Parte prima: "l'andata" - 2

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2.

«Scusa, potresti scattare una foto a me e alla mia amica?»

Giacomo aveva smesso di digitare il messaggio e aveva alzato gli occhi verso una ragazza che gli stava di fronte. «Ce l'hai con me o stai alludendo a qualcun altro?»

Per tutta risposta la ragazza gli aveva mostrato una piccola macchina fotografica digitale.

«Puoi mettere via quel telefono e scattarci una foto? Possibilmente senza darti alla fuga con la mia macchina, ovvio.»

Giacomo era rimasto attonito, perché quel primo di aprile le burle tuonavano ovunque e lui ne aveva messe in conto già parecchie. Tuttavia guardandosi intorno aveva compreso che la città era esattamente come qualche minuto prima. Nessuno dei suoi colleghi o amici era nascosto dietro qualche macchina o motoretta delle grattachecche. La ragazza era lì, con la sua amica, la faccia farsesca e un accento provocante.

«Ah, dimenticavo. Mi chiamo Gaya Alvarez e sono spagnola.»

In un nanosecondo lui aveva spento il telefono, scattato la fotografia e balbettato il proprio nome.

«Giacomo... io mi chiamo Giacomo.»

Ovviamente, Gaya la discrezione l'aveva mollata a Barcellona, mentre lui la teneva sempre celata nel taschino. Lei era in viaggio per decidere in quale città si sarebbe trasferita l'anno successivo. Studentessa di architettura all'università di Barcellona, aveva fatto domanda per una borsa Erasmus di nove mesi in Italia, per studiare e approfondire cultura e lingua di un paese dal quale era sempre stata affascinata. Il progetto includeva tre opzioni — Firenze, Roma o Palermo — ma prima di avere la risposta e organizzare il trasferimento aveva deciso di visitare tutte e tre le città.

Di se stesso, invece, Giacomo non aveva svelato quasi niente, a parte la sua predilezione per l'arte in generale che in quell'iniziale e maldestro scambio di battute sembrava aggiungersi alla sua lunga lista di goffaggini. Per il resto a ogni domanda di Gaya rispondeva semplicemente: «Magari un giorno lo scoprirai da sola.»

Eppure, mentre l'amica era impegnata a scattare fotografie di piazze, sculture e fontane, Giacomo e Gaya si erano ritrovati piacevolmente simili nell'essere entrambi estroversi. Lui da buon Cicerone le aveva raccontato infiniti particolari su Roma usando la sua vena più fantasiosa.

«Gaya, devi sapere che questa città non si spegne mai.»

Le parlava, mentre affiancandola evitava di scrutarla negli occhi. Lei eccome se lo ispezionava... soprattutto quando lui sogghignava.

Solo anni più tardi avrebbe scoperto che il vero motivo per cui Gaya era rimasta con lui quel giorno, malgrado la sua goffaggine, era stato proprio il suo maledetto sorriso da stronzo.

A un certo punto l'amica, prostrata dalla scarpinata, aveva deciso di rientrare in albergo per la cena.

Si erano accordati per risentirsi più tardi, ma una volta in stanza, la ragazza aveva perso i sensi sul letto dinanzi a Paperissima, l'unica trasmissione che non necessitava di un grosso intendimento lessicale.

In seguito a numerose telefonate e a finte apprensioni, Gaya e Giacomo avevano deciso di continuare la serata da soli, e dopo aver recuperato lo scooter erano andati in un piccolo locale affacciato sul Lungotevere, dalle parti della basilica di San Paolo. Non era molto frequentato, ma abbastanza abbordabile. Il clima dolce della primavera precoce li aveva incoraggiati a scegliere un tavolo all'esterno. Nell'acqua del fiume, in un riflesso capovolto, si specchiavano il cielo stellato e le luci della città.

«Ragazzi, ve lo porto un vinello molto buono che mi è arrivato oggi dalla Sardegna?»

Il cameriere era appena sparito che la testa di Giacomo si era fatta più leggera. Non riusciva a staccare gli occhi dal collo esile di Gaya, dai suoi zigomi sporgenti, dalle due fossette che le si formavano ai lati della bocca quando sorrideva e che lo facevano ammattire, unitamente alla sua cadenza ispanica.

Così, bicchiere dopo bicchiere, sigaretta dopo sigaretta, si erano fermati fino alla chiusura del locale. Dopo aver pagato si erano alzati un po' rattrappiti e si erano allontanati lungo il Tevere. Lei qualche passo più avanti, lui alle sue spalle a struggersi dal desiderio.

Immerso nella sua fantasticheria, Giacomo le lambiva le caviglie e delicatamente le snodava le scarpe, poi abbracciandole il piede si passava le dita sulla bocca bagnata di saliva e alcool. Lei con gli occhi semichiusi arcuava il collo all'indietro e si lasciava palpare, mentre lui scalzo e senza camicia la circondava da dietro sfiorandole i fianchi, le braccia e le spalle. Provocava Gaya con piccoli morsi sul collo e, mentre lei roteava il viso, approfittava delle sue labbra, e baciandola infilava le dita tra i suoi capelli, dentro il vestito e sotto il reggiseno a pizzicarne i capezzoli. Lei in preda all'eccitazione si sfilava le mutandine e continuando a lambirlo gli si sedeva sopra e...

«Giacomo, ci sei? A che pensi? L'alcool ti sta dando alla testa, eh?»

Nel ritornare al mondo reale, Giacomo si era ritrovato con una ciucca in atto e un inturgidimento che non sapeva più come occultare. Ed era stato in quel preciso momento, mentre cercava maldestramente di stare in piedi e passeggiare come se niente fosse, che lei gli aveva detto: «Non posso trattenermi a lungo questa sera, perché domani mattina dobbiamo rientrare a Barcellona e devo fare ancora altre commissioni e preparare la borsa.»

Sarà stata la stangata o il livello alcolico in corpo, ma a quel raffronto Giacomo non aveva nemmeno reagito. Se non fosse stato per Gaya che si era impuntata affinché smettessero di girovagare, lui sarebbe andato avanti per ore, come in un sogno. Ma lei aveva tirato fuori un foulard dalla borsa e lo aveva spiegato sul ciglio della strada, poi si erano seduti uno accanto all'altra.

«Fumerei volentieri una sigaretta» aveva proferito lui, ma visto che le avevano terminate toccava chiederle a qualcuno.

Allora si erano messi ad aspettare che arrivasse un passante a cui mendicarla, anzi, al quale lei lo avrebbe chiesto. Perché era una femmina, e si sa che per una ragazza che cerca una sigaretta è molto più semplice. Così, intanto che aspettavano, si erano accoccolati come due feti nel grembo di una stessa madre e si erano addormentati.

Due corpi una sola menteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora