Controcorrente

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Mario vide la mano di Claudio agitarsi davanti ai suoi occhi, ancora fissi nel vuoto, e in un attimo le immagini del passato si sfumarono, lasciando però il segno sul suo volto che aveva cambiato connotati. Amarezza, delusione, tristezza, rabbia, un mix di emozioni era ciò che poteva essere letto osservando i suoi occhi, se solo Mario avesse voluto. Ma ormai aveva imparato.
Soffocare. Soffocare tutto era diventata l'unica soluzione.
Aveva imparato ad indossare quella maschera, quella maledettissima maschera che fuori dalle mura domestiche non lo faceva respirare. A casa era Mario, semplicemente Mario, a scuola: Mario Serpa, l'alunno fancazzista della 5a B.
Non permetteva a nessuno di farsi vedere fragile, nessuno doveva capire i suoi punti deboli, non più.
Mario Serpa agli occhi degli altri doveva sembrare invincibile.
Ma forse qualcosa stava per cambiare, forse, inaspettatamente, la sua vita avrebbe finalmente preso una piega diversa.

"Beh?! Sei sempre fra noi o la mia presenza ti ha mandato in trance?" chiese Claudio con fare scherzoso.
Mario si ridestò, strizzò gli occhi e, aiutato dal trillo della campanella, tornò alla realtà.
Era già passata un'ora, la prof  alla fine non l'aveva interrogato e aveva scansato un due di apertura. Non male, anche questa volta gli era andata liscia.

"Senti...com'è che ti chiami? Ah sì. Senti Sona, non è giornata. Sei qui da due giorni e già ti devo un favore per avermi parato il culo"
"Come scusa? in che modo lo avrei fatto?" chiese Claudio perplesso."Non dirmi che ti stava interrogando...ecco perchè tutto quel silenzio" aggiunse, ridendo per la sua stessa battuta.
Ma Mario non aveva tutta quella voglia di scherzare e si alzò dalla sedia per uscire prima che iniziasse l'altra lezione.

"Dai, mica te la sei presa? stavo scherzando, su"
"Vado a prendere un po' d'aria. Qui non si respira. Posso o devo chiederti il permesso?"

Male. Anzi, malissimo. L'inizio non era stato sicuramente dei migliori ma Claudio non forzò la mano e si diresse dai nuovi compagni per fare conoscenza. Fu assalito da mille domande, forse alcune anche inopportune, alle quali rispose timidamente alla stessa maniera, come da copione, fino a quando non furono interrotti dal buongiorno freddo e serio della prof di lettere.

                                                                                         ***
"Ragazzi, questo non è un gioco" dicevano i prof arricciando il naso "qua...qua voi dovete studiare per il vostro futuro".  Sempre le stesse parole, ripetute allo sfinimento.
Aspettavano la reazione degli studenti allargando le braccia, come se loro quel futuro riuscissero a vederlo chiaramente, grazie a chissà quale super potere, e non fosse per niente un bello spettacolo.
Tenevano meravigliosi discorsi su quello che sarebbe servito per intraprendere il giusto cammino nel mondo. Mario se li gustava con l'acquolina in bocca. Parlavano di sbocchi professionali in cui si sarebbero immessi in un futuro prossimo, come modernissimi trafori autostradali. A sentir loro, serviva solo un briciolo di attenzione in più in classe.
Dovevano crederci sulla parola. Sembrava che non vivessero ancora nel mondo reale.
Evidentemente le scuole superiori erano solo un deposito dove ammucchiavano gli studenti  in attesa di gettarli nella mischia a briglia sciolta. La loro era un surrogato della vita, quella vera spettava solo ai più grandi e c'erano un sacco di informazioni basilari da mandare a memoria prima di esservi ammessi.
Finché i prof parlavano, Mario era disposto anche a perderci la vista sui libri, sebbene per realizzare il suo sogno avrebbe dovuto fare tutt'altro.  Poi però la predica si interrompeva al trillo della campanella, entrava un altro prof e cominciava a spiegare logaritmi, grafici, esponenziali o dissertava sullo studio matto e disperatissimo di Leopardi.
Mario si guardava intorno e dall'espressione dei suoi compagni, capiva che nemmeno loro credevano in una vita in cui ti saresti salvato all'ultimo minuto solo a patto di sapere a memoria le formule delle leggi orarie o azzeccando la data esatta della battaglia di Waterloo.
Ovviamente nessuno di loro sapeva cosa fosse di preciso la vita però una qualche idea se l'erano fatta lo stesso. Anzi, Mario aveva già capito fin troppo bene che la sua sarebbe stata irta di ostacoli da superare e montagne da scalare. Ma questo non era oggetto di studio, e i prof non glielo avevano insegnato.

                                                                                    ***

E anche quella mattinata era giunta al termine. Finalmente, aria.
La scuola era iniziata solo da qualche settimana e Mario era già esausto.
Era ricominciata la stessa noiosa e monotona routine. Sveglia alle sette, colazione di corsa, viaggio in autobus, solite facce, ore interminabili di lezione, pranzo, "studio" e fornelli, l'unica cosa che gli dava soddisfazione. E poi tutto ricominciava da capo.

Ogni giorno nell' attesa dell'autobus, perennemente imbottigliato nel traffico di Roma, si malediceva per non avere ancora la patente.
Ma mai come quel pomeriggio, sotto il sole cocente.

"Ma fa sempre così caldo qui?" la voce di Claudio interruppe nuovamente i suoi pensieri.
"Già" rispose Mario asciugandosi la fronte dal sudore.
"Senti, scusa per prima. Stavo scherzando, non pensavo che ti saresti offeso" disse il veronese appoggiandogli una mano sulla spalla.
"Mica hai questo potere su di me, Sona. Tranquillo, non me la sono presa, figurati" si affrettò a rispondere Mario, sollevando le spalle e facendo scivolare la mano dell'altro.
Claudio alzò un sopracciglio ma decise di non rispondere alla provocazione; quel ragazzo era scontroso e a tratti anche animalesco ma a lui, questo aspetto enigmatico del suo carattere, non dispiaceva affatto, anzi, lo incuriosiva.

L'autobus si riempì di studenti che si prendevano a botte e spintoni per riuscire a guadagnarsi un posto a sedere. Sembravano una mandria di bufali inferociti e Claudio si sentiva spaesato e un po' disorientato da quella nuova situazione.

"Posso?" chiese il veronese indicando il posto vuoto accanto a Mario.
"Ovvio, mica c'è scritto "riservato" "
Claudio alzò gli occhi al cielo prendendo posto accanto a lui.
"Ma mi spieghi cosa ti ho fatto?"
Non ricevette alcuna risposta se non uno sbuffo. Si guardò intorno. Mario era girato dalla parte del finestrino intento ad osservare la strada e i passanti, tutti gli altri si erano improvvisamente ammutoliti: chi su un social, chi su un altro, chi con gli auricolari nelle orecchie.
La conversazione era praticamente impossibile. Così aprì lo zaino e prese un libro, riprendendo dal punto in cui era rimasto.
Non fece in tempo a leggere nemmeno una riga che Mario, con il suo solito garbo, glielo strappò letteralmente dalle mani.

"Ehiii, ma chiederlo educatamente no?!"
Il moro ignorò del tutto le sue parole, lo chiuse e iniziò a leggere ad alta voce la citazione riportata nella parte posteriore del libro.
"Accadono cose.."
"Che sono come domande. Passa un minuto,oppure anni, e poi la vita risponde" continuò Claudio, recitando quella frase a memoria.

"Ma che è sta roba filosofica? Mamma mia che mattone"
"Non è "roba filosofica", come dici tu. Leggilo e ti ricrederai. Tieni, tanto io l'ho già letto due volte, lo conosco fin troppo bene".

Mario provò a rifiutare l'offerta ma Claudio insistette e alla fine dovette cedere e metterlo nello zaino.

"Beh, io sono arrivato. Devo scendere. Ci vediamo domani. Stesso posto, stessa ora"

Mario fece un cenno di saluto con la testa e si voltò nuovamente verso il finestrino. Aspettò che l'altro scendesse e lo osservò senza farsi vedere. Solo quando l'autobus ripartì e vide Claudio aprire il cancello di casa, si affrettò a strappare un pezzo di carta e a prendere una penna.

"Via Tagliamento n. 6"

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