Simboli di potere

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Cremlino, biblioteca della torre

Gennaio 1545


« Ecco! Ecco, guarda qui! »

Ivan raccolse il pesante volume dal pavimento e lo gettò letteralmente in faccia a Macario, Metropolita della Chiesa Russa. L'uomo ebbe la prontezza di afferrare al volo il tomo e posarlo in grembo.

« Leggi! Avanti, leggi! » 

Macario si lisciò la folta barba e avvicinò gli occhi alla pagina interessata. Diede una letta veloce, poi sospirò. Scelse con cura le parole.

« Conosco la storia di Giulio Cesare. Ed è stato un grande sovrano, ma il tempo dell'impero è terminato da generazioni. »

Ivan, che attendeva una risposta differente, passò dall'euforia al broncio. Si passò una mano tra i capelli corvini, fece finta di lisciare una barba che non aveva e scimmiottò l'arcivescovo. Tentò addirittura di imitarne la voce, risultando piuttosto ridicolo.

Macario era abituato al temperamento del giovane principe e non diede segno di essere infastidito.

« Ivan. » disse dolcemente « Non c'è più spazio per un regno tanto vasto. Roma si è adeguata al nuovo mondo... »

« Non m'interessa la vastità del regno. Non hai letto, allora? Cesare poteva decidere da solo, senza circondarsi di inutili parassiti e leccapiedi! »

« I nobili non sono tutti- »

« COSA? Cosa? Non sono tutti maiali che sguazzano nel fango? » Ivan, con uno scatto, afferrò il Metropolita per il colletto della veste. « Brucerò loro gli occhi e li vedrò contorcersi dal dolore. Se lo meritano. »

Il respiro affannoso e gli occhi sgranati del Principe di Mosca erano un eco dei tumulti della Russia. Le famiglie aristocratiche, in preda al panico, avevano cominciato ad agire in maniera avventata. Ogni individuo che pareva ottenere una posizione di favore all'interno della corte veniva immediatamente assassinato o avvelenato o messo fuori gioco con altri espedienti. La popolazione del Principato era oppressa dalle tasse dei nobili, il governo sembrava frammentato in tante piccole realtà e alcuni nuclei contadini minacciavano rivolte e disordini. I giorni senza incendi a Mosca si contavano sulla punta delle dita.

« Hanno preso ciò che è mio di diritto, Macario. » Ivan mollò la presa e tornò improvvisamente sereno. « Se non faccio qualcosa, la Russia cadrà in mano a quei topi di letamaio. »

« Ucciderli tutti non è la soluzione, lo sai bene: devono riconoscerti il potere. » 

« Non lo faranno mai. Sono terrorizzati dalla mia ascesa e da quello che rappresento. »

« Allora fai in modo che nessuno possa contestarti. »

« Sì, ma come? Come? » Ivan si afferrò la testa con entrambe le mani. « Se comincio ad ammazzarli, mi distruggeranno per paura; se fingo di assecondarli, mi distruggeranno per convenienza; anche se sto fermo e li lascio in pace, sono certo che mi faranno fuori alla prima occasione! »

Macario cominciò a tastare i dorsi dei libri presenti sugli scaffali della biblioteca. Ne recuperò alcuni, sfogliandoli lentamente e annuendo di tanto in tanto. Erano per lo più testi riguardanti la storia passata del regno di Mosca, i suoi sovrani, gli editti, le leggi riguardanti il potere. La lentezza dell'arcivescovo mandò Ivan in escandescenza, che ricominciò a scimmiottare sbattendo per terra tutti i volumi che gli capitavano a tiro.

« Pazienza... »

« Pazienza? » Un altro tomo cadde pesantemente sul pavimento. « Ti farò giustiziare se non mi spieghi cosa stai cercando. »

Poteva suonare come una minaccia vuota o uno scherzo, ma Ivan non parlava mai a vanvera. E Macario, probabilmente, lo sapeva.

« Cerco la tua ascendenza, se mi dai ancora un poco di tempo. »

« Cioè quelli venuti prima di me? Guarda sotto i tuoi piedi, vecchio accecato. »

Macario abbassò lo sguardo e intercettò un rotolo di pergamena. Sempre con lentezza impressionante, si chinò per raccoglierlo e dispiegarlo. La lettura sembrò particolarmente interessante.

« Ah! »

« Cosa? Cosa? » 

« Tuo nonno ha sposato una Paleologa. »       

« Bene... » Ivan aggrottò le sopracciglia. « Mi dovrebbe importare? »

« Sofia era discendente dell'imperatore Costantino. »

« Quindi? »

« Quindi nelle tue vene scorre lo stesso sangue, il sangue degli antichi imperatori romani. »  

Seguì un lungo momento di silenzio. La biblioteca, che era scarsamente frequentata o addirittura sconosciuta, pareva avvolta da un'aura mistica. Un lieve raggio di sole invernale penetrava dall'unica finestra, illuminando la porzione di stanza dedicata alla lettura. Il resto dell'ambiente era avvolto dal buio. 

L'espressione di Ivan si aprì in un sorriso sgargiante, lupesco. Senza dire nulla, ricominciò a sfogliare manoscritti. Ne prese uno, lo gettò di lato; ne prese un altro, lo osservò attentamente e scosse la testa. Con il terzo ebbe più fortuna: I racconti degli anni passati. Lo sollevò con entusiasmo, agitandolo insistentemente a pochi centimetri dal naso di Macario.

« Qui ho letto che la mia dinastia ha avuto stretti rapporti con l'impero bizantino. Nessuno negherebbe una discendenza con uno dei suoi rappresentanti! »

Il Metropolita si accigliò. « Sei certo di questa affermazione? »

« No, ma i simboli di Mosca potrebbero derivare dall'Impero Bizantino. Chi negherebbe un accordo sconosciuto di tempi remoti, scoperto solo in questo istante? »

« Allora intendi davvero farlo? »

« Sì. » Gli occhi di Ivan baluginarono. « Sì, mi piace il titolo di Zar. »                         


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