«Ha ragione» dice Alban. «Non è il massimo dei piani, ma non abbiamo altre opzioni da vagliare, dato che casa mia è ancora più distante» Mi indica Denver, credo voglia il mio contributo per sorreggerlo. Io mi avvicino e lo aiuto a tirarsi su da un lato mentre Alban va dall'altro. «Benissimo. E voi due» fa, guardando me e Jena, «ricordatevi che vi chiamate Oan e Ren. Non una lettera in più, non una in meno. Intesi?»

Annuiamo. Poi ognuno di noi recupera la propria roba e ci incamminiamo dietro a Sahara, che afferma di ricordarsi esattamente dove abitiamo io e Jena.

Ci vogliono una quarantina di sofferenti minuti di cammino per arrivare. Per fortuna di notte non ci sono molti individui che gironzolano per queste strade e quindi passiamo inosservati quanto basta. Gli unici che ci vedono – o che credo ci abbiano visti – sono un barbone seduto sulla panchina nei dintorni di un parco e dei tizi che penso spacciassero droga. Ma nessuno di loro ci chiede qualcosa, nonostante i lamenti di Denver, dapprima trattenuti, siano presto diventati più frequenti. Quando siamo davanti al cancello d'ingresso, sento che il mio cervello sta per implodere e la schiena prende a incurvarsi sotto il peso di un sempre più dolorante e meno autonomo Denver. Ancora non abbiamo capito dove si sia procurato la ferita, lui non parla e, in effetti, nessuno glielo ha più chiesto. Non l'ho mai sentito parlare finora. Mi sembra strano. Sì, neppure il suo amico chiacchierava molto, ma lui non ha proprio aperto bocca, se non per una rauca risata.

Sahara si impossessa della mia valigia senza neppure chiedermelo e, dopo averla buttata a terra, apre tutte le tasche esterne alla ricerca di qualcosa. Le chiavi. Quando le estrae, le esibisce con fierezza, il loro tintinnio che soppianta i flebili rumori della notte. In lontananza, a un certo punto, echeggia una musica fatta di bassi e percussioni di batteria elettronica. Oh, una discoteca. Fantastico.

Jena sogghigna. «Ancora voi ascoltate la house? Da quando è di nuovo in voga?»

Ovviamente si rivolge a Sahara, che è l'unica ad avere circa la nostra età. Ma penso che Sahara non sia un tipo da discoteca. Riesco già a vederla nel suo appartamento, con una canna di bambù, mentre si allena fino a svenire. Questo pensiero mi fa tornare in mente Nile. Chissà dove sarà? Amburgo è un po' più grande di quanto credessi, sarà arduo trovarlo.

«Dovrai fartela piacere» le risponde brusca Sahara. «Oppure niente discoteca.»

Jena ammutolisce.

Dopo una decina di minuti siamo all'interno dell'edificio. Per la prima volta guardo il luogo in cui potrei trascorrere i prossimi mesi, così come tutto il resto della mia vita. È un posto abbastanza bello, arredato secondo un gusto per l'antichità. Sembra il covo di un ricco scapolo disoccupato di cent'anni fa. Eccetto il proiettore olografico posto sul basso tavolino davanti al divano e il sistema computerizzato che governa gli ambienti, non vedo qualcos'altro che possa considerare moderno. Il primo piano si suddivide nello stretto corridoio d'entrata munito di credenza, il salotto completo di un divano blu e due poltrone bianche e un'ampia cucina. Collegate al salotto, delle scale portano a un soppalco con ringhiera. Disopra intravedo delle porte, e quindi penso che le camere mia e di Jena si trovino lì.

Appoggiamo Denver sul divano e finalmente lui si calma. Allora la premurosa Gill ritorna a concentrarsi su di lui. «Delle medicazioni!» esclama.

«Ci sono?» chiedo ad Alban.

«Non so... Non abbiamo controllato che in tutte le case ci fossero delle medicazioni, ti ho detto il tempo che Duncan ci ha lasciato per prepararci» ribatte, e rotea le spalle, una smorfia di dolore. «Anche perché molte le abbiamo sottratte illegalmente a qualche agenzia... Ma credo che in qualcuna dovrebbero esserci, comunque. Adesso controllo.»

Alban ci impiega un po', ma poi le trova, e inizia a medicarlo insieme a Gill. Io mi aggrego a Jena e Sahara, che sono sedute agli antipodi del tavolo della cucina e si guardano come leoni che debbano condividere la stessa preda. Richiamo la loro attenzione sbattendo piano una mano su di esso. Loro si voltano fulminee, facendomi trasalire.

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