Additive Fade - parte I

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1 Settembre 2012
[Ad oggi sono quattro mesi che la mia vita è finita.
È mai possibile morire così tante volte in una sola esistenza?]

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51°30'51.5"N 0°07'47.1"W

Jane era seduta alla scrivania del suo appartamento con la sola luce del telefonino a rischiarare la stanza. Aveva preso l'abitudine di scrivere piccole frasi su quel dispositivo senza neanche rendersene conto. Sentiva come un impulso latente che la spingeva a fissare in parole i frammenti di una vita di cui non riusciva a rimettere insieme i cocci.

Addosso aveva solo una canottiera fina e degli slip e dietro di sé il letto sfatto di una notte consumata con l'ennesimo ragazzo conosciuto da poco e che non avrebbe più rivisto.

Pezze, tasselli, sostituti con cui pretendeva di aggiustare la voragine che le si era aperta nel cuore alcuni mesi prima, ma che non erano serviti a rimarginarla.

Edward se n'era andato e con lui quei pochi fragili progetti in cui la ragazza aveva cominciato a sperare.

Un lavoro all'estero, un incarico di responsabilità, il trovarsi di fronte a un bivio crudele che lasciava poco spazio a qualsiasi altra soluzione. Per quanto difficile, lo avevano affrontato, ne avevano discusso, decidendo di comune accordo che quella sarebbe stata la scelta migliore: dividersi per darsi una possibilità. Farlo subito, per evitare di portare avanti gli strascichi di una storia che comunque era destinata ad andare a finire; lasciarsi prima che uno diventasse un peso per l'altro e che ci si rinfacciassero le colpe a vicenda.

Lei gli aveva detto queste parole, consapevole che se ne sarebbe pentita, che sarebbe finita in un limbo di dubbi e ripensamenti. Sapeva che sarebbe stato meglio dividersi con un'accanita discussione che recide ogni legame, piuttosto che lasciare intatto quel filo sottile che tiene ancora saldati a una speranza. Una stringa eterea, ma che non accenna a spezzarsi, alimentata dalla stupida illusione che il tempo riporti indietro le cose di cui ti ha privato.

Ripassava mentalmente ogni singolo avvenimento che l'aveva annientata con crudeltà.

Nello stesso mese che si erano lasciati, erano morti anche i suoi due cuccioli. A ventotto giorni di distanza, una malattia le aveva tolto l'uno e poi l'altra, scagliandosi con impietosa puntualità nel momento in cui aveva finito di asciugarsi le lacrime iniziali. Come un pendolo preciso, gli eventi l'avevano colpita a intervalli regolari, lasciandola sola ed esanime.

Desiderava solo rinchiudersi in casa, ma per mantenersi doveva continuare a recarsi sul posto di lavoro dove l'attendevano persone che sapevano tutto ciò che era successo e di come sette anni di convivenza fossero finiti nel cesso, facendola diventare il fulcro dei loro pettegolezzi. Chiese quindi la riduzione delle ore a un part-time, consapevole che si sarebbe trovata ben presto in mezzo a una strada: stava coscientemente prendendo decisioni che l'avrebbero annientata.

Per svagarsi, un giorno entrò in una libreria del centro, un bookshop di ben sette piani che dava la possibilità ai clienti di prendere liberamente i libri dagli scaffali e leggerli su delle poltroncine messe a disposizione. Questa era una delle tante stranezze di cui Jane non si capacitava: in quella città in cui dovevi pagare fino all'ultimo centesimo qualsiasi cosa, si ergeva un'attività commerciale così singolare. Si domandò se fosse perché le persone che leggono non sono abbastanza, concetto che strideva con una libreria così enorme.

Una volta dentro, si mise a sedere con un libro fra le mani per poi rendersi conto di non riuscire a concentrarsi sul testo. Non avendo mai letto molto nel passato, non sapeva che genere scegliere o prediligere; si era lasciata guidare dall'intuito, costeggiando la sezione narrativa generale e scegliendo un libro basandosi esclusivamente sui fattori 'piccolo' e 'dal titolo evocativo'.

Appena iniziato a leggere, già detestava il protagonista: un borioso pseudo-scrittore raccontava i fatti della vita secondo il suo personale punto di vista. Non ne seguiva il ritmo narrativo, tant'è che si fermava spesso a guardarsi intorno domandandosi chi glielo avesse fatto fare.

Iniziò a osservare le persone intente a leggere, per lo più giovani e universitari; sicuramente degli spiantati come lei che approfittavano dell'opportunità di poter usufruire dei libri a scrocco. Si soffermò su un ragazzo che, leggendo concentrato un romanzo, sorrideva senza accorgersene.

Si domandò di cosa potesse narrare quel testo per suscitare una simile reazione, inclinò la testa cercando di scorgerne il titolo ma la mano del ragazzo lo copriva. Prese coraggio e decise di chiederglielo.

La sera stessa si ritrovarono nello stesso letto. La ragazza si era concessa senza troppi giri di parole nella speranza di trovare una ragione plausibile per convincersi che con Edward fosse finita e iniziare da capo con qualcun altro. Ma la sua mente era caparbia, i ricordi inamovibili: mentre quel ragazzo si muoveva su di lei, pensava al suo uomo, o a colui che si ostinava a credere tale. Le mani che l'afferravano, la bocca che esplorava il suo corpo non appartenevano a quello sconosciuto, ma erano quelle di Ed, anche il preservativo che stavano usando proveniva da una scatola che il suo ex aveva lasciato a metà, a metà come la loro storia. Quando raggiunse il suo orgasmo, lo fece immaginando che tutto fosse tornato come un anno prima.

Non se ne pentiva, non aveva alcun rimorso ad aver usato quel giovane per sfogare la sua frustrazione. Gli disse velatamente che quell'evento non si sarebbe mai più ripetuto e, quando lui se ne andò, si salutarono come fanno due estranei che si incrociano di tanto in tanto.

Pensò che se quello era il palliativo che le avrebbe permesso di tirare avanti, si sarebbe concessa a chiunque le andava facendo attenzione che non venissero superati i confini della sua emotività. Avrebbe impedito a tutti di rivederla una seconda volta e, soprattutto, di baciarla: le era salito quasi un moto di ribrezzo quando lui aveva unito la saliva alla sua, assaporandole l'essenza dell'anima. Quel contatto era troppo intimo, più di quanto non lo fosse il sesso, e nessuno poteva prendere quello che spettava solo a Ed.

Una volta a settimana, in un giorno non prestabilito, Jane si recava alla libreria, sceglieva un piano e osservava le persone che lo popolavano, scovando un ragazzo intento a leggere che l'attraeva per un qualche minimo dettaglio. Li sceglieva sempre giovani, molte volte scopriva che erano alla loro prima esperienza e godeva nel condurre il gioco, a metterli in imbarazzo, mostrandosi fin troppo sicura di sé mentre si contorceva sui loro corpi tesi e impacciati. Pensò anche di rendersi socialmente utile facendo loro una sorta di predica su quanto fosse importante l'uso del preservativo e di quanto fosse sbagliato andare con la prima ragazza che capitasse a tiro. Lo diceva mentre si avventava su di loro, spingendo con rabbia fino a farsi male, affinché il dolore fisico anestetizzasse quello mentale.

A volte capitava con ragazzi ben più esperti e allora permetteva loro di decidere cosa farne di lei; si lasciava sbattere estraniandosi dal rapporto, immedesimandosi in una sorta di bambola di carne da usare e gettare dopo l'uso.

La volta seguente avrebbe ricominciato da capo, approcciando un nuovo ragazzo con la scusa di chiedere cosa stesse leggendo.

Le Ceneri della Fenice 3 - Broken Strings - CompletoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora