PRIMA DELLA VERITÀ

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La sera tra il quarto e il penultimo giorno avevo visto il comandante uscire dalla cabina con una ragazza di vent'anni. Si chiamava Noemi e faceva parte dell'orchestra con Rose. Così mi aveva detto lei nella sua cabina. Era una poco di buono che si faceva toccare e viziare da qualsiasi uomo. La cosa che mi aveva fatto più ribrezzo era il gesto del comandante con sua moglie e i suoi figli ad aspettarlo a casa. Aveva la camicia sbottonata e i pantaloni mal messi quando era uscito dal camerino con la ragazza castana, bassa e un fisico da adolescente che le veniva dietro. Lo guardavo e pensavo che l'amore fosse una malattia. In quei giorni mi incontravo sempre più spesso con Rose nella sua cabina. Sì trovava dall'altra parte delle stanze dei ufficiali, del comandante e da quel bar da cui ero stato bandito. Passavamo giornate intere a bere, fumare e  parlare. Non c'era mai nessuna fusione tra i nostri corpi. Eravamo sempre un punto prima di andare oltre, di superare l'immaginazione e le voglie. Un punto prima dalla verità. Le uniche cose che ci scambiavamo erano baci e carezze lungo il viso, le braccia, le ossa, fuori e dentro la pelle. Quando non ero con lei non parlavo e non cercavo nessuno. Nei momenti in cui si preparava, si spogliava e si cambiava io la pensavo. La pensavo nuda, senza vestiti, senza il rossetto e senza nessun tatuaggio addosso. Quando veniva la notte me la immaginavo sul ponte a passeggiare con le mani ghiacciate dal freddo, il naso rosso, la camicia da notte e il rossetto incollato nelle labbra.  A volte non la pensavo ed ero triste. Quando non mi interessava sapere nulla di lei, la mia vita perdeva di senso. Ero immerso nell'alcool, chiuso in me stesso e pensavo al comandante che usciva con una ragazza più giovane di lei. Fantasticavo sul fatto che tutte le persone fossero così e che l'amore fosse solo una malattia. Avevo immaginato Mark sulla nave per calmare la  mia depressione. Ogni tanto lo aspettavo mentre ero sul letto con occhi assonnati e la luce lunare sul viso, ma lui non arrivava. Qualcuno passava, qualcuno correva, ma lui non arrivava mai. Il rumore dei suoi passi si era estinto. Probabilmente era da qualche parte con Giulia ad abusare di droghe e quant'altro. Anche lui era malato, ma lo era anche il comandante che era stato con quella ragazza più bella e piccola di lui. Lo era anche Ron quando si era innamorato e aveva fatto l'amore con una donna che era stato con altri mille uomini. E lo ero anche io che avevo immaginato Rose nuda mentre si cambiava, si spogliava davanti allo specchio. quando avevo cominciato a pensare che i suoi vestiti non fossero all'altezza del suo corpo e che nessuna parola, gesto e sentimento avrebbe potuto essere alla sua portata. Quando non c'era più un' ora del giorno in cui non la pensassi. Come era vestita, cosa indossava, se era nuda, se si stava cambiando, se voleva baciarmi e passarmi la mano tra i capelli. Eravamo tutti malati. Questa cosa mi induceva ad ubriacarmi quando ero lontano da lei. Mark era sempre da qualche parte, nascosto in giro per la nave e non si faceva vedere mai dai altri. Era timido, gracile, alto e si vergognava di farsi conoscere. Elen non mi aveva mai risposto ed io ero ancora su quella nave. Rose era sempre stata lì, con un vestito diverso, pensieri e parole contrarie, ma occhi sempre pieni di me e labbra pronte per baciarmi. Si sistemava sempre prima di incontrarci in quello  spiraglio pieno di inganni. Si guardava in ogni cosa dove si potesse specchiare. Lo specchio doveva essere il posto in cui facevamo l'amore. Mi aveva detto che mentre era in camera mi aveva pensato. Mentre si toccava i capelli, il viso, la pelle e tirava giù la cerniera del suo vestito. avrebbe tanto voluto che io fossi lì in quel momento a ripetere le azioni che faceva ogni notte pensando a me. Che io le dovessi baciarle  il viso, la pelle e infine levarle il vestito. Per guardarla, per toccarla e sentire il suo corpo. Ma c'era qualcosa dentro di me che si rifiutava di volerla.  C'era una piccola fibra del mio corpo che non voleva stare troppo tempo a guardarla, baciarla e amarla. Potevo amarla fino a un punto, fino a quando il suo amore non avesse superato quello che provavo per Elen. Ero malato in amore, ma ero innamorato di Elen. I cristalli di ghiaccio dei lampadari che pendevano sulle nostre teste e che sarebbero cadute da un giorno all'altro erano coscienti che i nostri sguardi erano leggermente differenti. Lei era sempre ad uno stadio maggiore. Lei amava sempre di più e passava più tempo davanti allo specchio, nuda, senza vestiti addosso a pensarmi e sognarmi. Per lei ogni notte che non facevamo l'amore, che non venivo nella sua cabina si sentiva sempre di più morire. Non si era accorta da subito che i miei baci fossero l'unica cosa a non farle perdere il controllo. Che i miei sguardi, le mie attenzioni e le mie carezze mentre le sfioravo la pelle erano le cose essenziali per lei. Non era più dentro quel nascondiglio che ci eravamo costruiti e se ci era dentro allora era nuda, senza rossetto e niente addosso. Era distesa e pensava a me dentro di lei. Era in piedi e pensava a me che la guardavo e la immaginavo nuda dalla mia stanza. Voleva dopo aver passeggiato in una nottata gelida le mie fredde labbra sul collo, sulla schiena, sulle ossa e sulla pelle. Non le bastavano più i miei baci. Lo avevo capito da quando  li voleva sempre, continuamente e perdutamente. Da quando il tempo per pensarmi non era compatibile a quanto mi vedeva. E mi cercava lungo il letto, la nave, la prua e nel suo specchio. Avrebbe dato tutto per una sola notte d'amore con me.

Il giorno dopo eravamo arrivati. Alle prime ore dell'alba la nave aveva attraccato al porto dell'isola. Quando mi ero svegliato le persone erano già scese e si stavano dirigendo nelle varie località del posto. Noi del personale dovevamo rimanere a bordo per controllare la situazione. Eravamo rimasti solo noi, alcuni signori anziani e Rose che non era ancora uscita dalla sua cabina. La sera prima avevo accettato di accompagnarla ad una festa nell'isola, dove c'era tutta la banda musicale e alcuni amici che non vedeva da tempo e che si trovavano da quelle parti. Dopo la festa aveva promesso di accompagnarmi al monastero che si trovava in cima all'isola. La chiesa si vedeva dalla nave. Era immersa nel verde nella foresta e e appigliata tra un insieme di alberi alti e bassi che andavano a intrecciarsi in una sorta di corona nella parte superiore di quella che sembrava una città appena ripulita.Le case alte basse e ristrutturate  erano colorate all'unisono dal giallo raggiante del sole. Le strade erano pulite e ben organizzate. Lungo il porto c'era una moltitudine di negozi e ristoranti e le persone cercavano di attirare l'attenzione dei turisti offrendo cibo, musica, quadri e qualsiasi forma di intrattenimento. C'era un'area celestiale in quell'isola che si estendeva dentro le acque pulite appartenenti ad altre dimensioni, nei uccelli che dominavano il cielo e nei gabbiani che mangiavano le briciole di pane lasciate da alcuni bambini che giocavano sul molo in quelle prime ore del mattino. 

IL SANGUE DELLE ROSEWhere stories live. Discover now