RUBY'S POV

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Le prime luci dell'alba e il cinguettio degli uccellini la risvegliarono da un sonno profondo. Si stiracchiò, sbadigliando ancora assopita. Si sentiva intorpidita, affaticata, esausta.

<< Non è proprio il massimo dormire nel bosco, vero Peter? >> biascicò con gli occhi socchiusi. << Peter? >> si girò dall'altro lato non trovando nessuno.

Non si trovava nemmeno nello stesso punto in cui si era addormentata, eppure era certa di non essere mai stata sonnambula.

<< Peter?! >> urlò più forte, alla ricerca del suo fidanzato, inutilmente. Era lì da sola, come ci fosse finita restava un mistero.

Si portò le mani sul viso, erano appiccicaticce e con uno strano odore, forte, sgradevole, impossibile da non riconoscere: sangue.

Allontanò lentamente le mani dal volto, tremando e boccheggiando alla vista di quelle macchie rosso scuro che le scendevano fino ai gomiti, impregnandole la pelle, i vestiti ed il viso.

Sentì il cuore accelerare, le martellava nel petto all'impazzata, mentre l'aria e le forze le venivano sempre meno, si accasciò a terra sulle ginocchia senza smettere di fissare le mani. Non riusciva a formulare una frase di senso compiuto, tantomeno riusciva a pensare. L'unico messaggio che recepiva la sua mente era: sangue, Peter scomparso, sangue, sangue ed ancora sangue.

Si alzò appoggiandosi alla corteccia degli alberi circostanti, usandoli come appoggio, e si avviò tra i meandri del bosco, andando a tentoni, spaesata, disorientata, in trance.

Non riuscì a stabilire per quanto avesse camminato, se per pochi chilometri o per miglia infinite, lei continuava ad andare avanti senza una meta precisa, senza una destinazione, come un fantasma agonizzante alla ricerca di una via di fuga da questo mondo.

Era così che si sentiva Ruby: presente, ma non presente. C'era fisicamente, le sue gambe si muovevano imperterrite, il suo cuore continuava a battere e i suoi polmoni ad inspirare ed espirare, ma la sua mente era scollegata, faceva tutte queste cose meccanicamente, senza un minimo di autocontrollo. Il sistema centrale era andato in tilt. Lo sguardo vacuo, l'andatura incerta.

Non fece caso al corpo privo di vita ai suoi piedi, inciampandoci e finendoci addosso. Questo sembrò farla tornare nel mondo dei vivi. Urlò istericamente alzandosi di scatto e allontanandosi dal corpo esamine a terra: i vestiti stracciati lasciavano intravedere numerose ferite sui vari arti, un braccio era addirittura mutilato, ma non era quello a darle il voltastomaco. Il suo sguardo si spostò sulla cassa toracica dell'uomo, completamente aperta, sbranata dalle fauci di un essere che non aveva avuto pietà, gli organi interni divorati, ad eccezione di qualche budella che fuoriusciva da quel che restava della pancia. Distolse lo sguardo per voltarsi e sentirsi male alla vista di quella carcassa putrida e maleodorante. Era un miracolo che i lupi non si fossero ammazzati tra loro per qualche pezzo di carne.

Un pensiero le balenò nella mente.

Si asciugò le labbra con il palmo della mano e si tappò il naso, avvicinandosi al cadavere e guardando la faccia livida, tumefatta e gonfia. Le bastò uno sguardo.

Le ginocchia cedettero, gli occhi si riempirono di lacrime che non ci misero molto a rigarle il volto, accompagnate da singhiozzi rumorosi. Un dolore lancinante si dilagò nel petto, la gola le bruciava e faticava a respirare, la vista appannata a causa degli occhi umidi. Urlò, urlò con tutta se stessa finché non ebbe più fiato nei polmoni, stremando le corde vocali. Urlò affinché il dolore fisico superasse quello psicologico, ma non avvenne, non sarebbe mai accaduto.

Non poteva crederci, non voleva crederci. Come era potuto accadere?

Riportò l'attenzione sulle proprie mani insanguinate, così come le vesti.

La sua espressione mutò. Gli occhi increduli fissi su quelle che erano state le armi del delitto. Continuava a guardare quelle mani colpevoli, tremanti e ricoperte del sangue del ragazzo che amava. Lo sguardo saettava da una mano all'altra, mentre metteva al proprio tutti i pezzi del puzzle, uno dopo l'altro, arrivando al tassello finale.

I flashback di quella notte cominciavano a riaffiorare nella sua mente: lei, o meglio, la sua versione ringhiante e a quattro zampe, assetata di sangue, stava trotterellando per il bosco alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti, dei passi in lontananza, il muso alto per annusare l'aria e raggiungere la sua prossima preda. Il trotto divenne una corsa vera e propria, una sagoma umana nella penombra, che la guardava con gli occhi sbarrati, tentò di togliere la daga per difendersi, ma, per sua sfortuna, si intoppò nella cinta. Fu quella la fatidica mossa che segnò il tragico destino di quel ragazzo, un viaggio di sola andata per l'Oltretomba.

<< Sono stata io... >> mormorò con un filo di voce, il respiro affannato. << Io sono il lupo... >> realizzò, pensando ad alta voce.

Si alzò allontanandosi da Peter, cominciando a correre nella direzione opposta, come se potesse scappare da ciò che aveva fatto, come se potesse fuggire da ciò che era, come se, allontanandosi da lui, non fosse mai accaduto nulla.

Corse a per di fiato, evitando agilmente i rami più bassi e saltando gli arbusti e le radici ai piedi degli alberi.

Perché correre via dal problema rendeva tutto più facile, tutto così irreale, come se fosse tutto un sogno, o meglio, un incubo.

Perciò corse senza più voltarsi indietro.

Ruby SlippersWhere stories live. Discover now