Capitolo 24

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"Questa pecora ha un profumo incredibile, non credi?" Chiedo al mio alter ego.

"Nulla da eccepire sulla qualità della carne, d'altronde il Marco non ha mai sbagliato a fornirci un solo prodotto ovino, con quello che ci fa pagare tra l'altro, però rimango dell'idea che avremmo dovuto usare un agnello. Qui a Milano non è facile offrire una carne così forte come la pecora. I palati sono troppo fini." Obbietta lui senza mezzi termini.

"See, "fini" ... io avrei detto altro. Posso essere d'accordo con te Stefano ma stiamo già stravolgendo troppo la ricetta violentandola levando pezzi fondamentali come lo strutto nella fase del soffritto o come le cervella della pecora che si sciolgono lentamente nell'intingolo dello stufato. Tutte cose che non potevano mancare secondo la ricetta dello chef Alessandro. La carne della pecora non si tocca!" Sentenzio senza lasciare possibilità di replica. "E poi sentirai che bontà una volta assemblato il piatto, non ne potrai fare più a meno."

"Come vuole lei chef." Accentua lui la cadenza della frase per marcare una leggera canzonatura. "I pomodori come vuole che glieli faccia? Li pelo solamente o gli levo anche i semi?"

"Levami anche i semi, sciocco. Fammi anche una mirepoix abbastanza fino di sedano e carota mentre la cipolla la voglio abbondante e in falde larghe. Dopo prendiamo la chitarra e facciamo gli spaghetti, spero che Marta abbia fatto la pasta altrimenti me la mangio quando torna. Io intanto smonto l'intera coscia e taglio la carne in pezzi cubici di 3 centimetri di lato."

"Sì, mi raccomando non voglio vedere nessun millimetro in più o in meno." Continua lui a prendermi in giro, questa volta prendendo di mira la mia maniacalità nel fare le cose in questo momento di rilassatezza. "Certo che come dissezioni tu la carne non ho visto altri, adesso a parte gli scherzi, dico sul serio mi hai sempre fatto invidia."

Solo lui riesce sempre a farmi star bene e tranquillo, anche in un periodo così confuso e difficile come quello che sto vivendo ora.

"Ti ringrazio ma non è merito mio, è merito dei coltelli." Gli sorrido.

È tutto il giorno che io e Stefano stiamo provando un piatto nuovo da inserire nel nuovo menù. È un piatto tipico delle mie parti uno di quelli che il mio chef Alessandro dell'osteria mi faceva preparare e per il quale eravamo rinomati in tutta la zona. Si tratta del Cutturid un piatto del periodo pasquale a base di carne di pecora stufata lentamente con la classica base di cipolle e aromi e una buona dose di pomodori. Da questa preparazione vorrei estrapolare un primo piatto con uno spaghetto alla chitarra, altra specialità che si trova di sovente in Basilicata, cambiando leggermente alcune parti della ricetta perché ovviamente qui al "Castore & Polluce" non possiamo mettere un piatto da osteria e quindi dobbiamo renderlo meno pesante dandogli un carattere più europeo, in pratica dobbiamo leggermente snaturarlo da quelli che sono i suoi sapori originari. Però essendo io estremamente legato alle mie origini e alle mie prime esperienze con lo chef Alessandro ci tengo in particolar modo che venga inserito nel nuovo menù anche se un poco imbastardito.

Non posso dimenticare quanto fece per me quell'uomo in quel momento della mia vita, fu un vero e proprio padre dal punto di vista affettivo e dal punto di vista di insegnamenti professionali e di vita.

Anche dopo la visita al mattatoio continuò a starmi vicino tanto è vero che, dopo quella intensa esperienza che tanto mi sconvolse l'esistenza, passarono i mesi e la vita sembrò riprendere quel corso che aveva, seppur per un breve lasso di tempo, largamente abbandonato e tutte quelle forti sensazioni tornarono a coprirsi di quella coltre di massi e cenere che mi aveva protetto fino ad allora. Addirittura l'impegno con l'osteria divenne totale aggiungendo al lavoro mattutino del pranzo quello del servizio serale della cena perché mio padre, non appena vide questa nuova entrata economica nel cassetto familiare, capì subito che se io avessi lavorato tutto il giorno questa rendita sarebbe stata maggiore e di conseguenza lui avrebbe potuto lasciare il proprio lavoro di allevatore per dedicarsi alla sua vera vocazione di bevitore devastandosi di alcol.

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