Homo Homini Lupus

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13 Dicembre 1566, Carceri dell'Inquisizione, Madrid, Regno di Spagna (1)

Lucifero le aveva detto che avrebbe aspettato il momento giusto per inviarla nuovamente sulla Terra, e durante quella lunga attesa Tsarn restò seduta sul bordo dell'abisso, ascoltando il suono della palude Stigia alle sue spalle che si confondeva con le grida delle anime quasi fosse una ninna nanna, gli occhi rivolti oltre il confine per osservare come l'umanità distruggeva inconsapevolmente se stessa.

Aveva visto la Sacra Chiesa di Roma cadere in pezzi e interi popoli venire sterminato dalla brama dei conquistadores; aveva visto come le grandi opere dell'ingegno umano si oscuravano all'ombra della caccia alle streghe e aveva riso di cuore quando un semplice monaco era stato abbastanza per mettere in discussione il Papa stesso e quando la testa del Re d'Inghilterra ordinato da Dio era rotolata sul patibolo come quella del peggior criminale.

Poi, in un momento dell'infinito in cui esisteva, le grida irate di Flegias (2) avevano ceduto il proprio posto a quelle disperate degli eretici imprigionati da quella nuova forma di tortura che nel regno di Spagna chiamavano "Santa Inquisizione" -uomini di Chiesa al servizio della Corona che uccidevano per il solo gusto di farlo, nascondendosi dietro la scusa di voler difendere il Sacro Verbo di Cristo.

Non avrebbe saputo inventare una farsa migliore neanche se si fosse impegnata con tutta se stessa.

Tsarn sedeva ad un angolo della sala dei processi, gli occhi fissi sulle catene arrugginite attaccate al basso soffitto da dove poco prima aveva visto pendere il corpo di un condannato, un morisco di Barcellona che era stato sorpreso a pregare Allah e che ora ne stava pagando le conseguenze. Aveva assistito -passiva per la prima volta- al suo interrogatorio e alla maniera subdola con la quale era stato costretto a confessare, alla perversione con cui le torture erano state portare avanti, e da silente testimone si era domandata più volte quale fosse il suo ruolo.

Cosa poteva fare l'Ira a chi godeva della sofferenza altrui? Non c'era incentivo che potesse dispensare in quel senso, e oltre che essere mera spettatrice non poteva fare nient'altro.

C'era una pozza di sangue fresco sul pavimento che nessuno si era dato la pena di pulire; Tsarn le si avvicinò e guardò a lungo il proprio riflesso tremulo, quel volto demoniaco che amava nonostante tutto perché era espressione della sua libertà e che pure faceva male fissare troppo.

Immobile, restò ad ascoltare il ticchettio sordo della pendola che scandiva il tempo come lei non aveva bisogno di fare fino a che un famigliare frusciare di ali piumate non giunse a spezzare il silenzio.

L'Angelo dietro di lei si asciugò una lacrima cristallina prima di ridere una risata spezzata, un gesto grazioso e tremendamente triste: «Sapevo che ti avrei rivista ancora.»

Tsarn le rivolse un'occhiata bieca, ma in realtà non smise di guardare il proprio riflesso scarlatto: «Sei venuta tardi, Carità, il processo è finito da ormai mezz'ora.»

«Non sono qui per il dolore, ma per il conforto.»

La risposta la fece scoppiare a ridere: «Quale conforto?» Infine si voltò a guardarla, in parte sorpresa dell'innocenza che trasudava ogni sua parola, quasi fosse davvero convinta delle proprie affermazioni nonostante la cruda realtà che entrambe conoscevano: «Ho appena visto un sacerdote ordinare di strappare le unghie ad uomo con una pinza e poi di fracassargli le ginocchia per rendere più atroce il dolore. Cosa sussurrerai alle orecchie del condannato, dolce Angelo? Gli dirai che l'amore di Vostro Signore lo salverà?»

La Carità si morse il labbro d'argento, poi si sedette al suo fianco nascondendo le possenti ali dietro la schiena: «In realtà non sono qui per Suo volere.» Confessò: «Vorrei parlare con te, se possibile.»

«Con me?» Tsarn si portò una mano al petto, incredula oltremodo.

L'Angelo annuì: «Volevo domandarti come fai... a sopportare tutto questo, intendo.» Aprì un braccio ad indicare la sala quasi buia, quel luogo spietato di sofferenza e testimone dell'orrore e della follia umana: «Sei l'unica a cui sapevo di poter chiedere senza che dover rispondere troppe domande.» Confessò: «Ho atteso a lungo che scendessi di nuovo e ti ho seguita, anche se sono certa che nostro Padre ci stia guardando in questo momento.»

«Tuo Padre.» La corresse: «Ha smesso di essere il mio dal momento in cui mi ha cacciata senza alcun ripensamento.»

«Ma tu hai disobbedito-»

«Anche tu, proprio ora. E se davvero desideri una mia risposta, non giudicarmi come se mi conoscessi.»

La Carità abbassò il capo con imbarazzo, e Tsarn si ritrovò per un misero attimo ad averne compassione, nonostante l'idea stessa risultasse ridicola per definizione; ma con la coda dell'occhio la osservò tormentarsi le dita brillanti di luce divina, e le labbra le si incurvarono in un sorriso comprensivo senza che lo volesse: «Sai che non ti piacerà quello che sto per dirti, non è vero?» Anche la sua voce, invero, divenne più morbida.

Per Giuda, cosa mi prende?

L'altra annuì, e Tsarn allungò una mano per afferrare le spesse catene che pendevano sopra la propria testa: «Homo homini lupus. (3) » Recitò, facendo stridere il ferro: «Non c'è altro da capire. Li ho osservati a lungo, e ciò che ho compreso è che potrai spargere il seme della virtù ovunque e appassirà come è successo al grano d'Egitto, perché è così che sono gli umani: doni a loro Dio e loro lo crocifiggono come uno schiavo perché predica l'amore.»

«Non sapevano quello che stavano facendo.» Rispose la Carità, tutto d'un fiato, e Tsarn non poté fare altro che sogghignare per sopperire al bisogno di prenderla a schiaffi e costringerla ad aprire gli occhi: «Seriamente vuoi convincermi citando le loro stesse parole? Sei stata indottrinata bene, Carità.»

«Agape.»

Tsarn inclinò la testa, confusa: «Scusami?»

L'Angelo sorrise incerta: «Il mio nome è Agape... "Carità" è solamente ciò che vorrei essere e non posso.»

Sciocca, innocente creatura celeste... Tsarn la compatì, un po': «Te ne rendi conto solo adesso?» Domandò, allora, tentando di non mostrarsi troppo conciliante e nel profondo ancora offesa per le accuse di secoli prima -così tanto per gli umani eppure a lei sembrava un battito di ciglia... ma se persino i demoni sapevano mutare allora, forse, lo sapevano fare anche gli Angeli; avrebbe voluto ricordarlo, eppure più guardava Agape e più perdeva il ricordo di se stessa e di una vita che non le apparteneva più: pensare di essere stata così bianca e priva di macchia era diverso dal continuare a vedere il divino nella Stella del Mattino -lui era un Angelo caduto, eppure restava comunque un Angelo.

Ma lei era Vizio e Peccato, era l'ira di un mondo che non sapeva più soddisfarsi, e scoprire il proprio riflesso negli specchi trasparenti delle iridi di Agape le provocava uno strano dolore al centro del petto, e così il suo profumo mortale di orchidea.

L'Angelo parlò, ma della sua risposta Tsarn sentì solamente un "ti invidio" mormorato a fior di labbra.





NOTE:

1 La data è un venerdì 13 di un anno "666" se si sommano le prime due cifre.
2 Figura della mitologia greca, figlio di Ares e della ninfa Crise. Nella Divina Commedia è uno dei traghettatori infernali e trasporta le anime nel girone degli Iracondi e degli Accidiosi.
3 Espressione latina che significa "l'uomo è un lupo per l'altro uomo" e allude all'istinto primario umano di sopraffare il proprio simile. Probabilmente ispirata da Stazio, la citazione fu ripresa nei secoli a venire da altri intellettuali come Erasmo da Rotterdam e Thomas Hobbes, il quale credeva che la natura umana fosse fondamentalmente egoistica.

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