Seguii la traiettoria del suo sguardo fino a scorgere una figura comodamente seduta su una panchina, la stessa panchina su cui mi sedetti la prima notte dell'anno per non sforzare la caviglia.

La ragazza in questione aveva la testa china su un libro aperto sulle gambe accavallate. Una si muoveva a tempo di un ritmo a noi sconosciuto.

Indugiai qualche secondo, alternando lo sguardo dalla panchina all'uscita.

Non sapevo se avvicinarmi a salutarla, non sapendo neanche se fosse stata in grado di riconoscermi.

A farmi coraggio fu il rimorso nel ricordarmi come l'avessi trattata male.

Smisi di indugiarci più di tanto, mettendo da parte la timidezza e l'imbarazzo e, con l'obiettivo di scusarmi per bene, mi diressi verso la ragazza con Ashton e Luke al seguito.

Fortunatamente fu Ashton a fare il secondo passo per attirare la sua attenzione.

Attento a non spaventarla, entrò quasi timidamente nel suo campo visivo, salutandola con un sorriso e un gesto veloce della mano.

Lei ci mise qualche secondo per riconoscerlo mentre, con un'espressione confusa e un po' intimorita, si sfilava una cuffietta da un orecchio.

«Ciao!» salutò poi con un sorriso sincero, evidentemente sorpresa nel riconoscerci.

«Spero che la sbronza di inizio anno sia andata bene.» disse Ashton con un sorriso cordiale, restando in piedi di fronte a lei con le mani nelle tasche della tuta nera.

«Suppongo di sì dal momento che non ricordo assolutamente nulla.» replicò con una smorfia colpevole sul viso mentre infilava distrattamente un segnalibro tra le pagine che stava leggendo per tenere il segno, sfilandosi anche la seconda cuffietta dall'altro orecchio.

«Voi invece?» chiese voltandosi finalmente anche verso me e Luke, guardando il biondino un po' disorientata nel rendersi conto di non averlo mai visto.

«Luke.» si presentò subito quest'ultimo con quella sua stupida aria boriosa usata sempre per parlare con qualche ragazza, porgendole una mano che venne prontamente stretta in un gesto sempre più intimidito.

Notai anche le sue guance leggermente più rosee per il disagio mentre stringeva le labbra in un sorriso gentile.

«Isabel.» ricambiò, scandendo il nome con una pronuncia molto diversa da quella australiana, marcando accuratamente sull'ultima sillaba del nome, quasi fosse un particolare di vitale importanza.

Anche Luke sembrò notarlo dal modo in cui allargò il sorriso tronfio.

«Sei di queste parti?»

Non mi sfuggì il sospiro leggermente seccato che riuscì a trattenere in tempo.

«Sì.» rispose quasi a cantilena, sforzandosi di non risultare annoiata o infastidita dalla domanda, quasi fosse abituata a dover sfoggiare sempre la stessa risposta. «Sono nata e cresciuta a Sydney, ma mia madre è nata en El Salvador, America centrale, e ha voluto ricordare così le sue origini.» concluse leggermente più rilassata, distendendo le labbra in un sorriso orgoglioso nel dire l'ultima parte.

«Ci sei mai stata?» le chiese Ashton sinceramente curioso.

La domanda però non sembrava essere quella giusta da fare dal modo in cui Isabel strinse le labbra in un sorriso di circostanza mentre scuoteva la testa.

«È stata adottata quando aveva dieci anni: ha perso tutti i contatti che aveva.»

«Oh...» si lasciò sfuggire Ashton, mortificato.

Twelve Minutes// Calum Hood Donde viven las historias. Descúbrelo ahora