15. Guai in vista

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L y d i a

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"Grazie per la meravigliosa colazione" dissi voltandomi verso Noah e gli sorrisi. Lui allacciò la cintura di sicurezza e si voltò verso di me, posando la testa sul sedile, senza smettere di fissarmi.

"Vuoi proprio tornare a casa?" domandò cercando di farmi cambiare idea.

Io abbassai lo sguardo: avevamo da poco lasciato il locale, dopo un'abbandonante pasto. Nonostante avessi già mangiato, la visita a casa dei genitori di Justin mi aveva privato di molte energie. Mangiai con piacere in compagnia di Noah, sentii la necessità di trascorrere del tempo con lui. Sapeva come tirarmi su di morale. 

In quel momento però volevo tornare a casa, stendermi sul mio adorato letto e pensare. A Justin, alle parole di Pattie, al segreto che la donna portava con sé. 

"Non vorrei recarti disturbo" ammisi omettendo la verità. 

"Non pensarlo neanche" scosse il capo, affrettandosi a ribattere.

Io rimasi in silenzio, poi sospirai. In fondo, cosa ci avrei perso? Noah pareva mi stesse implorando di non lasciarlo. I suoi occhi mi stavano gridando di rimanere e anche una parte di me voleva restare. Annuii debolmente, la sua lieve curvatura laterale delle labbra si trasformò uno splendente sorriso a trentadue denti. La sua mano si posò sul mio viso, mi scansò una ciocca di capelli e la adagiò dietro l'orecchio. Io, imbarazzata, sperai di non essere arrossita.

"Ti ringrazio" disse semplicemente. Non seppi cosa rispondere, rimasi in silenzio.

Partimmo, diretti verso casa sua. Percepii la pelle bruciare sul punto esatto in cui le sue dita avevano sfiorato la mia guancia. Era stato un gesto saturo di gentilezza, così spontaneo da lasciarti senza fiato.  

Per tutto il viaggio mi concessi il lusso di guardare fuori dal finestrino, incapace di voltarmi verso di Noah. I suoi capelli mossi, le sue verdi iridi, le labbra carnose e i perfetti lineamenti mi avrebbero distratta a tal punto da cominciare a dubitare delle mie intenzioni e dei miei pensieri.

Quando l'auto frenò, non mi resi conto di essere arrivati. Lo sguardo venne catturato dalla palazzina nella quale abitava Noah, in particolare mi soffermai sulle finestre del quarto piano. 

"Siamo arrivati" annunciò slacciando la cintura di sicurezza e scendendo dall'auto, chiudendosi alle spalle lo sportello.

Feci lo stesso e insieme, ancora in silenzio, ci dirigemmo verso l'entrata. Una volta dentro, notai che l'ascensore era questo e per tanto fummo costretti a salire le scale. Mi sentii sollevata: per qualche strano motivo, sapere di dover condividere uno spazio così minuto in quel momento insieme a Noah mi metteva in soggezione.

Lo seguii a ruota sui gradini, quando arrivammo di fronte la porta del suo appartamento estrasse un mazzo di chiavi dalla tasca anteriore dei pantaloni e la fece girare all'interno della serratura ben tre volte. La porta si spalancò, il buon odore di limone mi invase. Ancora una volta, proprio come la prima. Nulla era mutato dal giorno in cui avevo messe piede nell'appartamento, pareva che il tempo si fosse fermato. Fissai attentamente l'ultima porta a sinistra, la quale era chiusa. 

"Accomodati pure" indicò il salotto. Finalmente Noah si decise a rompere il ghiaccio. "Vado giusto un secondo in bagno, torno subito" disse , io annuii e quando si chiuse dentro, sospirai.

The Feeling 2 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora