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Il ronzio degli schermi impestava l'aria e gli rendeva quasi impossibile pensare. Per quanto si sforzasse di rimanere serio e composto, il basculare delle ventole silenziose gli dava ai nervi.
Si allentò il nodo della cravatta, cercando di respirare più facilmente: si sentiva annaspare, così lontano dall'acqua.

<<Dunque?>> gracchiò una voce proveniente dagli altoparlanti.

Esitò a rispondere, messo in soggezione da quella parete di schermi fluorescenti. Perché il Cav avesse scelto di utilizzare dei tubi catodici, non se lo sapeva spiegare.

<<Beh, pare siano appena usciti dall'antro di Scalfari.>>

<<Eccellete.>> sorrise l'enorme faccione che saltellava difronte a lui; come alzava il lato delle labbra, una lunga serie di rughe gli faceva eco. <<Quindi hanno scoperto chi è il Candidato Premier che profuma di girasoli?>>

<<Così parrebbe, Presidente.>> rispose l'uomo, asciugandosi il sudore dalla fronte con un leggero fazzoletto in cotone, riposto subito nel taschino.

<<Ti avrò detto mille volte di chiamarmi Cyber Presidente, idiota.>> tuonò Berlusconi, facendo vibrare gli altoparlanti.

<<Mi scusi->> tentò un leggero inchino l'uomo vestito di tutto punto.

<<E poi datti un contegno, non puoi sudare come un maiale anche qui, Crybbio..>> continuò CyberSilvio, sistemandosi la giacca virtuale.

<<Mi scusi->>

<<Ormai sei un Ministro del Governo da anni, dovresti aver imparato a termoregolarti.>> sbuffò il Presidente di Mediaset.

<<Qui c'è poca aria e...>>

<<Beh, che diavolo ti aspettavi? L'aria è roba da comunisti.>>

<<Ha ragione, mi spiace Cyber Presidente!>> si inchinò profondamente l'uomo, quasi a toccare il terreno con la punta del naso.

<<Ora vattene. E cerca di essere meno ossequioso d'ora in poi: un giorno dovrai ereditare tutto quanto.>> concluse Silvio, scoppiando a ridere, per poi spegnere gli schermi.

<<Certo, Cyber Presidente.>> rispose, ormai senza più nessuno ad ascoltarlo, mentre le tenebre lo avvolgevano. Da quando Berlusconi era asceso allo stato esistenziale di meme, interfacciarsi con lui era diventato incredibilmente complicato, nonostante fosse virtualmente in ogni luogo in ogni momento. L'ubiquità aveva reso solo più fastidioso il suo accento lombardo.





Da quando erano usciti dalla villa diroccata del fondatore, non avevano detto una parola. Anche per tutto il viaggio in moto fino a casa Maria Elena si era limitata a stringersi contro le possenti spalle del pentastellato. Dal canto suo, Alessandro non sapeva che pensare: si sentiva euforico per quella rivelazione, ma perfino ora che si trovava faccia a faccia con lei non riusciva a vedere nemmeno un barlume di felicità nei suoi occhi.

<<Spostiati Ale, io devo andarmene.>> fece la donna, cercando di aggirare il corpo di Di Battista, il quale prontamente le si parò nuovamente davanti.

<<No, aspetta Maria Elena!>> la scongiurò il deputato, bloccandole l'a porta del monolocale <<Dove vuoi andare?>>

<<Senti,>> il Ministro si massaggiò le tempie e chiuse gli occhi <<è stato divertente giocare ai buoni amici per un paio di giorni, ma io devo andare in parlamento ed avertirli di quello che sta succedendo.>>

<<Cosa?>> esplose lui, aggrappandosi alle spalle della donna e cercando i suoi occhi.

<<Tu forse non capisci le dimensioni di quello che ci ha detto Scalfari.>> rispose lei, gelida.

<<No, tu non capisci di cosa stiamo parlando! La fine della Seconda Repubblica, la fine della corruzione e del malaffare! Quello per cui ho sempre lottato...>>

<<La fine del mio mondo, Alessandro. Sarà la fine del mio mondo. Lo capisci questo?>> domandò lei, questa volta era il pentastellato ad evitare il suo sguardo.

<<Forse sei ancora in tempo per redimerti, Maria Elena...>> sussurrò lui. Non riusciva a sostenere lo sguardo della donna, forse per la prima volta nella sua vita. Nonostante ciò, sentiva distintamente il peso di quegli occhi gravargli sul viso: sentiva il disprezzo che provava la donna dopo quelle parole.

<<Devo andare a metterli in guardia.>> ripeté lei, scostando con un gesto sdegnolo le braccia del Che italiano, che ricadero come morte lungo la sua figura. <<Se avrai bisogno di me, potrai trovarmi lì.>> sentenziò secca, sbattendosi la porta alle spalle.

<<Ed ora?>> domandò la vocina della piccola Fuu dal fondo del locale. Alessandro appoggiò le spalle alla porta, pensando alla situazione in cui si era andato ad infilare.

<<Ed ora chiamiamo Beppe.>>





Il cellulare del deputato a cinque stelle iniziò a vibrare. L'uomo si sistemò gli occhialetti sulla punta del naso e lasciò scorrere le dita sullo schermo dello smartphon.

<<Qui Gigino.>>

<<Sono Beppe.>> gracchiò la voce con un marcato accento ligure dall'altro lato della linea.

<<La ricevo forte e chiaro.>>

<<Ho appena parlato con Ale, pare che la situazione si faccia interessante.>>

<<Riguardo l'orfanella?>> la reincarnazione di Gramsci si mise comoda sulla poltroncina del luminoso ufficio in cui si trovava. Le note moderne non lo facevano impazzire, ma quella vetrata da cui si poteva vedere tutta Roma era qualcosa di indescrivibile.

<<Pare sia la figlia di Craxi.>>

<<Quel Craxi?>>

<<Quanti Craxi conosci, belin?>> Di Maio sentì scoppiare a ridere il comico <<La situazione si fa interessante. Nelle prossime ore farò un sondaggio sul Blog per capire cosa ne pensano i cittadini.>>

Di Maio scosse il capo <<Questa cosa della democrazia diretta non l'ho mai capita; per quanto mi riguarda, anche l'Ordine Nuovo non concepiva la rappresentanza se non...>>

<<Sì, sì, non me ne frega un cazzo Tonino. Torna a fare il comunista nella tua epoca, se ti va; questo è il momento del Blog, della democrazia diretta e dell'onestà.>> questa volta fu Luigi a scoppiare a ridere, fino quasi alle lacrime.

<<Beppe, ho qualche anno in più di te. Fai il sondaggio che ti pare e poi dimmi cosa decidi di fare.>> chiuse la chiamata il deputato, accavallando le gambe e guardando verso l'uomo che nel frattempo aveva preso posto alla scrivania che troneggia davanti alla vetrata.
<<Parliamo d'affari?>> domandò con un sorrisetto il pentastellato meridionale.

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