Tutta colpa di Freud

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"Serpa, adesso mi hai stancato. Fuori dalla classe". Il tono di voce squillante della prof di filosofia risuonò nell'aula facendo sobbalzare gli studenti.

"Ma non ho fatto niente prof, gli stavo spiegando l'argomento che ha introdotto lei", ribattè Mario indicando il compagno.

"Ah sì?! E cosa ho appena detto allora? Sentiamo.." disse con aria di sfida mista a rassegnazione.

Ovviamente Mario aveva detto una balla colossale. Nemmeno si era accorto che la prof aveva iniziato a fare domande per testare il livello della classe.

Guardò i compagni alla disperata ricerca di un suggerimento che gli evitasse di fare la sua solita figuraccia, ma nessuno sembrò volerlo aiutare. Alla fine fu proprio Yuri, il suo compagno di banco, a toglierlo da quella situazione imbarazzante e prendersi tutta la colpa per le numerose distrazioni.

"Ragazzi non ci siamo. Quest'anno avete la maturità, ci volete arrivare preparati agli esami o no?. Mario, ti conviene stare attento e studiare perchè io, all'orale, Freud te lo chiedo. E adesso vai a farti un giro, torna quando ti è passata tutta questa euforia e magari hai anche voglia di stare ad ascoltare".

Mario non se lo fece ripetere due volte, si alzò dalla sedia e uscì. "Ma guarda questa stronza. Ma cosa cazzo me ne frega di Freud? A cosa mi serve nella vita studiare filosofia?" pensò fra sè e sè.

E questo era Mario, un ragazzo di 19 anni che frequentava il quinto anno di liceo scientifico, e non per volontà sua, ma perchè suo padre, un famoso architetto di Roma, lo aveva praticamente obbligato. 

"Lo scientifico ti darà ottime basi", "un giorno, quando seguirai le orme di tuo padre, mi ringrazierai", e ancora.. "non posso mica avere un figlio asino, che figure mi fai fare? sarei sulla bocca di tutti. STUDIA". E così Mario aveva assecondato il padre, ma controvoglia, perchè la verità è che a lui studiare non piaceva affatto, o meglio, non quelle materie. Il suo sogno era diventare chef e ogni giorno si cimentava in nuovi piatti e ricette così gustose che sua madre quasi lo invidiava. Ormai in casa sua, ai fornelli ci stava lui e cucinare significava evadere da tutto e da tutti, ubriacare i sensi, inebriare le narici e dare il via alle danze delle papille gustative.

***

Bianca era la bidella più anziana della scuola, lavorava lì praticamente da sempre e aveva visto centinaia e centinaia di studenti crescere e maturare. Le volevano tutti bene e lei era affezionata a ognuno di loro, ma a Mario in particolar modo.Ricordava ancora il suo primo giorno di scuola di cinque anni prima. Aveva visto un ragazzino moro, con la carnagione olivastra, aprire la porta di ingresso e sfrecciare nei corridoi alla ricerca della propria classe.Bianca guardò l'orologio. Erano le 8:20 e la campanella era suonata già da venti minuti.

"Ehiiiii ma ti sembra questa l'ora di arrivare? Ma dove vai? fermati un attimo e dimmi in  che classe sei. Ti accompagno io"

Mario si fermò e ancora con il fiatone.. "Mi chiamo Mario. Mario Serpa. E dovrei essere in 1a B" . 

"Beh, non male come primo giorno" gli disse sorridendo. "Seguimi che ti faccio vedere dove passerai i prossimi cinque anni. Prima di entrare in classe, però, vai a lavarti il viso".

Mario sbuffò, e anche se svogliato, seguì il suo consiglio. Come mai Bianca era tanto affezionata a lui?! Beh, semplice, perchè da quel giorno, Mario aveva iniziato a portarle degli assaggi di ricette preparate da lui personalmente e ogni volta, quando le chiedeva cosa ne pensasse, si sentiva sotto esame. Bianca era sempre sincera, anche quando gli diceva che quella non era la scuola giusta per lui, che lui era sprecato fra quelle quattro pareti e che avrebbe dovuto approfondire gli studi culinari, perchè era sicura che un giorno sarebbe diventato uno chef rinomato.Mario pensava che Bianca esagerasse, non aveva tutta quella fiducia nelle sue potenzialità, ma si sentiva capito e appoggiato. Tutto ciò lo faceva sognare, immaginare il suo futuro fatto di odori, sapori, colori tutti nuovi, ideati da lui.E di questo, Mario ne aveva estremamente bisogno.

***

" Ne hai combinata un'altra delle tue? Sei proprio una causa persa" disse Bianca scuotendo la testa e abbozzando un sorriso all'ennesima vista di Mario nel corridoio.
"Sempre la stessa storia, Bià. Quella non la sopporto proprio, e ancora di più non sopporto la sua ma..-"
Mario non riuscì a finire la frase perchè la sua attenzione venne catturata da un ragazzo che non aveva mai visto prima. Un  ragazzo castano, occhi verdi, seduto su una sedia davanti alla segreteria, con il cellulare fra le mani e lo sguardo nel vuoto, coperto da un velo di tristezza.

"Bià, ma chi è quello?" chiese curioso.
"Deve essere il ragazzo nuovo. Si è trasferito qualche giorno fa da Verona e sua madre ha fatto richiesta per iscriverlo in 5a B, nella tua classe"

A Mario le novità e i cambiamenti piacevano, e poi aveva una gran voglia di conoscere persone nuove. La sua, era proprio una classe di merda. I suoi compagni non gli erano mai andati a genio, tranne Yuri che conosceva dai tempi delle elementari. Così decise di avvicinarsi a quel ragazzo malinconico e scambiarci due chiacchiere.

"Ciao".
"Ciao." ottenne come risposta. Sembrava l'eco della sua voce.
"Quindi anche tu in questa scuola?"
"A quanto pare..." passò qualche istante e poi "Tu, invece, che ci fai in giro per la scuola durante l'ora di lezione?" chiese il veronese a mo' di rimprovero.

Mario alzò gli occhi al cielo. Oddio, non ci voglio credere. Ci mancava solo il classico bravo ragazzo, cocco dei prof che rompe i coglioni a chi non è perfettino come lui. Pensò fra sè e sè.

"Beh, quella stronza di filosofia mi ha buttato fuori" disse Mario stizzito ripensando alla scena di poco prima in classe.
"Evidentemente te lo meritavi" asserì alzando un sopracciglio.
"Vabbè, basta. Questa conversazione sta diventando noiosa. Vado a pisciare. Sempre che non abbiano allagato di nuovo i bagni"

Il veronese rise di gusto per il modo bizzarro e disinvolto con cui Mario si era approcciato a lui. Il moro fece un cenno di saluto con la testa ma si ricordò di non avergli nemmeno chiesto il suo nome.

"Già, ma com'è che ti chiami, secchioncello?"
"Claudio. Mi chiamo Claudio. E non sono un secchioncello" rispose serio.

Solo dopo avergli dato le spalle, Mario si rese conto di avere il sorriso da furbetto stampato sul volto.
"Mmm, una bella gatta da pelare" mormorò.
E pensieroso si diresse verso i bagni.

E lo so io ma anche te Where stories live. Discover now