Prologo

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-Fermati!-
Qualcuno lo stava chiamando, ma non poteva fermarsi.
Non adesso.
-Steve!-
I battiti impazziti del suo cuore rieccheggiarono nelle sue orecchie, mentre le sue gambe tremavano dallo sforzo e dai crampi che l'estenuante corsa gli stava procurando.
Il bosco era silenzioso, nessuna cosa si muoveva ad eccezione sua.
Davanti a lui compari' una luce accecante, le sue gambe si fermarono bruscamente e lo fecero crollare a terra.
I suoi occhi color muschio si spalancarono mentre guardavano quella luce prendere una forma vagamente umana.
La prima cosa che vide furono due occhi color cielo. Il piu bello che avesse visto.
Una strana sensazione si fece largo in lui.
Paura, sconcerto, protezione, facevano a pugni nella testa di Steven.
La sagoma luminosa protese un braccio verso di lui.
-Aiutami!-

Mi svegliai di soprassalto, con il cuore in gola e i pantaloncini che mi si erano appiccicati sulla pelle ardente per il sudore.
Sempre lo stesso incubo.
Mi girai verso destra, per sapere che ore erano.
Le 3.33
Stesso incubo che mi svegliava alla stessa ora da ormai 3 anni.
Solo crude coincidenze. Non credevo in nient'altro che non fosse strettamente correlato alla mia monotona vita in questa noiosa città.
Ma quegli occhi azzurri che mi tormentavano dovevano essere il mio incubo personale.
Cacciai un sospiro frustrato dalle mie labbra, e mi passai una mano fra i capelli del colore del petrolio leggermente lunghi.
Mi ritrovai a pensare a quale azione brutta o sconsiderata avessi fatto per essermi procurato una punizione piu dolorosa di questa.
Ogni giorno perseguitato da questo solo incubo che mi veniva a trovare appena chiudevo gli occhi per trovare pace nelle braccia di Morfeo.
Ma a quanto pare a Morfeo non stavo simpatico.
Mi alzai dal letto, diventato improvvisamente scomodo insieme a tutti quei pensieri, e mi diressi verso la porta del bagno, portandomi con me solo dei semplici boxer.
Lasciai la porta aperta, sicuro che nessuno mi avrebbe disturbato.
Mi spogliai dei miei pantaloncini e girai la manopola per l'acqua bollente.
Mi immersi completamente sotto quel getto di acqua calda, e mi appoggiai alle mattonelle di fronte a me, chinando il capo in un gesto simile alla riverenza.
Volevo che quell'acqua che mi stava scivolando sulla pelle come una dolce carezza, facesse scivolare e portare con sé tutti i pensieri e le emozioni che ogni volta mi venivano a trovare dopo aver visto lei.
Sapevo che era una ragazza. La sua voce mi era rimasta impressa come un marchio sottopelle. Dolce come una colata di miele caldo e allo stesso tempo musicale come il suono di un flauto.
Una voce angelica.
Scossi violentemente la testa, e chiusi la manopola.
Da quando mia madre era morta in un incidente stradale per colpa di un ubriaco e mio padre si era gettato a capofitto nel mondo dei casinò, il mio cervello era sempre in subbuglio.
L'estate appena passata mi aveva fatto momentaneamente rilassare.
Momentaneamente.
Indossai rapidamente i boxer, presi il pacchetto di chesterfield e andai sul terrazzo.
Una folata di vento fresco settembrino mi fece istantaneamente rabbrividire. Ma tornò presto ad essere quello secco della California.
Accesi la mia sigaretta ed aspirai avidamente, crogiolandomi nella sensazione familiare del fumo che invade la mia gola.
Avevo cominciato a fumare il giorno dopo della morte di mia madre. Le mie labbra si aprirono in un sorriso amaro mentre ricordo la mia faccia che esprimeva disgusto al solo sentire l'odore del fumo.
Osservo la cartuccia che viene via via consumata dalla fiamma, trasformandosi in cenere, e cosi penso che siamo tutti noi.
Il tempo ci brucia come se fossimo delle cartine di sigarette. E proprio quello stesso tempo ci trasforma in cenere finché non siamo piu niente.
Di noi resta solo un vago ricordo ci ciò che eravamo.
Come tutte le volte la sigaretta finisce troppo presto nelle mie mani, e sono costretto a buttarla.
Ritorno nella mia stanza, tra poche ore dovrò risvegliarmi per andare a scuola.
L'inferno è appena iniziato.

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