O1: Le miniere di damantis

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Dhana si asciugò il sudore dalla fronte e riprese a riempire i secchi di detriti. Quel giorno il lavoro in miniera non le aveva fruttato nulla, nemmeno il più piccolo dei cristalli di damantis, e quel fallimento le sarebbe costato la cena. O quella che in quel posto definivano tale.

Tossì un paio di volte e quando si sollevò trovò solo il ghigno infastidito di una guardia che la fissava con aria assorta.

"Ma guarda, guarda... Questo è il terzo giorno che non trovi nulla. Al quarto ti spetteranno dieci frustate!"

Dhana non rispose e chiuse gli occhi. Dentro di sé avvertiva lo spirito dell'ultimo drago irrequieto e affamato quanto lo era lei. Lo chiamò per nome e Lazhar le rivolse il saluto emettendo un basso ruggito.

Il tatuaggio draki era comparso sul suo corpo cinque anni prima e da allora condivideva ogni pensiero con lui. Lo sentì muoversi sulla pelle, sotto gli abiti stracciati, e tirò un sospiro di sollievo quando infine si fermò. Per quella sera il drago avrebbe ripreso a dormire.

Il suono della campana annunciò la fine del turno di lavoro e il soldato s'affrettò ad afferrarla per le ascelle. La sollevò con ben poca delicatezza e le intimò di camminare verso i tunnel d'uscita. Lei prese a avanzare, con i sassi e i ciottoli che scivolavano sotto i suoi piedi, avvolti da stracci. I detriti della miniera le ferivano la pelle, ma Dhana proseguì fino alla galleria centrale che scendeva verso la baraccopoli degli schiavi.

Alla sua discesa si unirono uomini e donne con secchi contenenti il damantis, il viso sporco di terra e le mani sanguinanti. La maggior parte di loro aveva il viso smunto, i capelli pieni di nodi e occhiaie scure attorno agli occhi. A capo chino, trasportavano le pietre che avrebbero reso la città di Valantia ancora più ricca di quanto già non fosse.

I menestrelli e gli uomini del nord la definivano come la città delle possibilità.

Da schiavo potevi diventare mercante ma da consigliere del Marah potevi anche diventare carne per corvi.

Eretta trecento anni prima, Valantia era prosperata grazie al commercio marittimo e alle miniere di damantis. Questo era un materiale plasmabile che veniva estratto come pietra, ma poteva venire fuso per ottenere una lega molto resistente. Pochi potevano permetterselo, ma quelli che ne erano in grado tenevano a quegli oggetti più della loro stessa vita.

Da bambina suo padre le aveva regalato la statua di un cigno, nero come l'ossidiana, ma era andata distrutta insieme alla sua casa e alla sua famiglia.

Erano trascorsi cinque anni dal giorno in cui aveva perso i suoi cari e il trono che le sarebbe spettato per diritto. Aveva detto addio a ogni cosa, compreso il suo nome. Solo il tatuaggio draki dipinto sulla schiena la teneva legata a un passato perduto e a un futuro ignoto.

Dalle miniere, Valantia era solo un insieme di puntini luminosi nella notte, difficile credere che fosse stata capace di spazzare via la dinastia degli Ehorin.

Eppure era accaduto.

Dhana tremò di freddo e si rannicchiò meglio sotto la coperta del vecchio Karl, morto due giorni prima. L'uomo gliela aveva lasciata insieme alla ciotola di rame che usava per i pasti e Dhana aveva pianto quando l'aveva sentito esalare l'ultimo respiro. C'era stato un periodo, dopo la caduta di Menfhis, in cui si era chiesta se sarebbe mai più stata in grado di piangere, e aveva scoperto che la disperazione era sempre un passo avanti a lei.

Prima che morisse, Karl aveva afferrato la sua mano pregandola di restare con lui. Le aveva parlato dei figli e della moglie, poi si era zittito e la dea Herana era calata sulla sua anima, portandolo con sé nel regno dei morti. Le guardie avevano trascinato via il cadavere e lei aveva preferito non sapere cosa ne avrebbero fatto. Alcuni dei prigionieri giuravano che i morti fossero dati in pasto alle viverne del Marah, ma Dhana sospettava che fosse solo un altro modo per seminare paura tra schiavi e minatori.

Ehorin-La stirpe spezzataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora