Margherite Autunnali

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L'uomo si sistemò la tuba.

Si guardò allo specchio, tirandosi un baffo.

Annodò per bene la cravatta.

Si grattò il pronunciato mento.

E, infine, si assicurò che tutti i lucenti bottoni del lungo cappotto fossero ben chiusi: lo erano.

Il professor Emory sorrise, soddisfatto.

Prese il lungo bastone da passeggio e, dall'alto del suo metro e novantacinque d'altezza, uscì dai propri alloggi: quel giorno in città tirava un freddo vento autunnale.

Il professor abbassò il capo, riparandosi come meglio poteva nell'elegante cappotto beige.

Detestava quel clima, detestava il freddo e, sopratutto, detestava l'autunno: gli alberi che perdevano le foglie insudiciando le strade, per esempio! Storse il naso, vedendo come si stesse impantanando nel fogliame le scarpe...

Sospirò, continuando a camminare torvo e malcontento. Com'era di consueto.

"Via dei cipressi, numero dieci..." borbottò fra se e se.

Era lì che doveva arrivare. Una sua vecchia amata, di origine aristocratica e di ambiente mondano, l'aveva invitato a partecipare.

Odiava quelle stupide feste, ma non se la sentiva di rifiutare un invito tanto gentile, soprattutto da parte di Margherita per la quale, inconsciamente, provava forse ancora un poco d'affetto.

Così il professore percorse la via, svoltò a destra e a sinistra, salì una rampa di scale e ne discese un'altra, superò un naviglio e passo sotto un cavalcavia, svoltò ancora e attraverso la strada, quindi passò sotto un portico, svoltò ancora, attraversò un piccolo parchetto e una piazza, superò una grossa fontana e, finalmente, arrivò.

Alzò lo sguardo: era davanti al cancello d'ingresso del parco di una villona... decisamente più grande del suo monolocale con vista sulla discarica comunale. Ma lui non era ricco.

Din-don!

Suonò trillante il campanello.

Dal citofono si sentì una squillante voce: "Siiiii?"

"Margherita, sono Ventuno" rispose secco.

"Ventuno chiiii?" rispose la voce.

Il professore sbuffò. Detestava dover pronunciare il suo nome.

"Sono Emory"

"Emoriuccio! Sei venuto alla fine! Che gioia!"

Il professore alzò lo sguardo al cielo: "Ventunuccio" lo avrebbe anche gradito, ma quel vezzeggiativo con suo nome anagrafico gli dava un fastidio...

Tant'è, la porta si aprì, e il professore entrò. Cosa poteva farci...? Due lustri, che quella donna lo chiamava così.

Superò un immenso cortile con le più varie specie di piante e le più variegate siepi, con tanto di lampioni a gas per illuminare il vialetto.

Non si soffermò molto su quel tripudio vegetale: detestava il giardinaggio. Anche se, con la coda dell'occhio, gli parve fosse un po' tutto trascurato, con le rampicanti che iniziavano a prender possesso del vialetto.

E finalmente, superata una scalinata di marmo, arrivò al portone della villa.

Non fece in tempo ad alzare il braccio per bussare, che la porta si aprì: chiunque si sarebbe aspettato un maggiordomo, compreso Ventuno.

"Emoriuccio! Da quanto tempo!" esclamò una grassoccia, prosperosa e giovanile signora, dalla pallida carnagione e indossante un violaceo e raffinato abito di marca con tanto di ampio cappello decorato con variopinte piume.

Gli Argonauti dell'Oceano IndianoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora