Cerco ovunque, guardo in ogni dove. Limitandomi a correre, per evitare l'impulso sempre più insistente, nel teletrasportarmi.
Mi faccio sempre più nervosa, dopo aver toccato tutto ciò che vi è all'esterno, ricoperto di morte grigia.
Non trovando nulla che possa ricordare o, per lo meno, assomigliare ad un bigliettino nero o color cremisi, mi faccio sempre più dell'idea di dover entrare in quella bocca nera, qual'è l'entrata della miniera.
Senza indugio, ma con incertezza, attraverso quella barriera scura che divide la luce da un interno scuro e tenebroso.

Subito, mi salta dentro i polmoni un odore putrido. Le scarpe sembrano incollarsi al suolo, sento la polvere che si sbriciola sotto ogni mio passo. L'aria è così densa che ne sento gli spostamenti, non c'è vento e nemmeno un minimo spiffero. Riesco a toccarla, la sento nelle mani e fra le dita sottili e fredde.
Non dovrebbero esserci molte stanze in questo luogo. Anche se non me le ha mai mostrate, visto che l'unica volta in cui ci siamo venuti, abbiamo proseguito lungo questo corridoio fino ad arrivare ad una voragine.
Quindi l'unica cosa che posso fare è proseguire, mettere i piedi dove gli avevo messi tanti mesi fa.
Mi ha dato ordine di non usare alcun potere, come potrei fare in un ambiente così buio e scuro, non vedo nemmeno a un palmo dal naso. Quindi come potrei vedere le entrate delle stanze, e soprattutto le pareti di questo lungo corridoio?

Proseguo senza tener conto della distanza, non ricordando del pericolo imminente che se ne sta, tranquillo, davanti ai miei passi.
Penso a dove potrebbe aver messo il biglietto, nel mentre le mie orecchie odono uno scroscio.
Il rumore si ferma all'unisono con le mie gambe, cerco di sentire ancora qualcosa ma nulla, tutto tace.
Riprendo a camminare e il rumore torna, più vicino e forte. Mi blocco e sento qualcosa che cade, poi ancora silenzio. Fin quando non sento un tintinnio in lontananza, sembra che venga da sotto, in profondità.
Muovo un passo, altri scrosci di oggetti duri e leggeri, sembra che qualcosa stia cadendo.
Sento un flebile spiraglio d'aria gelida, o forse è solo una sensazione della mia pelle.
Faccio altri tre passi per poi fermarmi, sento le punte dei miei piedi inclinarsi, come se il terreno stesse cercando di risucchiarmi al suo interno. Mi sento scivolare in avanti e non capendo, muovo in avanti un altro passo.

Non sento nulla, tutto accade al rallentatore come quella volta.
Mi sento cadere e spingere in avanti. Agito le mani nell'aria non capendo cosa fare. Non sento più il terreno sotto il mio piede.
Riesco ad afferrare una sporgenza rocciosa, alla mia sinistra. Con entrambe le mani mi faccio leva e torno indietro in velocità.
Mi sento completamente ceca e solo ora mi rendo conto di quanto sia stata incauta, di quanto questo posto sia pericoloso.
Respiro a fatica, gocce di sudore gelido mi rigano la fronte tremante.
Per un secondo avrei potuto ritrovarmi nel vuoto, sono stata così lenta nel capire ciò che mi stava accadendo.
Mi sento così stupida.
Appoggio una mano sulla fronte cercando di rilassarmi e calmarmi, per poi riprender fiato.
Sto in silenzio finché il mio cuore riprende il suo solito ritmo. Penso a come fare, devo trovare quel bigliettino. Voglio andarmene da qui.

Levigo lentamente il pavimento, stando attenta a non inciampare e a non scivolare di nuovo. Cerco di ascoltare il rumore del terreno, fin quando non sento qualcosa di diverso. Un rumore molto più liscio, non percepisco ciottoli o polvere. Questo sottile rumore dura solo per poco, come se fosse solo un piccolo tratto di terreno ad esser liscio. Strano e innaturale tutto ciò.
Ripasso la punta del piede, lo stesso rumore.
Cerco di capirne il materiale, ed è qui che le mie spalle sobbalzano insieme al cuore.
È carta, sto strisciando il piede sopra a della carta. Mi accuccio verso il terreno, tenendo sempre una mano attaccata alla parete, per sicurezza. Allungo l'altra in cerca di quel piccolo tratto, coperto da quel foglio di carta.
Apro il palmo e separo le dita, come fossero antenne che captano ogni cosa, tocco con le punte il terreno.

Vanno su e giù, scalano e scendono i minuscoli ciottoli.
Sento un lembo di carta rialzato che punge il mio dito, lo afferro.
Quella carta liscia che mi ritrovo in mano, sento che è piegata in due.
Un biglietto!
Finalmente, il biglietto che tanto cercavo, ora potrò pure uscire di qui e tornarmene alla luce.
Mi rialzo, con qualche dolore alle ginocchia ormai affaticate, ripercorro il corridoio denso.
Cerco di vedere in lontananza un puntino di luce, che mi indichi la strada. Nulla ancora, quindi affretto il passo e sempre più spedita proseguo.
La schiena chinata in avanti, il volto proiettato in avanti come cercando di riuscire a veder meglio. Cammino sempre più veloce, passo dopo passo.
Pian piano riesco a vedere in lontananza uno spillo di luce bianca, come dopo un lungo sonno, riesco a rivedere la luce tanto desiderata.
Mi metto a correre sempre più impaziente, con i polmoni secchi e la gola ruvida.

Con il fiato sospeso riemergo in superficie, mi sento libera come se prima fossi avvolta da mille catene che mi rallentavano.
Mi alzo, rilasso le spalle e guardo il cielo.
Bianco, i miei occhi non vedono altro che bianco dopo tutto il nero.
Respiro come se l'aria fosse più pulita di quella che c'era lì sotto, un po' lo è, ma è pur sempre sporca e unta di puzzo.
Stringo nella mano destra il biglietto, ancora non lo guardo.
Rimango ad osservare l'alto cielo, stringendo sempre più la morsa nella mia mano.
Non mi sembra vero, nella buia cecità sono riuscita a trovarne un'altro. Ed ora spero solo che sia l'ultimo.

Voglio...devo vederlo.

Don't forget my eyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora