#8 Vendetta

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(Jason / Jorha)

Doveva essere successo un gran casino nella stanza d'ingresso, anche se ora era tornato il silenzio; persino la voce della donna a cavallo si era spenta. E adesso che il ladro aveva punito la sgualdrina, anche il suo compito era terminato?
«Meglio controllare», ragionò ad alta voce.
Jason non temeva il buio, ma il corridoio che separava le due stanze gli metteva addosso una strana inquietudine: ogni volta che lo attraversava, sembrava un tantino più cupo. Arrivato in fondo, appoggiò la mano allo stipite. Lasciò penzolare la testa oltre l’oscurità.
«Tutto a posto?», chiese.
Nessuno gli rispose.
Prima che avesse il tempo di riformulare la domanda, un rumore alle sue spalle lo fece sobbalzare.
Il nano!
Come poteva essere stato così stupido da lasciarlo solo?
«Torno subito, ok?», disse al vuoto.
Ripercorrendo i propri passi, pensò che dopotutto era contento di aver trovato una scusa per allontanarsi da lì.

(Dean / Dinerth)

L’unica luce in quell'infinita vasca di catrame puntava sulla sua testa. Cadeva dall'alto, e Dean si trovava nel centro esatto del nulla. Ma non era solo. I mostruosi folletti del buco dietro la parete erano tutti attorno a lui; li sentiva danzare in cerchio, ridendo.

[ Immagine dei folletti malvagi: http://bit.ly/1toz74N ]

Ogni tanto allungavano una mano, ma non lo toccavano mai. Dean non poteva farci nulla: una morsa invisibile inchiodava i suoi piedi al pavimento. Pregava solo che non lo prendessero, che non nascondessero il suo corpo come avevano fatto con il cadavere dello stregone. Lui li aveva visti, prima: lo stregone era volato nel pozzo e loro lo avevano portato via. Quel buco non era altro che la loro tana.
Poco alla volta, la luce dall’alto si allargò. Divenne calda, intensa, luminosa come un sole. Dean era mezzo nudo, sudava. Attorno a lui vide una miriade di facce. Lo osservavano, gridavano qualcosa. Nessun suono, però, usciva dalle loro bocche. Dean si ritrovò un oggetto freddo nelle mani. Guardò in basso, era…
«Tiragli in testa quello sgabello, El Niño!», qualcuno urlò dagli spalti.
«Che cazzo aspetti, idiota!». Quest’altro era Drake, il suo manager.
Dean era sul ring da combattimento; era al lavoro. Guardò a terra: il suo compagno di squadra, Giant Baba, era accartocciato in un angolo, privo di conoscenza. Maschera Bianca, invece, si stava rialzando proprio in quel momento. C'era qualcosa di fianco al piede di Dean: sembravano capelli, era una specie di parrucca. Dean alzò la testa verso Drake. Il suo manager aveva sicuramente puntato dei soldi sul match; a lui, però, non interessava: presto, infatti, avrebbe avuto un piccolo malloppo con cui gingillarsi. Anzi, se l'annuncio trovato sulla bacheca della palestra era vero, quello sarebbe stato il suo ultimo incontro.
Cercavano un attore, nell'annuncio, e doveva per forza essere un nano. Quando Dean aveva letto la ricompensa sul fondo, per poco non era svenuto. Aveva strappato il volantino ed era corso a casa. Senza perdere un secondo, si era collegato al sito indicato sul retro del foglio. Una volta inviata la sua candidatura, gli era venuto un atroce un dubbio: e se non fosse stato l'unico a iscriversi? Stava già per correre fuori e fare il giro di tutti i bar e palestre della città alla ricerca di altri volantini, quando la conferma arrivò all'istante, via mail. Lo conoscevano già: la parte era sua. Dean aprì l'allegato, ancora troppo stordito per esultare: si trattava di una specie di copione teatrale.
Qualcosa colpì Dean, e sul suo volto esplose una rete di dolore.
«Non vale, non vale!». Drake si stava sbracciando verso l'arbitro del match.
Dean girò la testa: il compagno di Maschera Bianca era fuori dal ring, appoggiato alle corde. Era stato lui ad averlo colpito. Non avrebbe potuto, però, il regolamento lo vietava. Dean si asciugò il piccolo rivolo di sangue che gli colava dal naso, poi sorrise. Un attimo dopo, il suo sgabello si disintegrava sul volto di quello. La folla esplose.
Si avvicinò a Maschera Bianca per finirlo, ma il paletto nell'angolo del ring attirò la sua attenzione; lo colpì un'idea: se quello era davvero il suo ultimo match, perché allora non finirlo in grande? Pestò qualcosa con il piede, guardò in basso. Sì, ora sapeva cosa fare.
“La sua incredibile forza deriva dalla barba.”
Raccolse da terra quella che prima aveva scambiato per una parrucca, e se la infilò sul volto. Un’onda d’urto decollò dalle sue viscere, spazzando via ogni rumore. Tornò tutto alle sue orecchie, un attimo più tardi, e lo fece con l'esplosione del tuono.

(Jason / Jorha)

Di nuovo nella stanza cerimoniale, Jason constatò che il nano era scomparso. Peggio ancora: gli aghi nella sua testa avevano ripreso a pungere. Socchiuse gli occhi. Vide qualcosa sull'angolo del tavolo: una sagoma, sembrava una piccola statua. Pensò subito a quelle mostruosità di pietra che stanno appese ai cornicioni degli edifici. Com’è che si chiamavano?
Garghe… gargamel…
La statua si mosse, e una lama di luce infuocata ne mise in risalto i lineamenti. Jason digrignò i denti. «Tu…», sussurrò.
Il nano teneva gli occhi chiusi, con le mani artigliava i propri piedi in una posa da rapace. Ma c’era qualcosa di diverso in lui; Jason guardò meglio, e comprese.
”La sua incredibile forza deriva dalla barba”, disse la voce della donna a cavallo, tornata nella sua testa. Guardati dall'ira di Dinerth!. A Jason quel tono non piaceva per nulla.
Il piccolo uomo spalancò gli occhi, allargò le braccia. Prima una, poi l'altra; le sue labbra si schiusero. «Phhhhh…», iniziò a sputacchiare.
Sta imitando un gatto, continua a prendermi in giro!
Liquida come un fluido, Jason sentì la rabbia irradiare ogni singola vena del suo corpo. Questa volta avrebbe colpito, e lo avrebbe fatto per abbattere. Alzò il suo enorme braccio, avanzando verso il tavolo come la montagna di Maometto. Il nano saettò in quell’esatto istante, gridando qualcosa di incomprensibile. Jason se lo ritrovò sulla testa; bloccò la propria avanzata, il braccio ancora sospeso. Nella stanza con lui non c’era più un nano, c’era un gigante. Chiuse gli occhi, preparandosi all'impatto.

(Dean / Dinerth)

La moltitudine urlava, si sbracciava, piangeva per lui. "El Niño! El Niño!", tutti latravano inferociti. In bilico sull'estremità del paletto, Dean liberò un braccio verso la folla. Un flusso invisibile si propagò da quel gesto, silenziando gli spalti al suo passaggio.
«Phhhhh…». Dean iniziò piano, emise solo un lieve sibilo. Il sibilo divenne voce, la voce si trasformò in grido. Il grido si perse nel boato isterico dell'oceano umano attorno a Dean. Maschera Bianca era sotto di lui, solo che adesso non era più Maschera Bianca: era il paladino. Sì, quell'ottuso ciccione che aveva risposto all'annuncio, proprio come lui. Meglio così, pensò Dean: gli stava particolarmente antipatico, quell’imbecille. Liberò l'altro braccio, caricò le gambe. Tutto era pronto, era perfetto.
«Phhhoenix Splaaash!»

[ Video della mossa nota come "Phoenix Splash": http://bit.ly/1pz77Le ]

Quando Dean si rialzò da terra, il ring era scomparso, e anche la folla. Sul pavimento di fianco a lui, svenuto, c’era il ciccione. Dean sorrise. La sua ascia giaceva dimenticata sul pavimento; la raccolse. Si girò, cercò con lo sguardo il buco oltre la parete.
«Sto arrivando, folletti di merda», disse. «Vengo a prendere anche voi». Con un balzo, Dean si tuffò nella voragine.

Enkil [ DA REVISIONARE ]Where stories live. Discover now