2. The Scientist

Comincia dall'inizio
                                    

"Ma questo è quello al quale sono più affezionata - taglio corto, incrociando le braccia al petto e guardandolo con fare circospetto - E tu perché hai scelto quell'aeroplanino?" rigiro la frittata, incastonando gli occhi nei suoi.

Con quel ciuffo di capelli così lungo è quasi difficile vedergli gli occhi. Tra me e sua madre non so chi è quella che più gli fa pressioni per fargli tagliare i capelli. Ma è testardo come un mulo, c'è poco da fare.

"Tua mamma dice sempre che stavo giocando con quello, quando ci siamo incontrati - ammette, evitando i miei occhi e cominciando a raccogliere le pale e i nostri zaini da terra - Mi dai una mano o no?" mi incoraggia poi, con finto tono di rimprovero, sorridendomi.

"Certo che... Da aeroplanino a farfalla ce ne passa, eh..." osservo, levandogli di mano il mio zaino e mettendomelo in spalla.

Raccolgo il resto della nostra roba e lo sorpasso, avviandomi verso casa.

"Carino! Potrebbe diventare il nostro motto, sai? Vedi? Dopotutto non sei così inutile, tappa" si complimenta, raggiungendomi e affiancandomi, con un sorriso divertito ad aleggiargli sulle labbra.

"Non sono inutile! E nemmeno tappa! Abbiamo solo sette centimetri di differenza. E neanche si notano!" mi lamento, puntandogli un indice contro e piantando i piedi a terra, punta sul vivo.

"E pensa che i ragazzi si sviluppano in ritardo! Quando avrò vent'anni sarò un colosso in confronto a te!" si vanta, l'idiota, compiacendosi dei successi che madre natura gli ha concesso.

"Beh, io posso ancora crescere fino ai diciott'anni. Quindi ne riparleremo al college, tonno" ribatto, piccata, riprendendo a camminare e andandogli dietro.

"Non sono un tonno!" grida, offeso, ma quando mi si avvicina sta sorridendo tanto quanto me.

Mi risveglio con un allucinante cerchio alla testa e più stanca di quanto dovevo essere ieri sera. Erano secoli che non mi sbronzavo così. Cavolo, sto da cani. Sento le palpebre pesanti, il mio alito sa ancora di alcool, e ho dolori ovunque. Questo materasso è scomodissimo, diamine. Ho un mal di schiena incredibile. La luce del mattino, che presuppongo entri dalla finestra in fondo alla stanza, è accecante. E ho ancora gli occhi chiusi. Non ho la minima forza di alzarmi. Dopo il sogno che ho appena fatto, poi, non ne ho neppure la voglia. Non ricordavo neanche di quella "capsula del tempo" o di quella giornata. Tredici anni. Sono trascorsi tredici anni da quel giorno. È una vita, perdinci. Socchiudo un occhio, ma lo serro immediatamente poco dopo. Mi agito tra le coperte, sudata e accaldata, e realizzo che Connie non è nel letto con me. Litigo con le lenzuola e alla fine le scalcio via, sbuffando e mettendomi a sedere. Ma che fine hanno fatto tutti quanti?

"Oh mio Dio, è viva!" enfatizza Connie - con un tono che simula quasi liberazione -, facendomi sorridere, mentre ho ancora gli occhi chiusi e una mano sulla fronte.

Apro piano le palpebre e, dopo averle stropicciate, riesco a inquadrare la sua figura. È seduta sulla poltroncina, accostata al muro di fronte al letto, sul quale mi trovo io in questo momento. Ha un gomito poggiato su un bracciolo e una guancia posata contro le nocche della mano chiusa a pugno. Mi sgranchisco braccia e schiena e connetto gli occhi ai suoi, cercando di combattere il notevole giramento di capo che mi ha colpita da quando mi sono messa seduta.

"Hai un aspetto orrendo, tesoro, lasciatelo dire" sentenzia, inclinando di poco la testa da un lato.

Mugolo qualcosa di incomprensibile persino a me stessa e porto le ginocchia verso un fianco del letto, intenzionata a scendere.

"Io non lo farei, se fossi in te. Per fortuna siamo riusciti a evitare che rimettessi, stanotte. Non vorrei che lo facessi proprio ora che ci sono solo io" mi confessa, ridacchiando e accavallando le gambe.

Celeste - Lasciati trovare [SEQUEL]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora