17. La casa benedetta

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La bottega, come tutta la città, era immersa nella penombra e illuminata da una lampada ad olio - o forse, ipotizzò il giovane, grasso di balena.
In compenso però poteva apparire abbastanza accogliente con tutti gli scaffali di legno su cui erano posate varie stoffe - benché non particolarmente pregiate - e altri oggetti. Anche il pavimento e il soffitto erano rivestiti in legno, nonostante il primo tendesse un po' a scricchiolare. In un angolo vi erano infine un camino che doveva essere stato acceso fino a pochi minuti prima, un bancone identificabile con la cassa e, dietro, delle scale.

Un omuncolo dai tratti tipici di quella gente era intento a riordinare; quando vide il ragazzo entrare gli disse qualcosa nella propria lingua. Constatando tuttavia che questo non capiva, decise di sfoggiare una buona parlata nella lingua comune.
"Sto chiudendo per oggi, straniero. Non c'è tempo per prendere le misure, tornate domani."
"Non ne avete già pronti?"
"Quelli." Rispose il sarto indicando due scaffali. "Ma di solito non piacciono alla gente di qui: costano troppo..."
Viserys fece tintinnare due monete d'oro sul banco, che l'omuncolo guardò affascinato mentre si avvicinava.
"Devo raggiungere Ib, mi è stato detto che mi serve una pelliccia per proteggermi dal freddo e magari anche un mantello... Da vostro cugino, se non sbaglio."
"Ah, ne ho talmente tanti di cugini..." Commentò tenendo gli occhi fissi sulle monete, come se fossero la cosa più bella del mondo.
"Possono bastare?" Chiese il giovane per evitare il silenzio imbarazzante.
"Ah, sì, sì, certo. Scegliete pure la pelliccia e il mantello che preferite."

Viserys passò in rassegna tutte le pesanti pellicce che trovò sugli scaffali di legno. Non erano tante - le dita di una mano sarebbero state più che sufficienti per contarle - o particolarmente diverse tra loro, né tantomeno si sentiva interessato all'aspetto di queste; tuttavia, visto quanto aveva dato al sarto, voleva almeno fargli perdere un po' di tempo e magari anche conversare.
"Iknur, giusto? Come fate a parlare così bene la lingua comune?"
"Giusto. Da giovane sono stato nel Continente Occidentale per anni, al porto di Altamarea. Arrivavano molte navi da Ib per commerciare. Voi come vi chiamate?"
"Altamarea, non mi è nuovo il nome... Dove si trova esattamente?" Chiese il ragazzo, realmente incuriosito.
"Sull'isola di Driftmark, nelle Acque Nere. Se non sbaglio, le terre di casa Velaryon."
Il ragazzo non rispose, pensò invece a quanto fosse piccolo il mondo: un giorno uccidi un vecchio che ti sta parlando di Corlys Velaryon e un altro senti nominare la stessa casata da un sarto di un popolo di cui avevi sempre ignorato l'esistenza. Fu Iknur a continuare la conversazione.
"Scaricavo le merci e le vendevo ai mercanti dei posto, quindi ho imparato la vostra lingua. Sapete, le nostre navi si fermavano ad Altamarea perché era pericoloso spingersi fino ad Approdo del Re. Dicevano che vi era un re folle che voleva dare fuoco a tutte le cose."
Era curioso quanto il sarto sembrasse contento di poter raccontare la sua storia - un po' come Maestro Hoscar in effetti - e parimenti inquietante che nel discorso, pochi secondi dopo i Velaryon, fosse saltato fuori persino il re folle.
"Sono tornato qui quando con il nuovo re, Robert se non sbaglio, i nostri comandanti hanno raggiunto ancora la vostra capitale. Ci sono anche stato per un po' prima di tornare, una città vivace in confronto alle nostre. Onestamente non mi piace la gente che vive qui, tutti freddi e diffidenti, ma ci sono nato e ai tempi non avevo idea di dove andare; ho deciso allora di fare il sarto, ma non saprei neanche spiegare il motivo. Voi comunque non mi avete detto ancora chi siete."
Viserys posò una delle quattro pellicce sul tavolo. "Tomas, vengo da..." Esitò un attimo: non poteva dire di essere di Approdo del Re, Iknur avrebbe subito iniziato a parlare della sua visita. Preferì improvvisare. "Grande Inverno." E tornò agli scaffali per scegliere il mantello.
"Ah, ecco com'è che riuscite ad andarvene in giro per Nuova Ibbish vestito così!" Rise il sarto. "Siete molto lontano da casa, immagino."
"Lo eravate anche voi a Westeros. Io sono via da un paio d'anni più o meno, ma ora vorrei tornarci."
"Domani a mezzogiorno salpa una nave per Ib. Da lì sicuramente ce ne sarà qualcuna per il Continente Occidentale, poi vi sarà facile tornare a casa."
Il giovane tornò al tavolo con uno dei due mantelli neri pressoché identici che aveva trovato.
"Vi ringrazio." Porse una terza moneta d'oro al sarto. "Mi sapreste dire dove posso trovare una locanda per cenare e passare la notte?"
Iknur prese la moneta con entusiasmo: certamente non aveva mai ricevuto una simile mancia.
"Ma certo, giù in porto. Vi accompagno io se mi date un attimo per salutare i bambini."
Salì le scale per entrare in casa; Viserys lo seguì ma si fermò fuori dalla porticina ad attendere.

Poté intravedere la moglie del sarto: sembrava più un uomo che una donna, a parte per le forme del corpo, i capelli lunghi e il viso senza barba, ma con un mostruoso monociglio - tratto evidentemente tipico degli ibbenesi. Il marito le mostrò il denaro guadagnato dicendo qualcosa nella loro lingua, poi sparì da qualche parte nella casa, di sicuro per salutare effettivamente i figli.
Quando riapparve teneva in mano una ciotola con un po' d'acqua, un sasso e delle foglie. Il giovane si chiese il perché ma non rivolse la domanda ad Iknur per non essere scortese.
"Andiamo." Disse a questo uscendo dalla porta. "Vi conviene indossare almeno il mantello che avete comprato, fa freddo fuori."
Uscendo nella piazzetta, il sarto posò a terra gli improbabili oggetti che portava con sé, destando ancora di più la curiosità nel giovane.
"Porta bene. Lascio queste offerte per gli spiriti del bosco, così benedicono la mia casa."
"Ifequevron?"
"Esatto, conoscete queste leggende? I miei antenati li cacciarono senza pietà e le mie offerte servono per non farli vendicare contro la mia famiglia. In verità non lo fa quasi nessuno, ma io ci tengo."
"So giusto due o tre cose... Ora incamminiamoci, ho fame."
L'ibbenese si dichiarò d'accordo e fece strada verso il porto, nello specifico fino ad un locale il cui nome, a sua detta, si poteva tradurre in 'Leviatano Ubriaco'.

Viserys non è morto: è alle Hawaii con Elvis (sospesa)Where stories live. Discover now