INCONTRI

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Gli incontri importanti non sono mai casuali.  Sono casuali solo all'inizio, in seguito   condizionano  il resto dei nostri giorni. Quando si incontra una persona da cui si rimane colpiti, non si pensa più ad altro. E la vita diventa un momento in cui si fugge da quel' incontro che viviamo sempre nella nostra testa. Le note musicali risuonavano lungo tutto la nave, tra i corridoi, tra le cucine, tra i vari bar e accompagnavano le varie persone che andavano verso quel concerto  così angelico, le coppie di amanti che coglievano l'occasione per baciarsi appoggiati nel corridoio di legno, alcuni bambini che correvano e che erano appena stati superati da me che ero in ritardo. Avevo dormito per circa due ore ed ero in ritardo di un'ora esatta. Quando ero nella cucina con il mio abito elegante, le scarpe tirate a lucido, i capelli che profumavano dalla veloce doccia che mi ero fatto... Ero stato ripreso dal direttore che mi aveva detto di andare in sala per iniziare il servizio. Quando ero entrato nella larga stanza piena di tavoli e di persone che sorridevano, che ridevano e ascoltavano quella soave melodia che veniva creata, modellata sotto il movimento dei strumenti suonati, accarezzati dai musicisti  che occupavano il palco che si trovava alla fine della stanza. Il mare era calmo e l'aria era piena d'arte. L' odore del vino era forte e il rumore delle stoviglie, dei piatti e delle posate che venivano portate era leggermente delicato. Avevo iniziato a servire ai tavoli, parlare con gli ospiti, conversare e scherzare con gente diversa, gente giovane, gente anziana e veri gentiluomini. Ero concentrato sul lavoro, ma sentivo dentro di me un richiamo, una voglia di guardare altrove, di accorgermi di qualcosa... Ed è così che di colpo, senza preavviso, senza dire niente ai miei pensieri, mi fermai di colpo e guardai il palco. Gli incontri che ti segnano avvengono per caso solo la prima volta. Questa volta però non poteva esserci un caso. Questa volta eravamo su una nave dispersi in un oceano che non conoscevo, in piedi nella stanza, con una moltitudine di persone che ascoltava il dolce suono, con io che servivo e con lei che suonava... Eravamo tornati dal posto in cui eravamo fuggiti. Le giornate che avevamo passato senza pensare a noi, senza chiedere nulla, senza chiamare e sentirci ora, ora apparivano un lungo inganno nel momento in cui ci eravamo accorti di essere davanti l'uno all'altro. Rose aveva appena finito di suonare e i suoi occhi erano puntualmente caduti su di me. Portava un vestito nero rivestito da pietre chiare che le correvano lungo i fianchi e le braccia. I capelli rossi erano sciolti, forti, vivi e scendevano oscurando leggermente le sue labbra.  I tatuaggi erano sempre gli stessi e spuntavano tutti nella parte in cui il vestito lasciava scoperte le  clavicole, le  spalle e il  collo. Aveva sorriso e si era allontana dal palco. Il comandante Diaz era seduto in un tavolo a parlare con altri ufficiali e mi aveva salutato da lontano. Avevo risposto muovendo la mano e poi ero tornato a lavorare. Avevamo fatto finta di non vederci quando ci eravamo incontrati, ma entrambi sapevamo di esserci riconosciuti in quel momento. Servivo i tavoli, parlavo, aspettavo, pensavo e guardavo il vuoto. Verso le undici ero a fumare in quel solito bar e a bere della birra fresca. Ero in pace e mi sembrava di riuscire finalmente a respirare. Dal mio risveglio nella cabina fino all'incontro con Rose sul palco avevo vissuto troppe cose, troppe sensazioni e molti brividi.    Il paesaggio monotono e silenzioso del mare mi calmava. C'erano tre ragazzi al tavolo affianco che  parlavano del concerto, dei musicisti, della musica e di quanto fosse magnifica Rose, del suo corpo, dei suoi tatuaggi e che doveva essere brava anche a letto. Facevano battute e ridevano per qualsiasi cosa. Erano molto più ubriachi di me. Io cercavo di ignorare loro, quello che dicevano e Rose. Anche se devo ammettere che la sua musica mi era entrata dentro. Il modo poetico in cui suonava il violino era unico e raro. La passione che metteva, la tristezza e il dolore erano puri e autentici. In quel momento mi tornarono tutte le cose che ci eravamo raccontati quando ci eravamo incontrati in quella festa. Mi era tornato solo all'ora in mente, che era stata abbandonata, adottata, tradita, violentata e la cosa mi rendeva triste. Avevo pensato che dovevo salutarla e sapere come stava. Per assicurarmi che era felice, che non era ricaduta nei periodi brutti della sua vita... Ma alla fine ero tornato in camera, nella cabina. Non avevo trovato la forza per rivolgerle la parola. Pensavo di fare un torto ad Elen e a me stesso, alla mia etica e altre cose...parlando con Rose e ascoltando la sua dolce voce dentro di me. L'avevo guardata con gli occhi nel mezzo della sala e ci eravamo detti troppe cose, troppe cose sbagliate e non volevo incontrarla, non volevo. Per autoconvincermi pensavo a tutto il viaggio che avevo fatto, a Ron in ospedale, alle lacrime di Clodett di quel giorno in questura e a quanti metri avevo percorso per Elen. Pensavo a queste cose e a volte non pensavo. Perché anche i miei pensieri avevano mille dubbi. Sul perché di quell'incontro, sul fatto che Elen non mi aveva mai cercato o  fatto sapere sue notizie da quando si era allontana.

IL SANGUE DELLE ROSEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora