Capitolo 30 (seconda parte)

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Lei riusciva ad entrarmi nel cervello come un chiodo fisso, io riuscivo ad entrargli sotto la pelle. Lei riusciva a manipolarmi mente e corpo con delle emozioni sfibranti tutte nuove, in netto contrasto e assorbite in una continua guerra tra di loro, e io riuscivo a sottomettere il suo corpo fino ad avere la deliziosa impressione di averlo schiavo lascivo delle mie prevaricazioni. Apparentemente entrambe riuscivamo in quello, in quei due fronti contrapposti. Apparentemente. Che io lo volessi o meno, che Lauren lo volesse o meno.

Il problema era che il suo vantaggio peculiare, in una situazione morbosa come quella in cui mi trovavo con lei, poteva essere o, meglio ancora, era effettivamente superiore al mio in quanto a privilegi che portava a Lauren e danni che arrecava a me, alla mia testa dirottata verso quei lidi tragicamente emozionali, sorprendentemente più forti e, per diretta conseguenza, più terrificanti di quanto avevo creduto inizialmente. Più andavo avanti con lei, più mi saliva il desiderio di possederla, di averla come mia. Più mi faceva internamente male, più quei lidi si avvicinavano alla rotta distorta, più quelle emozioni da crepacuore crescevano di entità, più mi costringevano a prenderne consapevolezza, a farmene una ragione di quello che sentivo ossessivamente, se altro non potevo fare, se proprio altro non mi era rimasto da fare.
Più il tempo passava, più avevo modo e maniera di trovarmi ad avere a che fare con lei direttamente, più diventava difficile ignorarmi e ignorarla, ignorare quello che mi suscitava dentro: il sangue che ribolliva per le sue varianti opposte di passione e odio, quella voglia inequivocabile di lei anche se mi stava facendo mettere in discussione ogni cosa, di me stessa e non, anche se mi stava scombinando tutti i piani con una rapida discesa verso la rovina. La rovina, Quella che ormai era diventata la costante voglia e mania assillante di averla mia, mia e basta. E non perché dovevo, non perché era negli interessi personali delle mie tasche farlo, ma perché io volevo, perché io la volevo.
Era un induzione irrazionale difficile da contrastare nella sua insistenza illogica. Ma finché sarei stata parzialmente in grado di tenermene anche solo di un passo a debita distanza propedeutica, allora potevo dire di essere ancora in grado di non farmene contaminate e avvolgere completamente. Allora potevo dire di avere ancora dalla mia un qualche deterrete che la teneva in parte lontana dalla mia testa e dai pensieri dai tratti sentimentalmente confusionari che ci immetteva dentro, anche quando c'è l'avevo accanto o di fronte, anche davanti alla prospettiva ammaliatrice di un contatto con lei o davanti alla senziente eccitazione della realtà di un possibile contatto tra me e lei.
In quelle due eventualità, specie nell'ultima per gli ovvi motivi della mia attrazione palpabile nei suoi confronti, era nettamente più difficile appigliarmi alla conservazione ancora integra di quel deterrente sotto forma di ragione e auto controllo difensivo che mi era rimasto accanto per salvarmi dal dilagare in quello spazio illimitato di contraddittori sentimenti inespressi e appositamente oppressi.

Quel deterrente non era neanche il mio astio per lei ad ogni incontro/scontro mentale o fisico, o entrambi i due combinati insieme, non era neanche la rabbia del momento per qualcosa che poteva dire o fare che mi faceva salire il sangue al cervello e che covava sotto alle coltri anche nei giorni a seguire come un memoriale da non scordarsi, di cui non perdere le tracce.
Era il mio passato, era chi ero, quello che ero diventata, era Carlos, il nostro legame, quello che sempre e comunque mi sentivo di dovergli a mente lucida, quando Lauren non era nei paraggi o quando avevo degli sprazzi di ragione indisturbata e della mia reale identità incontaminata da qualsivoglia distrazione possibile, dalla distrazione insistente del suo pensiero, dei miei pensieri interamente concentrati su di lei e quel desiderio pressante di possederla in tutti i sensi che non voleva saperne di zittirsi o di affievolirsi, se non di rado, se non quando quegli sprazzi ancora esenti dalla sua influenza ignorante venivano a soccorrermi riportandomi il ricordo di chi ero e di chi dovevo essere, riportandomi al pensiero Pacifico e rassicurante di Carlos, riportandomi quel barlume di sanità mentale in grado di fare la differenza. Non era chissà quanto grande, non era chissà quale barlume e, di certo, non era la mia sanità nella sua interezza e il  controllo fermo e invalicabile che non avevo mai avuto alcun tipo di problema a mantenere in passato, a mettere in atto in ogni circostanza non soccombendo e facendo soccombere. No, non lo era. Magari lo sarebbe stato.
Ma, considerando il modo in cui Lauren riusciva a farmi sentire, il modo con cui riusciva a trascinarmi in un circolo vizioso reso tale da quelle mie stesse sensazioni siderali nei suoi confronti, era ugualmente abbastanza, era ugualmente sufficiente a non farmi perdere nel vortice tossico di quel circolo vizioso senza davvero non poterne più uscire in nessun caso, senza neanche più avere dalla mia quegli spazzi di barlume luminoso reinventato ad ultima ancora di salvezza su cui poter fare ancora affidamento per non smarrirmi del tutto, per rimanere a galla e parzialmente cosciente di quelli che erano i miei obiettivi reali e di quelle che dovevano essere necessariamente le mie uniche intenzioni coercitive riguardo lei.

Turbid Obsession (Camren)Where stories live. Discover now