Fase III: Negoziazione. (Prima parte)

547 51 30
                                    

La fibbia della cintura produsse un tintinnio stonato quando Nikoleta la lasciò cadere al suolo. Coperte e lenzuola vennero scostate, gli ultimi vestiti tolti e le molle del letto cigolarono in loro benvenuto.

«Sicuro di voler fare sesso, Ivan? Ti sei scolato sette bicchieri di vodka, e agli ubriachi di solito nemmeno funziona...»

Ivan lanciò uno sguardo incerto al di sotto del proprio ombelico. Decisamente gli pareva che non ci fosse nulla che non andasse. Lo fece notare a Nikoleta, puntandosi un dito verso l'inguine con il tipico orgoglio che hanno gli uomini nel riferire le loro migliori prodezze.
«Mi sa che questa cosa non la sa»

Si chinò su di lei, tracciando un percorso di baci dal grembo chiaro verso il seno generoso. Le ciocche di capelli che le ricadevano sul petto parevano sottili fili di fuoco. Ivan tese una mano per scostarle, quasi aspettandosi di sentirle bruciare.

«Perché invece non anticipiamo a ora la tua seduta di terapia di domani mattina?»
Propose Nikoleta con tono raggiante, pizzicandogli dispettosamente un fianco.

«Perché le vesti di psicanalista le hai lasciate ai piedi del letto»

«L'assenza di abiti non influisce in nessunissimo modo sulla mia bravura come psicologa!»

Gonfiò le guance come una ragazzina offesa e lo spinse indietro con tutta la discutibile forza delle sue esili braccine. Ivan ignorò il suo invito a scostarsi, preferendo invece affondare i denti nella carne morbida della gola.

«Ma influisce sulla mia bravura di paziente. Non posso concentrarmi su quello che mi chiedi se sei nuda sotto di me»

«Allora tieni gli occhi chiusi e fingi che non siamo a letto insieme»

Gli coprì gli occhi con una mano e lui scivolò di lato con un mezzo sospiro di resa. Inutile insistere: quella donna amava la psicologia più di quanto a lui piacesse fare sesso... e a lui il sesso piaceva davvero molto! Meglio darle quello che voleva e farlo alla svelta, con un po' di fortuna dopo l'avrebbe lasciato continuare.

«E va bene, perfida Baba Yaga.* Hai vinto. Cosa vuoi sapere?»

«Il signor bel faccino del bar...» iniziò lei, con un sorriso che un po' lo ricordava quello di una strega «come mai ti disturba tanto?»

Già, perché?
Ivan non sapeva bene da dove cominciare: se dalla sua propensione nel scegliere capi e accessori che sembravano usciti dall'armadio di una prostituta d'alto borgo, dai modi sfrontati o dalle labbra incredibilmente invitanti premute sopra quelle di una ragazza che a lui aveva affibbiato due di picche neanche fosse stato il più mediocre dei giocatori d'azzardo.
Si prese il suo tempo per riordinare le idee, tempo che Nikoleta trascorse recuperando lo smartphone dal comodino e smanettandoci come se non le interessasse più ottenere una risposta. Non che fosse realmente così, ma conosceva Ivan da quando era un teppistello di tredici anni alto un metro e mezzo. Costantemente affamato, pieno di lividi e con una reticenza al farsi toccare che il quale inferno avesse patito non le venne difficile da indovinare, seppur l'unica qualifica che avesse ai tempi fosse il diploma di scuola media.
Quarantasei centimetri e dodici anni dopo, di lui aveva ormai imparato quanto incalzarlo troppo fosse deleterio. Mal tollerava di sentirsi costretto, come un cane randagio a cui viene messo il guinzaglio, e per evitare di farsi mordere il modo migliore era attendere che fosse lui per sua scelta ad offrire il collo.

«Perché mi ricorda me» disse infine, sorprendendo lei e anche un poco se stesso.

«Te?»

«Sì. Ma un me in versione migliore.»

***

Non tornò il giorno seguente, né in quello successivo, e nemmeno quello dopo ancora.

Tempo una settimana, e Ivan iniziò a convincersi che il suo antagonista in Ray-Ban non si sarebbe più fatto vedere. Assieme alla delusione di Tatiana, la sedotta e abbandonata figlia del gestore, questo fu per lui un incentivo a trascorrere le serate in quella bettola anche migliore della promessa di alcol a basso prezzo, tant'è che più di un cliente abituale si avvicinò a fare del bancone il suo nuovo domicilio.
Nikoleta la vide soltanto al loro consetuo appuntamento del mercoledì alle nove e trenta e del venerdì pomeriggio, iniziato nel suo studio e conclusosi in camera da letto, ma Sasha si unì a lui qualche volta.
Stava attraversando uno dei suoi periodi no, uno di quelli in cui era così incline a far conversazione che se Ivan si fosse messo a discutere con lo sgabello ne avrebbe ottenuto un dialogo più stimolante.
Aveva un sacco di periodi no da quando all'amore della sua vita avevano piantato una pallottola in fronte come ripicca rivolta a lui per una questione di denaro sporco, e Ivan non sapeva più come consolarlo se non riempiendogli il bicchiere tutte le volte che lo svuotava.

Era una serata tranquilla. Pochi clienti, tutti già sbronzi, e persino il barista si era concesso un goccetto intanto che seguiva, inveendo spesso, una partita di hockey trasmessa da un vecchio televisore ancora a tubo catodico.
La porta del locale non veniva aperta da un po', eppure Ivan non riusciva a smettere di guardarla.

«Si può sapere chi stai aspettando?»
Sospirò Sasha, arrendendosi a rompere il voto di silenzio dopo l'ennesima occhiata che lo sorprendeva a rivolgerle «non ce l'avrai ancora su con il tipo dell'altra volta...»

«No, certo che no» negò lui, con un po' troppa prontezza per risultare credibile. E poiché non lo aveva convinto, improvvisò aggiungendo:
«Mi domando solo dove sia Tatiana»

Effettivamente la Venere degli alcolizzati dalle lunghe ciglia e gli occhioni neri mancava quella sera. La prima, da quando il biondino aveva smesso di bazzicare tra quei tavoli.

«Magari sono fuggiti insieme.»

Colpito e affondato.
Una vera bassezza da parte sua, sul serio.
Sasha lo aveva detto con sarcasmo, certo, come beffa all'immotivata ostilità di Ivan per qualcuno che forse neppure aveva notato la sua presenza, ma il fastidio che sentì fu tale da spingerlo a cercare un pretesto per allontanarsi.
Scattò in piedi.

«Vado in bagno.»

- - -

*Baba Yaga: strega maligna della mitologia slava.

La versione migliore di meWhere stories live. Discover now