Capitolo 1

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Ogni mattino è sempre più grigio in South Caroline, tutti i giorni hanno lo stesso sapore come se niente sconvolgesse la vita delle persone che ci abitano. Da quando sono nata, 28 anni per l'esattezza, e ne ho memoria tutte le mattine sono sempre più grigie.

E credo di aver sempre più ragione, riguardo questa mia supposizione, quando scosto la tenda di lino della mia piccola casa di periferia e noto il solito cielo grigiastro che sovrasta le nostre case.

Sospiro affranta dalla monotonia. Uno squillo interrompe i miei pensieri e come ogni mattina rispondo ai mittenti con lo stesso tono.

"Pronto" la mia voce sembra impastata ancora dal sonno, anche sono sveglia già da più di mezz'ora.

"Miss Owen l'attendiamo per il solito appuntamento. Le telefoniamo perchè sono già due sedute che manca" la voce maschile al telefono è molto autoritaria, quasi mi incute terrore.

Sposto una ciocca dei miei capelli color ambra dietro le orecchie per poi rispondere in modo diretto al mittente.

"Ho avuto problemi, ma non si preoccupi. Al prossimo appuntamento non mancherò" dico in modo deciso per non far trapelare nessun sentimento dalla mia voce, anche se adesso essere prima di emozioni è diventata parte fondamentale della mia persona.

L'uomo dall'altra parte del telefono sembra prendersi qualche minuto di riflessione, tentenna per chiudere la chiamata e questo mi preoccupa perché non saprei cosa dirgli per rassicurarlo. Passa qualche secondo e alla fine uno sbuffo.

"Ci si vede Miss Owen" interrompe la chiamata.
Rimango alcuni minuti con il telefono ancora attaccato all'orecchio, ma quando finalmente lo poso tiro un sospiro di sollievo.

Porto le mani tra i capelli e li tiro leggermente indietro per la frustrazione.
Ho troppe responsabilità e non riesco a gestirle, questi due incontri saltati non sono stati volontari, avevo davvero qualcosa da fare.

Guardo l'orologio posto sulla cucina e noto l'ora.
Le 10:00.
Inizio a prepararmi per il mio lavoro, non che sia una grande lavoratrice o che il mio lavoro abbia bisogni di tanti sforzi. Sono una semplice donna che lavora in una caffetteria nel centro della città e a volte faccio altri lavori part-time se necessito di soldi.

Saltello su un solo piede per infilarmi lo stivale sinistro, arrivo alla porta e una volta afferrate le chiavi di casa esco fuori.

La fortuna di vivere in periferia è di trovare sempre mezzi pubblici vuoti perché l'inizio di ogni corsa non dista molto da casa mia.

Seduta nell'autobus caccio fuori io mio cellulare dalla borsa, non per ascoltare musica o altro perché anche se lo volessi questo telefono è in grado soltanto di riceve e fare chiamate. Lo so potrebbe sembrare strano che io abbia un aggeggio del genere in questi tempi, ma in mia difesa è l'unica cosa che potessi avere visto che non posso permettermi lussi eccessivi, ma mi basta.

E come avevo previsto la sua chiamata non tarda mai ad arrivare.

"Mamma" dico una volta risposto al telefono.
"Ellie" squittisce " quando vieni a trovarmi di nuovo?" chiede con un pizzico di speranza fatta trapelare dalla sua voce.

"Presto" mento. Vorrei che questo appena detto fosse vero, mi manca tanto. Ma non posso guardarla negli occhi e dirle tutto cio' che mi è successo in questi 10 anni lontana da casa. Non riuscirei a sostenere il suo sguardo e inoltre non ho abbastanza denaro per potermi permettere un biglietto per Londra.

"Lo dico ogni volta che ti chiamo" mi ricorda " eppure sono 10 anni che non vedo la mia bambina" ed ecco che le sue parole vengono accompagnate dai soliti singhiozzi.

In sottofondo sento il borbottio di mio padre.
"Richard lasciami parlare!"squittisce mia madre.

"Ellie" la voce calda di mio padre mi solletica le orecchie, erano anni che non la sentivo e mi rassicura constatare che non sia cambiata.

Lui era il mio rifugio, con la sua voce riusciva a placare ogni pianto ma 10 anni fa tutto è finito, ho voluto sfidarlo ed adesso ho perso il privilegio di essere al sicuro.

"Papà" quelle parole sono state difficili da pronunciare, quasi la mia bocca avesse trovato difficoltà a ricorda quella parola.

La chiamata finisce lì, controllo più volte che il mio telefono non mi abbia abbandonato e ne rimango delusa quando arrivo al vero motivo dell'interruzione di quella chiamata: mio padre.

Immagino mia madre nel piccolo salone di casa nostra intenta a cucire qualcosa, ogni tanto posa la sigaretta che porta tra le labbra, per il quale vizio spesso l'ho rimproverata, per guardare mio padre nel nostro orto intento a coltivare il terreno.

Sono cresciuta in una piccola fattoria nella periferia più remota di Londra, non ricordo bene la zona o il nome perché mio padre, da grande inglese orgoglioso, ha sempre sostenuto che tutta l'Inghilterra fosse Londra.
La periferia era tanto importante quanto la nostra capitale, con gli anni sono cresciuta con la stessa concezione e non ho mai sentito l'impulso di trovare la verità delle mie origini.

"Ellie devi scendere".
Bob, l'autista che conosco da tanti anni, mi ricorda della mia fermata. Se non fosse stato per lui adesso sarei arrivata tardi a lavoro.

"Grazie Bob" lo ringrazio.
Una volta arrivata alla caffetteria, con 5 minuti di ritardo, chiamo Zayn.

"Aiutami ti prego" sono le prime parole che proferisco non appena risponde.
"Entra fra 2 minuti" termina la chiamata.

Sospiro. Zayn è l'unico dipendente di questa caffetteria che mi rivolge la parola, lo ammetto non sono un tipo cordiale e sto sulle mie ma non mordo mica.
Zayn è un liceale, ha 19 anni. Sta per finire la scuola con qualche anno di ritardo perché ha avuto problemi in famiglia. Mi ricorda molto me alla sua età, sono contenta di averlo conosciuto perché non ho amici e l'unico è quello che si avvicina di più ad un conoscente.

Sono due le persone che mi rivolgono la parola se analizziamo la situazione, Zayn e Bob, e se vogliamo includere quelli che sono costretti a farlo aggiungerei il mio dottore.

"Muoviti" bisbiglia Zayn dall'entrata secondaria. A passo svelto lo seguo dentro.

Mi porge un grembiule e mi da una cassa di birre in mano.
"Assecondami" dichiara e io annuisco.

Una volta dentro Jake, il mio capo, è appoggiato al bancone controllando la situazione della sua caffetteria.

"Owen!" mi richiama.
"Cazzo!" bisbiglio " se ne sarà accorto" dico verso Zayn porgendogli la cassa.
Mi volto e vedo Jake di fronte a me.

"Sei arrivata in ritardo?" chiede.
"In ritardo?" ripeto le sue parole per cercare di trovare una bugia adatta.

"Era con me" interviene Zayn alzando la cassa, che prima gli avevo dato, per scuoterla davanti agli occhi di Jake.

Il mio capo sembra cascarci e ringrazio tutti i santi, ma l'unico santo che ho è un ragazzo dai capelli scuri e gli occhi color caramello.

"Ti devo un favore" affermo.
"Mi devi la vita Ellie" dice e forse non ha tutti i torti.

Il cellulare tra le mie mani vibra di nuovo, controllo il mittente e rimango pietrificata davanti a quel numero.

"Che c'è? " domanda Zayn.
"Sapevo che non ci era cascato stamattina!".

#SPAZIOAUTRICE
Nuova storia!!! Questa è una di quelle storie che mi rende un po' nostalgica perché mi rende cosciente che Allison e Nate sono quasi un capitolo chiuso.
Ma passando ad altro. Cosa ne pensate?
Commenti.
Xoxo

The One Who Makes Me Feel... Where stories live. Discover now