Il deputato che gridò amore nel cuore del mondo

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<<Scegliete un ideale; scegliete un partito; scegliete gli amici; scegliete con chi candidarvi; scegliete un maxislogan del cazzo; scegliete cartelloni, congressi, una laurea e comparsate in tv. Scegliete la buona scuola, di abbassare le tasse e uscire dall'euro; scegliete una posizione sull'immigrazione; scegliete una prima poltrona; scegliete una coalizione; scegliete di andare al governo o all'opposiozione; scegliete un ufficio a montecitorio a rate e ricopritelo con una stoffa del cazzo; scegliete il fai da te e chiedetevi chi cacchio siete la domenica mattina; scegliete di sedervi sul divano a spappolarvi il cervello e lo spirito con i comizi mentre vi ingozzate di schifezze da mangiare. Alla fine scegliete di marcire, di tirare le cuoia in uno squallido ospizio ridotti a motivo di imbarazzo per gli stronzetti viziati ed egoisti che hanno smesso di votarvi; scegliete un futuro; scegliete la politica. Ma perché dovrei fare una cosa così? Io ho scelto di non scegliere la vita, ho scelto qualcos'altro, le ragioni? Non ci sono ragioni, chi ha bisogno di ragioni quando ha il MoVimento?>> scoppiò a ridere Di Maio, seguito a ruota da tutti i parlamentari del MoVimento che gli si erano accalcati intorno nella pausa tra i lavori.

<<Ah, Gigino!>> esclò Fico, asciugandosi le lacrime <<Per fortuna che ci sei tu, altrimenti ci sarebbe da spararsi in queste aule.>>

<<Non dica così, onorevole!>> sogghignò Gigi, sistemandosi gli occhialetti, per poi continuare alzando il tono della voce <<ci sono un sacco di pagliacci qui pronti a farci ridere.>>

La frecciatina del leader pentastellato era arrivata anche alle orecchie del destinatario: Silvio Berlusconi scosse il capo, scuotendo il capo e voltandosi per dare le spalle al gruppetto grillino.

<<Hai sentito Dibba?>> chiese Fico, interrompendo quel caldo senso di godimento che provava l'avellinese.

<<No. Pare scomparso dopo i disordini della scorsa settimana.>> rispose senza lasciar trasparire emozioni, ma lanciando uno sguardo di sottecchi alla seggiola vuota tra i ministri. Nemmeno oggi Maria Elena si era presentata ai lavori: era assente da quel giorno in cui Alessandro se l'era portata via. Forse Gigino non se ne sarebbe preoccupato, ma Gramisci aveva preso a cuore la piccola democratica che tanto le ricordava la sua gioventù militante. Chissà se Dibba era veramente così affidabile come si diceva nel movimento.

Nel frattempo, tra i colli fuori Roma, una moto sfrecciava sulla strada secondaria a gran velocità. Il suo carico, più prezioso di quanto non si direbbe, si articolava di un abile centauro ed una prosperosa ragazza, che gli si stringeva al petto quasi stritolandolo. Il rombo del bolide risuonava per chilomentri tra i campi, incontrando i pochi caseggiati che ne puntinavano il paesaggio; uno di questi era l'obiettivo della strana coppia.

<<Mi stavi uccidendo! Sei mai salita su una moto prima?>> domandò con tono esasperato l'uomo, sfilandosi il casco una volta giunti difronte ad una vecchia casa diroccata.

<<Beh, non è colpa mia se guidi come un pazzo!>> rispose Maria Elena a tono, scendendo dalla ciclomotore. Le gambe ancora le tremavano.

<<Quindi è questa? Ne sei sicura?>> sibilò Dibba, scompigliandosi i capelli ed osservando la grande struttura, quasi fatiscente.

<<Che c'è? Non ti fidi di me solo perché sono del PD?>> fece l'altra, sogghignando.

<<Non è questo, è solo che... me lo aspettavo diverso. Siamo sicuri sia una buona idea venire qui?>>

<<Sicuramente un'idea migliore che assediare la sede del partito.>> tagliò corto Boschi, caustica. Aveva deciso di aiutare il pentastellato a trovare questo fantomatico candidato premier che profuma di girasoli. L'unico uomo che poteva sapere di che si stava parlando, grazie alla sua secolare esperienza, doveva vivere in quel luogo. Non avevano altre possibilità. Alessandro sembrava esitante e Maria Elena se ne stupì per qualche secondo: non se lo sarebbe mai aspettato da uno come lui; poi fece mente locale. Dibba era in territorio sconosciuto, sconsacrato e difronte ad un mostro. Anche il più indomabile dei cuori avrebbe perso qualche colpo. Maria Elena si avvicinò all'uomo, che ora le sembrava più un ragazzo, e gli strinse la mano incrociandone lo sguardo. Il moro prese coraggio e, con il Ministro a stringerle la mano avanzò verso l'incombente struttura. Sebbene avessero passato solo un paio di giorni insieme, sembravano aver instaurato uno strano feeling.
Il Che italiano batté vigorosamente sul portone in legno marcio che, in tutta risposta, si scostò cigolando. Ci misero un secondo a trovare la forza per varcare la soglia. La polvere infestava quasi ogni millimetro dello stretto corridoio, privo uscite se non quella che si poteva intravvedere al suo capolinea. I due camminarono in fila indiana, ma senza lasciarsi le dita, fino al varco coperto da un pesante panno in velluto che una volta doveva essere stato di un rosso vivo; oggi la polvere ed il tempo ne oscuravano inclementemente ogni pregio. Dibba lanciò un ultimo sguardo tentennante alla donna, che rispose con un mezzo sorrisetto nella penombra. Il ministro stava morendo di paura, ma cercò di essere rassicurante.

Con un gesto rapido, quasi febbrile, Dibba scostò il tendaggio, rivelando  uno stanzone dalle fattezze mistiche: illuminata da un grosso occhio che si apriva nell'alto soffitto, la stanza era più o meno circolare. Tutto il mobilio era coperto da coperte ingrigite dal tempo e l'aria era satura di pulviscolo. Al centro del salone stava una sorta di trono. Il legno che lo componeva era scuro ed opaco, quasi come la figura che vi sedeva immobile. All'inizio i due dovettero aguzzare la vista, facendo qualche passo avanti, in modo da poter osservare oltre la nebbia che soffocava l'etere.

<<Egregio...?>> gemette insicura la donna dalle spalle di Alessandro. Una sorta di fremito nelle carni -anche se non si sarebbero dette carni- dalla nodosa figura fece sobbalzare la coppia di aventurieri.

<<Chi mi cerca?>> una sorta di brezza spirò alle loro orecchie. La voce rauca e tremolante doveva essere quella dell'uomo seduto sulla sedia.

<<Egregio Scalfari,>> iniziò, con voce ferma, Dibba <<sono l'Onorevole Di Battista. Sono qui perché ho una domanda da porle.>> Sapeva che con queste entità arcane non ci si poteva perdere in troppi convenevoli o si sarebbe spesa tutta la giornata a sentire delle loro paleozoiche avventure. In particolare, i giornalisti erano la specie più pericolosa di tutte.

<<Fatevi aventi, giovanotti. Benvenuti nel mio umile regno. Sapete, sono un po' duro d'orecchio e da anni ormai anche la mia vista fa spesso cilecca.>> I due si mossero assecondando le rischieste dell'uomo; d'altronde nemmeno loro sentivano quello che diceva lui.

<<Egregio Scalfari,>> riprese Alessandro, cercando di introdurre la questione, ma venne interrotto dal sibilare del vecchio.

<<Oh, che voce giovanile! Che virgulto tonico!>> esclamò -per quanto gli fosse possibile col poco fiato che aveva- Scalfari <<Questa è musica per le mie orecchie. L'uomo sta riscoprendo le sue emozioni, lo sapevate? Ah, com'è bello essere uomini, di questi tempi! Oh, com'è un piacere poter finalmente esplorare le parti più recondite del nostro Io. Ne ho parlato profusamente nel mio editoriale della settimana scorsa, lo sapevate?>> domandò, retorico. Dibba lanciò uno sguardo a Maria Elena, implorandola di fermarlo, ma lei si ilimitò a fare spallucce. <<L'uomo moderno sta riscoprendo le proprie emozioni e la relazione con la natura. Lo sentite questo 33 giri?>> Il silenzio piombò per un secondo sulla sala, nemmeno un acaro della polvere osava ronzare <<Questo è il 33 giri di musica ambience in regalo domani con il mio giornale. La comprate voi la Repubblica, no? Domani è venerdì, ci sarà quindi anche come usuale il mio inserto.>>

<<E di cosa si parla in questo inserto?>> domandò quasi senza volerlo Maria Elena. Dibba la fulminò con lo sfuardo, ma aveva capito che non era colpa sua. Una strana magia avvolgeva quel luogo.

<<Parla dei cinque elementi, mio giovane ministro: acqua, aria, terra, fuoco e cashmere.>>

<<Cashmere?!>> domandò sorpreso Alessando, ormai anche lui rapito da quella strana stregoneria.

<<Cashmere eravamo e cashmere torneremo.>>

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