Ci andammo a sedere. Kirsten era sparita, non l'avevo vista per i corridoi stamattina. Avevo rapidamente contato quante calorie conteneva il mio vassoio: il Dr Butler diceva che ce ne dovevano essere almeno cinquecento, se avevo fatto una colazione altrettanto sostanziosa. A occhio, mi pareva di sì. Un tempo avrei dato di matto se avessi dovuto mangiare tutta quella roba. Ora mi sentivo così bene all'idea che ciò non mi creava più problemi. Non mangiavo più semplici numeri, ma vero cibo. E non mi sentivo colpevole.
«Drake, hai visto Jake, questa mattina?» Lui alzò lentamente lo sguardo dal suo piatto, smise di arrotolare gli spaghetti attorno alla forchetta. Sembrava gli avessi chiesto se avesse mai visto i suoi genitori darsi un bacio con la lingua. Lui e Julie si scoccarono un'occhiata.
«Come hai detto, scusa?» fece lei, accigliandosi. «Avete visto Jake?»

Sentii delle dita stringersi attorno alle mie spalle. Un familiare sentore di dopobarba al mentolo che non mi era mai piaciuto molto, anzi, ogni volta arricciavo il naso o trattenevo il fiato. «Ehilà, che si dice?» Sentii la mano di Simon scivolarmi lungo la schiena, fino all'altezza del bacino. Ebbi una sorta di spasmo, come se mi avesse punto. «Che c'è?»
Si imbrunì, poi si chinò in avanti come se mi dovesse togliere una briciola dal mento. Pensai che a un certo punto avrebbe smesso di avanzare, eppure d'un tratto il suo fiato mi batteva sulla bocca. Sgranai gli occhi mentre univa, rapidamente e come se fosse una cosa comunissima, le sue labbra alle mie. Le sentii assaporarmi leggermente quello inferiore, mentre mi spingeva il viso contro il suo con la mano destra. «Ti stanno benissimo questi capelli.» Le mie palpebre erano così inattive che mi si erano seccate le orbite da un po'.
«Hai visto un fantasma, Alexis?» sogghignò Drake. «Sì, sei più strana del normale.»
Ero agghiacciata. Nei sogni in genere non riesci a contarti le dita. L'avevo letto. Così, sul punto di sollevare la mano per provarci, al posto della mensa scolastica era apparso il mio cuscino.

«No, no, no...» A occhi chiusi diedi una spinta contro il muro, forse sentendomi soffocare. Poi sentii un gran tonfo susseguito da un gemito. Ebbi un sobbalzo e il letto emise uno strano cigolio. Prima o poi mi avrebbero fatto comprare una rete nuova per il dormitorio, avevo fatto staccare qualche asta di legno negli ultimi anni. «Vacci piano, Boccoli D'oro. Non volevo svegliarti ma...»
Una risata mi sfuggì spontanea dalle labbra, poi mi affacciai oltre il materasso e allungai il braccio come se davvero potesse essergli d'aiuto. Jake si tirò sui gomiti; la cinta aperta su dei boxer della Calvin Klein blu mare.
«Intoni le mutande agli occhi adesso?»
Jake mi afferrò per un gomito. Emisi un gridolino, scivolandogli come un peso morto addosso.
«Che mossa geniale, complimenti.» Mi tirai su, su gomiti e ginocchia. Lui mi colpì il braccio, caddi di nuovo in avanti, sbattendo la faccia contro la sua.
Spostandomi i capelli, mi baciò la punta del naso.
«Hai il naso più piccolo che abbia mai visto, fai impressione.»
«Oh, grazie. Pensa che è direttamente proporzionale al tuo cazzo.»
Rise. «Menti sapendo di mentire?»
«Mi liberi, così mi rimetto a letto? Tra due ore mi suona la sveglia.»
«In realtà sono appena le undici di notte. E domani è domenica.»
Che sollievo. «Be', potresti comunque permettermi di tornare a letto?»
«Scherzavo, la tua sveglia è suonata da cinque minuti ed è solo venerdì.»
Mi accigliai, mettendomi a cercare l'orologio della stanza con lo sguardo. Mi prendeva in giro? «Stai scherzando? Perché illudermi così?»
«Guarda che la scuola non è ancora iniziata», sogghignò.
Salii sulle ginocchia e gli sbattei il cuscino in faccia. «La smetti? Sono confusa di mattina, lo sai. Frequenti l'università e piuttosto che prepararti psicologicamente ti diverti a darmi fastidio?»
Tornai in piedi. Jake si rialzò, ridendo. Poi mentre io mi affrettavo verso l'armadio, si stese sul mio letto, con le braccia incrociate tra il cuscino e la testa.
«Ho letto che le ragazze nevrotiche hanno il 50% di possibilità in più di essere bocciate ai test, una volta.»
Alzai gli occhi all'insù, mentre tiravo giù un vestito qualunque da una stampella qualunque. Bianco, a fiorellini rosa... Non era mio. Arrivava a metà coscia, le maniche corte avevano l'orlo arricciato verso l'interno, come piaceva a me.
«Non è mio, giusto?»
Glielo mostrai. «Sì, è tuo. Te l'ho regalato per l'anniversario della nostra conoscenza. Che è oggi.»
«Oh, grazie. E così... oggi sarebbe l'anniversario della nostra conoscenza?»
Le mie scarpe dovevano essere infilate sotto al letto, oppure le avevo lasciate in bagno dopo la doccia ieri notte...
«Conoscenza, o attacco alla mia persona. Puoi chiamarlo come preferisci... mentre torni a letto e...» Mi tirò per il polso. Poi mi afferrò per il busto, trasversale come se fossi una chitarra.
«Mi hai scambiata per Annabelle? Non mi piace il solletico o essere presa in braccio», borbottai.
Il sorrisetto sul suo viso lasciò spazio a una faccia interrogativa. «Hai fatto un incubo?»
«In un tal senso...» Mi rimisi dritta.
«Racconta, non potrebbe turbarmi. Non mi spaventano i sogni.»
Serrò la mascella, tornando serio, pronto ad ascoltare. Strozzai una risata. «Mh, vediamo. Forse eri morto, perché sembrava che non fossi mai esistito. Oppure, nella migliore delle ipotesi, mi avevi mollato. O viceversa.»
Due fossette - ragione del mio batticuore ogni volta che sorrideva - gli si disegnarono sulle guance e contento, disse: «La sola remota idea che ci potremmo mollare ti fa svegliare con la luna storta? Sono fiero del potere che ho su di te.»
«Se non mi fai preparare, non sarà più così remota.»

Amami nonostante tutto 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora