- 한

1K 69 16
                                    

‘odio questo posto.’ borbottò il moro tra sé e sé, stringendo i pugni così forte da rendere le nocche bianche come la neve.

taehyung voleva uscire da quel posto il prima possibile, ma sapeva che non era fattibile.
lui non poteva correre via, non poteva nemmeno camminare se non era assistito da quelle stupide bombole di ossigeno che gli servivano per non rischiare di avere un attacco respiratorio.
il moro si diceva sempre che quando finiva la sua libertà allora finiva anche la sua vita.
se la si pensa in questi termini, la sua vita era già finita da un bel pezzo, ovverosia da quasi cinque anni.
cinque lunghi anni passati tra casa e ospedale, sempre a letto, leggendo o guardando serie tv.
aveva ricevuto l'istruzione scolastica a casa e si era diplomato da poco con dei voti buoni ma non eccellenti, come li aveva pretesi sua madre.
a taehyung non importava più di tanto del suo futuro, comunque: sapeva che non avrebbe mai vissuto abbastanza per frequentare un'università, altrimenti si sarebbe impegnato di più alle superiori.
era da tempo che il ragazzo aveva tristemente realizzato che le sue aspettative di vita si stavano abbassando sempre di più, giorno dopo giorno.
non aveva più nessuno a cui fare affidamento; non aveva fratelli o sorelle, i suoi genitori gli erano sempre appresso ma non avevano poi questo grande rapporto col figlio, di amici non ne aveva più da tempo e di per certo non aveva qualcuno che amava su cui contare.
non avrebbe mai conosciuto l'amore, purtroppo.
non avrebbe mai vissuto.
si era rassegnato da tempo al fatto che stava lasciando scivolare via la sua vita come se nulla fosse, però cos'altro poteva fare?
non c'era più niente che potesse farlo sentire vivo, nemmeno per un secondo.
aveva diciannove anni e non aveva fatto molte cose:
non era mai salito sulle montagne russe,
non era mai uscito di notte con gli amici,
non aveva mai fatto scherzi telefonici a nessuno,
non aveva mai fatto un graffito sulle pareti di qualche casa diroccata,
non si era mai innamorato di nessuno,
non aveva mai dato il primo bacio,
non aveva mai fatto l'amore con nessuno,
non aveva mai dato il suo cuore a nessuno.
la lista avrebbe potuto continuare tranquillamente per ore.
taehyung non aveva mai vissuto niente di tutto ciò.
nessuno poteva comprendere il desiderio di vivere che gli scorreva nelle vene, veloce e bruciante, così come nessuno poteva capire il suo stesso sentimento che lo legava ad una morte spirituale che ormai lo teneva incatenato da tempo.
la speranza era morta, e con lei anche taehyung.
ora non aspettava altro che esalare il suo ultimo, breve, affannato respiro per poi morire completamente.
forse, in questo modo, si sarebbe sentito meglio una volta per tutte.

‘taehyung-ie, come stai oggi?’ la voce bassa di sua madre lo distolse dai suoi pensieri, facendogli alzare gli occhi dal lenzuolo bianco che gli ricopriva la parte inferiore del corpo.

il ragazzo non sapeva come rispondere, ma disse quello che sua madre voleva sentirsi dire.

‘bene, credo.’ aveva detto, atono, osservando un punto indistinto della camera d'ospedale dalle pareti di un bianco fin troppo accecante.

‘sono felice. speriamo di poter tornare a casa entro questo fine settimana, tra poco è il tuo compleanno!’ esclamò la madre, più emozionata del figlio stesso.
taehyung scrollò le spalle e guardò nostalgicamente il letto vuoto di fianco al suo.
fino a qualche giorno prima c'era sdraiata la signora evelyn, una donna americana di sessantacinque anni con problemi cardiovascolari.
era molto simpatica e raccontava delle storie piuttosto divertenti sul suo paese d'origine.
taehyung avrebbe voluto tanto visitare un posto che fosse al di fuori della corea, ma, anche in questo caso, non ne avrebbe avuto l'occasione.
la signora evelyn era stata trasferita d'urgenza in un ospedale più attrezzato per curare il suo cuore che, ormai, la stava abbandonando.
taehyung si era sentito ancora più solo quando si era svegliato e non l'aveva ritrovata a risolvere i suoi sudoku.

‘mi sento solo.’ aveva detto ad un tratto il moro, senza distogliere lo sguardo da quel letto vuoto, dannatamente ordinato.

la donna rimase di stucco, sbarrò gli occhi e chiuse le labbra in una O.

「kiss me」Where stories live. Discover now