Nessuno parla.

Nessuno ne ha voglia ora che la salita sembra infinita.

Non ho idea di cosa pensano di trovare oggi. È un altro giorno che siamo costretti a vivere.

«Tua sorella non viene?»

La voce di Riya è la prima che rompe il silenzio da quando ci siamo lasciati gli ultimi edifici alle spalle, trovandoci circondati dagli alberi che incombono su di noi con i loro tronchi secchi.

Stringo la mano sul ramo raccolto dal ciglio della strada. «, referisce di no. Credevo si fosse abituata alla morte, ma trovare quello scheletro l'ha turbata... tu piuttosto che ci fai qui?»

«Fare la guardia è noioso» risponde lei passandomi avanti. «Soprattutto quando non puoi far esplodere niente perché potrebbe allertare gli Immortali» aggiunge voltandosi; allarga le braccia e cammina con la schiena verso la salita per qualche passo, poi si volta e prosegue.

«Nessuno vuole rischiare di perdere munizioni».

«Già l'eternità è noiosa, se vi ci mettete pure voi tanto vale andare a girare il mondo!»

«Non c'è nessuno. È inutile».

Altre risposte simili le arrivano dagli altri componenti del gruppo. Altre voci rotte dalla fatica delle due ore di cammino, dalla salita che ancora non mostra il nostro obiettivo. Qualche bestemmia si perde nell'aria: qualcuno ha avuto il coraggio di dare voce a quel che forse tutti pensiamo - o forse si è solo arreso.

Lancio il bastone a terra non appena arriviamo nello spiazzo antistante il cancello. Non sembra essere cambiato niente dalla volta scorsa: una delle due parti è a terra, l'altra è ancora in piedi, ma appare così instabile che potrebbe finire a terra se qualcuno la spingesse.

Tutt'intorno il rumore dei tappi estratti a forza dalle borracce riempie l'aria.

Le labbra secche bruciano quando la lingua ci passa sopra, in un vano tentativo di calmare la sete: non voglio sprecare acqua - potrebbe servire dopo, a Mirah.

«Dividetevi a coppie». Rafel non fa in tempo a finire di parlare che Riya si avvinghia al braccio.

«Dimmi se preferisci quello della 9» mi sussurra all'orecchio.

«Dé! Piuttosto mi butto da lassù» le rispondo indicando il tetto.

Soltanto le linee scure delle impalcature che ancora circondano l'edificio distinguono le pareti dal cielo: il loro color panna è sbiadito, così come la pittura dei graffiti che ora non sono altro che vaghe macchie di diverse tonalità che hanno perso di senso.

«Immaginavo» risponde lei avviandosi; estrae la torcia dalla cintura, la fa roteare nella mano prima di puntarmela contro. «Intendi muoverti o preferisci giocare alle belle statuine?»

«Fanculo».

Non risponde: tira avanti verso le scale e, una volta sul pianerottolo, accende la lampada. Impreca, sbattendola più volte contro il palmo della mano finché il fascio di luce non compare, per poi essere inghiottito dal buio.

«Da che parte?»

«Terzo piano. Voglio continuare a cercare nel punto dell'ultima volta».

«Te lo ricordi?»

«All'incirca...» Punta la torcia sulle scale: i gradini sono pieni di detriti, ovunque ci sono graffiti e incisioni nel muro. «Posso ritrovarlo».

La luce proveniente da fuori è insufficiente a capire quali siano i pericoli che abbiamo intorno. Potrebbe crollare da un momento all'altro, la struttura. Dobbiamo sperare che non sia questo il momento.

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