V. Tanti anni in una gabbia d'oro

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Una villa in stile coloniale con 30 stanze, tra cui una sala cinema, una palestra, una piscina coperta e, per non farsi mancare nulla, anche una esterna, un giardino con un campo da golf, un autista personale, George, due sole amiche, una madre esageratamente rigida e un padre troppo impegnato con il proprio lavoro per poter stare con la propria figlia.

Così poteva essere riassunta la mia vita perfetta, come la definivano tutti quelli che mi conoscevano. In realtà, nessuno mi conosceva. Mi pensavano viziata, snob, molto fortunata, ma nessuno era andato oltre a questo.

Odiavo la mia vita "perfetta", perché per me era una prigione. Certo, di lusso, ma pur sempre una prigione.

Mi sentivo uno di quegli uccellini colorati, strappati alla libertà e posti in una gabbia: attendevo con ansia che qualcuno si dimenticasse la porticina aperta per poter prendere il volo e scappare via.

Detroit mi stava stretta, in senso figurato ovviamente. Avrei voluto vedere il mondo e fotografare ogni cosa: le piramidi di Giza, il Partenone di Atene, la Muraglia cinese, la Sidney Opera House e un'infinità di altre città.

Ma ero bloccata in una casa troppo grande, perennemente scortata ovunque andassi, perché mio padre era un magistrato incaricato di occuparsi di processi contro i mafiosi.

Non avevo amici, a parte Catherine e Cylie, non partecipavo a nessuna festa universitaria e l'unico momento di interazione con i miei coetanei era l'università che avevo insistito a frequentare, nonostante i miei volessero farmi dare lezioni private.

Una vita perfetta, non è vero?

***

«Tesoro, arriverai in ritardo se non ti muovi»

«Sì mamma, arrivo!» sbuffai dandomi un'ultima occhiata allo specchio.

Il vestito verde acqua di Prada si intonava perfettamente con i miei occhi e le ballerine bianche completavano il look da Alice nel Paese delle Meraviglie.
Quanto avrei voluto indossare qualcosa di più comodo, come dei jeans e quella maglietta dei Blink 182 che non era mai uscita dal mio armadio. Probabilmente, se lo avessi fatto, i miei mi avrebbero costretta ad una lezione extra di pianoforte con quell'antipatico del signor Moore.

Scesi velocemente le infinite scale in marmo bianco, posando lo sguardo sulla donna dai capelli castani che mi aspettava accanto all'ingresso. Sbatteva ritmicamente la punta delle sue Louboutin nere sul pavimento in acero canadese, mentre i suoi occhi, verdi come i miei, mi squadravano soddisfatti per il mio outfit impeccabile.

Io e mia madre eravamo molto testarde e orgogliose e queste nostre caratteristiche, soprattutto durante l'adolescenza, si erano trasformate in un motivo di scontro continuo. A volte, la trovavo troppo attenta alle apparenze, concentrata solo sull'immagine che la nostra famiglia doveva dare al pubblico. Le volevo bene, ovviamente, ma spesso pensavo che non mi capisse appieno e, durante le nostre liti, mi ripromettevo di non diventare mai come lei.

«Ci vediamo stasera, amore» mi salutò con un bacio sulla guancia, prima di chiudere la porta di ingresso.

Annuii distrattamente, mentre mi incamminavo lungo il vialetto di ghiaia per raggiungere l'auto che mi avrebbe portato all'università, come ogni mattina.

«Buongiorno, George» lo salutai sorridente entrando nella vettura tirata a lucido.

«Buongiorno, signorina Cooper. Dormito bene?» mi chiese l'uomo guardandomi con i suoi allegri occhi marroni dallo specchietto retrovisore.

Adoravo George. Era il mio autista da quando ne avessi memoria e, appena vedevo i suoi capelli ormai grigi, il sorriso gentile e il completo nero inamidato da sua moglie Mary, mi sentivo immediatamente al sicuro.

The Kidnapping » hes (Sospesa)Tempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang