Fase V: Accettazione. (Prima parte)

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Quando, la sera stessa, fece ritorno al locale era animato dalle migliori intenzioni.
Si era persino rasato l'accenno di barba, colto dall'improvvisa consapevolezza di non voler apparire come il russo ubriacone e trascurato che effettivamente era. O quantomeno, non volerlo dare a vedere così tanto. Una stupefacente novità considerando che nemmeno se la ricordava l'ultima volta che aveva cercato di atteggiarsi a migliore, e mentre si rifiniva il mento con la lama si sentì anche piuttosto stupido per darsi tanta pena per quella che doveva essere una banale chiacchierata, e non il primo appuntamento con l'amore della sua vita.

Comunque sia, fresco di rasatura ma stretto nel vecchio cappotto polveroso, con una sigaretta ben ferma fra i denti, aveva varcato spavaldo la soglia del bar, per scoprire che... del biondino non c'era traccia. Di nuovo.

Il suo primo pensiero andò a quanto successo nel bagno delle donne, ma la bella Tatiana era alla sua postazione tra bottiglie e bicchieri, a contare stancamente le ore che le mancavano per finire il turno. Ne fu decisamente sollevato, più di quanto fosse disposto ad ammettere.
Sul serio, le sue emozioni dovevano essersi rotte o qualcosa del genere, perché non avevano più il minimo senso.

Ordinò una tazza di caffè, che il barista commentò con un ilare "hey gente, Ivan Sokolov si è unito agli alcolisti anonimi!"

«Sta' zitto» ringhiò lui, aggiungendoci tanto di quello zucchero che da caffè divenne una sorta di poltiglia dolciastra.
Non voleva bere, ma non perché non ne provasse il desiderio. Temeva che con i freni inibitori resi meno efficienti dall'alcol sarebbe finito a fare l'interrogatorio a Tatiana su tutto ciò che sapeva di quell'Eis.
Se ne andò a tazza svuotata proprio per non cedere al diavolo vodka tentatore e alla sua appetibile collega curiosità, dritto a casa e poi dritto a letto.

Tornò il giorno dopo e anche in quello che lo seguì, ma la situazione restava invariata, così come l'assenza del biondino. Cercò di auto convincersi che non era poi tanto importante, che magari era meglio così. Non servì a nulla.
Sarebbe stato più semplice se avesse creduto nel fato o in qualsiasi altra entità invisibile. Usare la scusa del "non era destino" era da sempre il miglior espediente per rinunciare. Ivan però, da convinto sostenitore del fatto che le circostanze andassero create, si rifiutò di adattarsi alla direzione scelta dagli eventi e, mandati a farsi fottere i buoni propositi, si fece riempire da Tatiana un bicchiere di Smirnoff*.

«I tuoi giorni da sobrio sono già finiti?»

La ragazza gli spinse davanti quel che aveva ordinato. Forse non aveva ancora superato l'imbarazzo per essere stata scoperta con la gonna sollevata, perché la sua voce tradiva un certo nervosismo.
Meglio per lui: quel tipo di disagio scioglieva la lingua anche più dell'alcol.
Ivan sfoggiò il migliore dei suoi sorrisi, preparandosi ad una messinscena poco corretta ma potenzialmente efficace.

«Anche quelli del tuo amoreggiare con il damerino. Sbaglio o sono già un paio di giorni che non si fa vivo?»

Non l'aveva affatto perdonata per aver incoraggiato le lusinghe di uno che aveva visto sì e no tre volte e mai le sue, fedele cliente che le aveva dedicato una corte assidua per mesi, infatti gli uscì di essere più sgradevole del necessario.
E se gli sguardi fossero stati capaci di uccidere, dal modo in cui Tatiana lo fissò, sarebbe perito tra indescrivibili sofferenze in quel preciso attimo.
Invece sollevò il bicchiere in direzione della ragazza esclamando "za zdaróvje", alla salute.

«Per tua informazione ci siamo visti l'altra sera. Nella sua camera d'albergo» lo rimbeccò lei, stizzita.

Dovette mandare giù una pillola di amarezza assieme al sorso di vodka, che gli scivolò a fatica lungo la gola seguendo il bruciante percorso dell'alcol.
Ingoiata quella però gli venne quasi da sorridere: era stato anche più facile di quanto avesse previsto.

«Per caso sta al Matuška Rossija**? Perché ieri passando di lì mi è parso di vederlo entrare mano per mano con una bionda...»

Ok, era la menzogna peggiore che avesse ideato nella sua lunga carriera di bugiardo e probabilmente avrebbe compromesso tutta la farsa. Chi mai poteva credere a...

«No, alloggia al Vesna*** Hotel»

... come non detto.
Questa volta il sorriso proprio non ci riuscì ad evitarselo.

«Allora doveva di sicuro essere qualcuno che gli somiglia.»
Picchiettò con l'unghia dell'indice sul bordo sbeccato del bicchiere «me ne versi ancora?»

Fece un brindisi silenzioso all'ingenuità della fanciulla. Lo avrebbe dedicato alla fortuna ma non credeva neppure a quella...
Si frugò nelle tasche e ne tirò fuori una manciata di monetine, che lasciò sul bancone.

«Vai già via?» chiese Tatiana, leggermente sorpresa. Da che aveva memoria di Ivan, non era mai successo che uscisse di lì sobrio per tre giorni di seguito.

«Sì. Domani mattina ho un impegno.»

Avrebbe preferito togliersi l'incombenza la sera stessa visto che già era stata fin troppo rimandata, ma non voleva correre il rischio di trascorrere l'intera notte fuori al gelo ad aspettarlo, di notti al freddo ne aveva passate già abbastanza.
Infilò la giacca e lasciò il locale.

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*Smirnoff: una marca di vodka.
**Matuška Rossija: madre Russia in russo.
***Vesna: primavera in russo.

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