UNO DEI MIEI PRIMI TENTATIVI DI SEMINARMI

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Presi a fare cose strane, tipo passare davanti a casa sua a tutte le ore del giorno e della notte. Allora avevo una bicicletta silenziosissima e affettavo il vento ad ogni colpo di pedale.
Il tempo non era affatto un problema per me e non lo era nemmeno far fatica per niente. Non era un problema neppure fare la figura del coglione perché era da parecchio che mi ci ero abituato e ormai non ci facevo più tanto caso.
A quel tempo ero solo un ragazzino innamorato di una che assomigliava vagamente a Brenda di Beverly Hills ma che aveva un padre molto meno gioviale e un fratello semi ritardato che ti gridava dietro parole sconce, tipo: "tettona" o "culatone!" o "vuoi limonare?".

Un giorno un amico mi prese da parte e mi convinse a dichiararmi. Disse che lei tanto lo sapeva, che tutta la classe tanto lo sapeva, che tutta la scuola tanto lo sapeva e che tanto valeva che mi facessi avanti una volta per tutte.
Io gli risposi: "va bene" perché volevo fare il ganzo, ma in realtà non è che fossi proprio convinto. Ormai m'ero costruito tutta una storia d'amore segretamente corrisposta ma ingiustamente negata. Negata da chi non è che mi importasse granché.
E poi ero talmente timido che molte volte passando davanti alla sua casetta a schiera finivo col tirare dritto senza girarmi a sbirciare: avrei voluto vederla senza che lei mi vedesse ma avrei dato un braccio perché fosse lei a chiamarmi, a fermare la mia pedalata anche solo per un saluto.

L'amico mi costrinse a farle un agguato fuori da scuola, era l'una del pomeriggio di un mercoledì senza sole e anche lei era in bicicletta, scortata da un'amica. Ricordo che percorsi la via adiacente quella che avevano preso loro assieme al mio amico il quale evidentemente ci teneva parecchio a farmi fare la figura del deficiente. Cercavamo di mantenere la stessa andatura delle ragazze controllando di essere a pari ad ogni viuzza di intersezione: ricordo che le vedemmo ridere e scherzare una affianco all'altra mentre noi eravamo parecchio tesi: l'obiettivo era accelerare all'ultimo e tagliare loro la strada all'altezza dell'ultimo stop con semaforo.
Fummo perfetti. Probabilmente due tra i più promettenti maniaci in circolazione in quei primi anni 90 oggi così maledettamente lontani. Ricordo che ci avvicinammo senza dire una parola, nemmeno qualcosa di distensivo tipo "Ciao" o "Ehilà": solo ci mettemmo di traverso con le bici ed io mi cavai fuori dalla bocca, secca come certi biscotti della nonna, qualcosa tipo: "Mi piaci. Tanto. E' vero sai?".
Dopodiché, senza attendere risposte o reazioni, presi subito a pedalare velocissimo indietro, in direzione della scuola.
Oggi non ricordo più tanto bene il vero motivo della mia fuga: forse fu vergogna, un mare di vergogna, o forse fu solo uno dei miei primi tentativi di seminarmi.

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