"Sii paziente." Cominciò a camminare a passo svelto e facevo sempre più fatica a stargli dietro.
Stavamo entrando in un bosco non molto fitto, con alberi diversi, ce ne era uno che era altissimo e Dylan si diresse proprio da quello.
"Dylan cosa hai intenzione di fare?" Domandai alzando un sopracciglio, basita dalla situazione.
"Ho posizionato un'amaca in mezzo ai quei due rami molto robusti, in modo che non si spezzino." Indicò l'amaca e incominciò ad arrampicarsi, quel ragazzo aveva le abilità di una scimmia.
"Non sono una scimmia come te!" Esclamai e a quel punto fece un salto da tre metri, per ritornare vicino a me.
"È per questo c'è un percorso più semplice per i principianti" Mi fece notare accompagnandomi alla parte posteriore dell'albero gigantesco, c'erano dei piccoli scavi che combaciavano con i miei piedi, in modo tale da farmi salire senza difficoltà.
"E dimmi, quando hai avuto l'idea di fare queste cose?" Chiesi incominciando ad arrampicarmi, non era difficile, anche perché l'albero era in pendenza.
"Quando sono arrivato qua e ho fatto un giretto per Los Angeles questo bosco mi ha appassionato fin da subito e ho voluto mettere un'amaca su questa enorme quercia, per osservare le stelle e per fare un riposino quando capita." Mi confessò salendo ancora di più, era stupendo.
Era arrivato sull'amaca e mi guardava sorridendo, i suoi occhi splendevano alla luce della luna e mi sentii mancare il fiato.
"Invece di fissarmi, sali più velocemente." Ghignò sistemandosi meglio sull'amaca.
Mi avvicinai a lui scavalcando un rametto, allungandomi sull'amaca accanto al moro che mi fissava senza proferire parola.
"Allora, vediamo un po'...Hai qualche tatuaggio, "amica"?" Mi chiese infine facendo le virgolette alla parola amica.
"No, però credo che quando compierò 18 anni uno me lo farò." Affermai facendo spallucce.
"Tu?"
Lui sorrise beffardo, con l'angolo destro della bocca che si arcò, cosa che fece ricadere il mio sguardo sulle sue fantastiche labbra.
"Si, ce ne ho uno." Rispose, girandosi di spalle, indicò la sua nuca e riuscì a vedere il suo tatuaggio, era la mano di Fatima.
"La mano di Fatima, bella." Sospirai accarezzando la sua pelle con l'inchiostro inciso, lo sentii rabbrividire al mio tocco.
"Protezione, protezione contro la malvagità delle persone, contro la loro gelosia. Questo significato mi ha sempre colpito, d'altronde come il suo disegno, così ho deciso di impremerla sulla mia pelle." Mi spiegò girando la testa verso di me.
"Sono ebreo e la mano di Fatima è un segno simbolico per la mia religione." Si rigirò completamente e, guardando la luna, gesticolò con l'anello presente nella sua mano.
"L'ebraismo è una religione interessante." Dissi.
"È mia zia che mi ha trasmesso questa passione, i miei non sono ebrei, lo sono diventato grazie a mia zia." Sorrise, non era un sorriso felice, ma pieno di malinconia.
"Mi dispiace per tua zia, Dylan." Ammisi consolandolo.
"Non dispiacerti, non voglio compassione. È solo che lei ci è sempre stata, al posto dei miei genitori." Sospirò.
"Loro non c'erano mai, erano sempre fuori per lavoro, sono gli avvocati migliori dello stato e avevano continui impegni. Mia zia invece era sempre là a consolarmi, a fare le sue solite battute e farmi ridere. I miei invece era già tanto che tornavano a casa per cena e mi dicevano ciao, dicevano che non ero un figlio modello per loro, odiavo la loro avarizia, erano e sono tutt'ora ricchi sfondati e questo ha fatto solo aumentare il loro vizio di essere dei bastardi. Poi, quando è morta zia Pat me ne sono andato, non potevo più vivere in quella famiglia di merda, composta da due genitori mai presenti e io che mi ero stancato di vivere lì, io e Tyler siamo andati via, lui viveva con il suo patrigno il quale non gli fregava niente di Tyler. Quando ho detto ai miei che me ne sarei andato hanno risposto così: "un peso in meno in questa famiglia." E allora capii che per loro ero solo un fottuto peso." Continuò, guardandomi attentamente, aveva avuto una vita bruttissima in passato. Lo abbracciai e lui non ricambiò, appoggiò solo la sua testa sulla mia spalla, provocandomi miliardi di brividi.
"Scusa se ti ho fatto tutto questo monologo ma avevo bisogno di sfogarmi con qualcuno di cui mi posso fidare e non so...sento che di te ci si può fidare." Mi confessò gesticolando.
"Anche io mi fido di te, Dylan." Dissi quelle parole senza neanche rendermene conto, ero ormai andata fuori di testa da quando i suoi occhi mi esploravano dentro con una solo occhiata. Lui mi sorrise, un sorriso in grado di far sciogliere chiunque.
"Raccontami un po' di te...Jessica." Pronunciò il mio secondo nome nessuno aveva mai fatto e la cosa mi fece accelerare il battito del cuore, pulsava dappertutto, lo sentivo persino sulle dita dei piedi.
"Non c'è nulla da dire su di me." Feci spallucce, era vero, avevo una vita normale senza aspetti originali.
"Non ci credo, persino la persona con la vita più monotona di sempre avrebbe qualcosa da dire su di lui." Ridacchiò Dylan, non riuscivo a non fissarlo, era la persona più misteriosa e interessante che io abbia mai conosciuto.
"Allora, vivo con mia mamma e con mia sorella e i miei sono divorziati. Questa è la mia vita, Dylan." Mi arresi e lui insistette, era davvero testardo e lo amavo anche per questo.
"Dimmi cosa ti piace, Jessica." Scossi la testa leggermente, punzecchiando il tessuto dell'amaca.
"Adoro le materie scientifiche, in particolare la chimica e la fisica. Mi piace molto ascoltare la musica e leggere, amo leggere, in qualsiasi periodo della giornata non mi stufo mai di prendere un libro e leggerlo. Mi piacerebbe studiare medicina all'Università. E a te Dylan invece, cosa ti piace?" Dissi sorridendogli, lo osservai un po' meglio: aveva gli occhi di un marrone profondo e alcune ciocche di capelli gli ricadevano sulla fronte, aveva una clavicola sporgente e io adoravo le clavicole sporgente nei maschi.
"Filosofia. Adoro le materie umanistiche, adoro il concetto della storia, di scoprire cosa fosse successo nel passato e che a sua volta ha costruito un presente di tutte le persone che ci circondano, adoro la filosofia e non c'è un motivo ben preciso del perché mi piaccia... È solo che mi ci rispecchio molto."
"Io odio la storia, non so perché, ma mi piace guardare nel futuro e non nel passato, le cose che sono successe sono successe e le cose che non sono ancora successe saranno sempre imprevedibili." Ammisi.
"Ma il futuro ha come base il passato, Jessica." Specificò lui sorridendo con la parte destra della bocca. Non l'avevo mai pensata così, è strano pensare che delle persone ti possono far cambiare il concetto di qualsiasi cosa così, da un momento all'altro.
Continuammo a parlare, senza renderci conto del tempo che passava velocemente, tutto passava velocemente con lui. Poi mi accorsi che si era ormai fatto tardi, così ritornai a casa con Dylan.
Eravamo sulla porta, in totale imbarazzo, nessuno dei due sapeva cosa dire.
Ci salutammo e feci per aprire la porta con la chiave attaccata ad essa, ma, ancora una volta, la sua voce mi bloccò.
"Ricorda, la base del futuro è il passato." Mi sussurrò nell'orecchio e dopodiché chiuse la porta alle mie spalle, entrai in casa e sorrisi involontariamente.
Già, Dylan era il mio futuro passato.
*Spazio autrice*
Ragazzi, voglio prima di tutto ringraziarvi per le 300 visualizzazioni in così poco tempo, grazie davvero. E beh, spero che questo capitolo vi piaccia, un bacione a tuttiiiii.
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Unsteady ||•Dylan O'Brien•||
FanfictionLui era là, con le mani in tasca, appoggiato al muro. Mi stava sorridendo e io sapevo che se mi avrebbe rivolto parola sarei stata fottuta. "Vedo che il sottoscritto fa colpo anche il primo giorno di scuola." Ghignò lui venendo accanto a me. Da quel...
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