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Non so da quanto tempo sto vagando. Ore, giorni, mesi? Il tempo non esiste più, non riesco a distinguerlo. Non mi sento più i piedi dal freddo. Sono completamente nuda, ho la pelle d'oca. I capelli scuri sono aggrovigliati e sporchi, come tutto il mio corpo. Gli occhi grigi assenti. Le braccia incrociate sul petto.
Quando mi hanno buttata fuori di casa mi hanno picchiata e spogliata, poi mi hanno abbandonata nel bosco. Quando mi sono ripresa, ho vagato in cerca di una strada per tornare a casa, ma non ci sono riuscita. È da troppo che non mangio e bevo, il mio stomaco brontola e le mie labbra sono secche. Cammino trascinando i piedi oramai, non ce la faccio più. L'unica cosa che mi fa andare avanti è l'istinto di sopravvivenza.
Cammino da non so quanto tempo quando trovo la villa. Ha quattro piani, ed è antica, considerando lo stile dei decori sulle pareti esterne, le scale e le decorazioni in marmo. C'è una ringhiera nera e alta, interrotta da un cancello imponente che conduce ad un viale. Tutt'intorno ciottoli e sassolini, poi ai lati della villa un giardino con pini e abeti, per dare un po' di verde senza nascondere la facciata davanti. Fuori dal cancello c'è una continuazione del viale interno, tutto in sanpietrini.
Vedo una macchina nella leggera foschia avvicinarsi al cancello lentamente. È una berlina scura, molto elegante. Probabilmente è il proprietario di questa villa, anche se c'è la possibilità che ci siano più appartamenti dentro, o magari è un hotel. Magari l'insegna è sulla strada, che tra la foschia e la lontananza non si scorge bene. Senza pensarci troppo sbuco fuori dal bosco e mi avvicino alla macchina. La portiera si apre e ne esce un uomo elegante vestito in giacca e cravatta che si avvicina a me.
—Signorina sta bene?— mi domanda l'uomo.
—Io...— non concludo la frase.
—Cosa ci faceva nel bosco?— mi chiede, ma appena lo raggiungo svengo. Poco prima di cadere, l'uomo mi prende tra le braccia.
Mi risveglio in un grande letto con un piumino caldo e morbido. Sbatto le palpebre e mi sollevo sui gomiti per vedere la stanza in cui mi trovo, che si svela essere molto grande. È una stanza rettangolare con tre grandi finestre e due porte, poste sui due lati più corti. Il soffitto è dipinto come le pareti e i mobili sono in stile vittoriano. Il letto in cui mi trovo è nella parte di destra della stanza, insieme ad un grande cassettone in mogano e una delle due porte. Nella parte sinistra ci sono dei divani in velluto, un camino, dei grandi tappeti e l'altra porta.
Mi alzo dal letto, scoprendo non solo di essere pulita con i capelli pettinati, ma anche di avere indosso una veste rosa antico con le spalline lunga con la gonna morbida. Mi dirigo verso la porta più vicina, ma entro solo in un bagno interamente in marmo con una grande vasca appoggiata a una parete che predomina su tutta la stanza. Chiudo la porta e mi affaccio ad una finestra, notando che mi trovo al piano di mezzo della villa. Mi dirigo all'altra porta, ma quando abbasso la maniglia non si apre. È chiusa a chiave.
Comincia a salirmi l'ansia, così provo a bussare, ma non risponde nessuno, così vado di nuovo alla finestra e guardo fuori, cercando una macchina. Dopo un po' la porta si apre ed entra il ragazzo che mi ha presa prima, che stavolta indossa una semplice t-shirt blu e dei jeans.
—Ti sei svegliata— constata.
Ma dai?
—Chi sei?— mi domanda.
—Jay— rispondo. In realtà il mio nome è Jaylene, ma è anche il nome di mia madre, e non voglio ricordarla.
—Che ci facevi nel bosco da sola?— chiede.
—Mi hanno buttato fuori di casa e abbandonata— dico, poi si formano dei dubbi nella mia mente. —Mi hai lavata tu?
—La mia domestica— mi corregge, poi mi fissa intensamente. —Non hai nessun posto in cui andare vero?
Abbasso lo sguardo. —No.
Lui mi osserva ancora, poi chiede: —Hai fame?
Annuisco, così lui se ne va, e dopo un po' torna con un piatto di uova, del bacon e dell'acqua.
—Che ore sono?— gli chiedo.
—Le 9 di mattina.
—Chi sei tu?
—Sono Chris, vivo qui.
Sgrano gli occhi. —Tu vivi qui?
—È un'eredità di famiglia— spiega. Inizio a mangiare sentendomi osservata, fino a quando Chris dice: —Cosa vuoi fare adesso?
Rimango un po' disorientata dalla sua domanda. Adesso? —Non lo so, non ho più una casa, non ho più nessuno, non ho niente.
Lui ci pensa su qualche secondo. —Puoi rimanere qui, finché non trovi una sistemazione, per me non è un problema e ho l'impressione che tu non abbia altro posto in cui andare, nessuno a cui rivolgersi.
—È vero, non ho nessuno, ma non ci conosciamo nemmeno, come fai a fidarti di me?— gli domando.
—Cosa potresti fare di male?— ribatte.
—Non so, rubare qualcosa?— ipotizzo io.
—Non mi sembri il tipo di persona— dice Chris.
—E che tipo di persona sarei io?
—Una persona curiosa, e la curiosità non ha mai ucciso nessuno— risponde.
Il fatto di sentirmi analizzata da lui mi mette a disagio. Di sicuro fa un lavoro in cui deve conoscere le persone che si trova di fronte. Anche per questo secondo me è così ricco, perché fa bene il suo lavoro.
—Sarò via tutto il giorno, se hai bisogno di qualcosa chiedi alla mia domestica— conclude prima di andarsene.
Mi sconcerta il fatto che si senta così libero di lasciare una persona che non conosce da sola in casa sua. È vero che non farei nulla di male, ma lui questo non lo sa, lui non mi conosce.
Esco dalla camera ritrovandomi in un corridoio che porta ad altre stanze a a due rampe di scale: una che conduce al piano di sopra e una al piano di sotto. Decido di andare al piano terra, sperando di trovare la domestica. In fondo alle scale c'è un piccolo corridoio che porta all'ingresso situato a lato rispetto alle scale, a sinistra verso la cucina, a destra verso un grande salone.
Prima che possa scegliere dove andare compare una donna alla mia sinistra.
—Salve, posso fare qualcosa per lei?— mi chiede gentile con un sorriso. —Sono la domestica, Katrin Robbins.
—Io sono Jay— rispondo incerta.
—Le serve qualcosa?— domanda.
—Ho un po' di freddo, c'è qualcosa che potrei indossare?— chiedo.
—Ma certo, venga pure— risponde cortese la donna. Mi conduce su per le scale, poi nel corridoio ed infine in una stanza che si rivela essere piena di vestiti da donna, gioielli, scarpe.
—Metta quello che vuole. Se ha bisogno di qualcos'altro non esiti a chiamarmi— mi dice.
—È sicura che posso indossare questi vestiti?— le domando.
—Certo, non si preoccupi— mi tranquillizza, poi si avvicina ad una tunica nera con dei fiori rosa e giallo pastello.
—Provi ad indossare questa, secondo me le può stare bene— mi invita passandomi la tunica. Dopo un istante di esitazione la indosso. Ricorda molto un kimono giapponese. La signora Robbins si dirige verso un espositore, da cui prende un bastoncino lungo circa 15 centimetri che si assottiglia da un'estremità all'altra.
— Provi a legarsi i capelli con questo— mi consiglia, ma dato che non so come fare mi abbasso leggermente e me li raccoglie lei, formando uno chignon che poi ferma con il bastoncino, lasciando fuori la frangia.
—È bellissima— mi dice.
—Grazie.
—Le conviene anche indossare qualcosa ai piedi, provi queste— mi passa delle babbucce rosa. Le infilo ai piedi, notando subito quanto sono morbide.
—Grazie— ripeto, poi usciamo dalla stanza.
—Se vuole c'è una libreria all'ultimo, deve svoltare a sinistra— mi avvisa, poi scende le scale tornando a piano terra. Io invece seguo  il suo consiglio e vado su, poi svolto a sinistra  trovandomi in una vasta libreria, talmente grande che ha anche i generi dei libri in cima agli scaffali. Ho sempre adorato leggere e in generale stare nelle librerie, ma ho troppi pensieri nella testa per potermi concentrare su una storia. Decido quindi di appollaiarmi sul davanzale della grande finestra per pensare alla mia strana situazione.
Sono stata buttata fuori di casa e abbandonata, ho vagato nei boschi per giorni, ho trovato questa villa e il proprietario mi ha accolta, ospitata e mi lascia indossare i suoi vestiti e girovagare per la casa. È decisamente una storia strana, ma per ora non posso fare altro se non adeguarmi a questa situazione, anche se ho tante domande per la testa che necessitano di una risposta.

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