Il libro delle piccole Storie

I FERRI DEL MESTIERE

Bella era bella ma non sapevo decidermi se lo fosse così tanto da affrontare tutta quella ferraglia. All'epoca portava un doppio apparecchio che le imbrigliava entrambe le arcate dentarie e che, con il giusto raggio di sole, proiettava i suoi rari sorrisi sulle pareti delle palazzine circostanti. Una sera, tuttavia, i miei sentimenti riuscirono a farsi largo nella codardia e approfittando dei pochi testimoni presenti, le chiesi di accompagnarla, a piedi verso casa. Contrariamente a quanto m'aspettassi lei accettò con un certo slancio e ciò, oltre a farmi piacere contribuì alla mia sicurezza rendendomi anche un tantino più audace.

Fu così che attorno alle undici di notte lasciammo insieme la piazza e ce andammo via silenziosi cercando di percepire anche da lontano i commenti e le sghignazzate degli amici.
Insieme, attraversammo il paese come una coppia di fantasmi senza dimora, ricomparendo solo di tanto in tanto sotto il cono giallo di qualche lampione acceso senza tuttavia farci mai sorprendere in atteggiamenti più intimi di quelli tra due vecchi amici, seppur di sesso diverso.
Solo a pochi isolati da casa sua ebbi il coraggio di fermarla e di fissarla negli occhi: lei non fece alcuna resistenza anzi, mi parve contenta e finalmente sollevata. Fu lì, in quell'istante, al chiarore della sola luna che ella spalancò gli occhi e facendosi ancora più piccina tra le mie braccia, mi sorrise.

Il mattino successivo, alle domande incalzanti degli amici, risposi che non "c'era stata" e che l'avevo baciata sulla guancia: "Tutto qui" dissi loro, ma la realtà era che non ero riuscito a fare nemmeno quello: eravamo rimasti abbracciati, immobili, in attesa che io facessi succedere quello che avrei voluto, ma che non ebbi mai il coraggio di fare.
Alcune ore dopo la rividi. Era su una panchina del parco giochi avvinghiata a un ragazzo che conoscevo, uno con la fama del latin lover consumato, uno che, evidentemente, sapeva come usare i ferri del mestiere.