Evan

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17.35 p.m.

Prima di lasciare l’edificio fu costretto ad una sosta in bagno. Lo stomaco lo tradiva sempre nei momenti di tensione e anche in quell’occasione non mancò di ribellarsi. Quando ebbe finito di vomitare, si bagnò la faccia sotto il rubinetto e sfidando il buonsenso si guardò allo specchio. Ricambiò il suo disgusto un vecchio spento con il volto segnato da un insostenibile disprezzo da parte di chi avrebbe dovuto amarlo e il cuore martoriato dai fallimenti di una vita che al traguardo dei trent’anni puzzava già di guasto.

Un bambino entrò in bagno con aria spaesata. Era scalzo ed era avvolto in un mantello ricavato da un lenzuolo blu e rosso. Doveva avere circa tre anni, i capelli castani e la carnagione chiara.

C’era la possibilità però che questi dettagli fossero falsi perché ormai ogni bambino in cui George incappava, di qualsiasi genere ed etnia risultasse all’anagrafe, al primo impatto gli sembrava un maschietto di trentacinque mesi con i capelli castani tendenti al biondo e un sorriso identico al suo.

“Pipì”, disse il piccolo incrociando le gambine con impazienza.

George gli indicò i cubicoli alle proprie spalle.

Il bambino si precipitò nel gabinetto di mezzo dove incorse in una brutta sorpresa. Al posto del suo vasino giallo con il disegno della papera sul fondo, c’era un vaso bianco attaccato al muro che era più alto di lui.

“Mi aiuti?” chiese aprendo la porta. Cercò il signore elegante ma trovò solo la scatola con i suoi effetti personali abbandonata sul pavimento accanto al lavandino.

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