disagio. Di solito non avevo alcun problema con gli animali, mi piacevano e io piacevo a loro, ma per qualche strana ragione quel gatto mi intimoriva.

Mi tolsi le cuffie dalla testa, facendole ricadere attorno al collo, e ispezionai i dintorni. Abitavo in uno dei quartieri più esterni della città, una zona tranquilla che si trovava a ridosso di una vasta area verde sopravissuta all'ampliamento urbano. Qualche volta venivano organizzati eventi o picnic sul grande prato che si trovava poco distante, ma la maggior parte dello spazio era occupato da un fitto quanto tetro boschetto. I miei genitori mi avevano sempre vietato di avventurarmi da solo al suo interno, ma qualche volta andavano a fare delle escursioni seguendo il stretto sentiero che lo attraversava. Che quel gatto fosse un abitante del bosco? Non era da escludere, dato che dalla mia posizione riuscivo a vedere solo un paio di case. Poco distante, il signor Collins stava lavando l'auto, fischiettando un vecchio motivetto che non riuscivo a distinguere. Non stava facendo caso a me e dubitavo che mi avrebbe aiutato, dato che era un vecchio snob.

Perso nelle mie considerazioni, sobbalzai quando mi accorsi che il gatto era sparito. Almeno finché qualcosa non mi colpì una gamba. Riuscii a sentire i suoi piccoli artigli graffiami la pelle nonostante la stoffa spessa dei jeans. Abbassai infastidito lo sguardo e osservai il gatto che girava in circolo vicino alle mie sneakers. E mi osservava. Per tutto il tempo, non aveva mai distolto lo sguardo.

«Che cosa c'è?» chiesi. «Hai fame? Purtroppo non ho niente da darti.»

Ma il gatto non mi rispose. Ovvio che non lo fece, era un gatto, genio! Eppure sembrava davvero interessato a me. Sospirando, mi inchinai per accarezzarlo. «Ti sei forse perso?» riprovai.

Non appena le mie dista sfiorarono il suo pelo, lui si scostò con uno scatto sorprendentemente veloce. Si allontanò da me di qualche metro, per poi sedersi sopra le foglie ingiallite che incominciavano a marcire a terra. Batté un paio di volte le palpebre, ma non mi diede retta.

Storsi le labbra in una smorfia infastidita. «Mi dispiace, ma ora non ho tempo da perdere con te. Se non vuoi giocare me ne torno a casa.» E così feci. O almeno ci provai.

Ricominciai a percorrere il marciapiede, pestando i piedi e pronto a rimettermi le cuffie in testa. Ma uno strano suono mi trattenne. Mi bloccai, abbandonando le braccia lungo i fianchi.

Non era proprio un miagolio. Era un richiamo più profondo, strano, che mi colpì nel profondo. Mi rivoltai verso l'animale, trovandolo a pochi passi da me, i suoi occhi che continuavano a scrutarmi ferini. E poi lo fece di nuovo. Aprì la piccola bocca e produsse quel verso oscuro.

Non sapendo più che cosa fare, mi avvicinai ancora.

«Torna a casa, sul serio. Non seguirmi.»

Ma il gatto non mi ascoltò.

Alla fine, preso dallo sconforto, iniziai a rincorrerlo nella speranza di spaventarlo, notando con mio grande stupore che ogni volta che mi fermavo, lui mi imitava. Appena ricominciavo la caccia, lui scappava. E di nuovo, la stessa storia. Quando puntò in direzione del bosco, si voltò verso di me con le orecchie rizzate e la voluminosa coda che scompigliava il fogliame a terra. Riprodusse quello che doveva essere il suo miagolio e attese.

«Vuoi che ti segua?»

Forse era solo frutto della mia giovane immaginazione, eppure mi parve davvero di vederlo annuire con il muso.

Sempre più incerto, guardai l'ora sul cellulare. Erano le quattro del pomeriggio, per cui avevo ancora qualche ora di luce prima del tramonto. I miei genitori stavano ancora lavorando, per cui... Forse il gatto voleva farmi vedere qualcosa. Forse aveva dei cuccioli che aspettavano qualcuno che se ne prendesse cura. Oppure era solo la versione deviata del Bianconiglio.

Sta di fatto che, nel vedermi ancora restio, continuò a produrre quel miagolio, sempre più insistente, sempre più a lungo, sempre più forte, finché mi arresi e lo seguii per il bosco senza guardami indietro.

A quel tempo non potevo immaginarlo, ma avevo interrotto un record cittadino. Dopo cinquant'anni, io, Henry Wallace, ero il primo bambino a sparire nel nulla a Hawthornwood. O forse, il primo di molti.

Ma questo non lo saprò mai.

Inktober - Il segreto di HawthornwoodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora