Il diciassettesimo genetliaco

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-Se pensi che scenderò al piano terra per comportarmi da brava bambina, dopo la settimana di inferno che mi avete fatto passare...beh, dimostri di non conoscermi affatto.
Zio Lauro ha un'espressione accigliata e una postura del corpo di chi è pronto a caricarmi sulle proprie spalle per trascinarmi alla mia festa di compleanno.
-Sei una stupida, quello che è successo è dipeso solo da questo.
Mi tocco il labbro inferiore, è ancora gonfio e dolorante anche se il taglio interno si è finalmente rimarginato e ha smesso di sanguinare.
Segue con gli occhi il movimento della mia mano e il suo sguardo diventa affilato.
Sappiamo entrambi che dopo quello che è successo due notti fa, il nostro rapporto può considerarsi compromesso definitivamente.
-Non puoi davvero pensare di rinchiudere una persona in casa, senza nessuna spiegazione plausibile, ma solo con un cumulo di bugie assurde e aspettarti che rimanga buona, zitta e immobile.
Stringe i pugni e contrae la mascella, non è mai stato un tipo affabile, ma negli ultimi giorni è perennemente arrabbiato.
Mi viene voglia di sorridere, ma cerco di tenerlo nascosto.
Perché quello che i miei carcerieri non avevano preventivato, era la mia libertà di poter utilizzare telefono e internet, pur rimanendo bloccata in casa.
Attraverso una serie di stratagemmi sempre più creativi, ero riuscita a contattare i miei genitori e a chiedere loro spiegazioni di cosa stesse accadendo.
Ne era risultata una conversazione piuttosto interessante, durante la quale era stato evidente quanto loro cercassero di arrampicarsi sugli specchi e facendo i vaghi e contraddicendosi mentre cercavano di rispondere alle mie domande sempre più incalzanti.
Così avevo deciso di scappare.
Avevo aspettato che fossero le quattro del mattino e poi avevo tentato la fuga, arrivando fino al cancelletto esterno, solo che lì ero stata riacciuffata da mio zio e nella collutazione che ne era seguita, mi ero beccata un pesante ceffone in piena faccia.
Da lì il labbro rotto e sanguinante.
C'era da dire che anche lui aveva la mano fasciata a causa di un morso ben assestato.
-Sei una ragazzina viziata che non merita tutta la fatica che facciamo.
Commenta in tono velenoso.
-Io non ho chiesto niente, per quel che mi riguarda potete smettere immediatamente.
Ribatto nello stesso modo.
Inspira bruscamente e fa un passo in avanti, sembra deciso a colpirmi di nuovo, in segno di sfida alzo il viso e lo guardo dritto in faccia.
Alle mie spalle si sente un miagolio basso, sembra quasi un ringhio di avvertimento.
Zio Lauro sposta la sua attenzione verso il basso.
Gatto è in piedi, accanto a me, che lo fissa facendo oscillare lentamente la coda.
Dalla tromba delle scale si sente un fracasso di vetri infranti e il pianto di un bambino.
-D'accordo, ma se per le sette non sei in casa dei nonni...
E senza aspettare una mia risposta, si gira e se ne va.
Chiudo la porta alle sue spalle e mi passo una mano tra i capelli.
Era tutto sempre più strano, non riuscivo a trovare una spiegazione logica a niente di quello che stava succedendo.
Mi siedo per terra e mi accendo una sigaretta.
Guardo le volute di fumo azzurrognolo salire nell'aria, Gatto mi si è seduto difronte, la sua espressione è immota, come se stesse contemplando l'eternità.
-Tu non me la conti giusta, ho sempre l'impressione che stai tramando alle mie spalle...ma grazie per avermi salvata da quell'imbecille tutto muscoli e niente cervello.
Gatto solleva leggermente il labbro superiore, mettendo in mostra i canini bianchi e appuntiti.
Un'inquietante versione felina di sorriso.
Rabbrividisco violentemente, questo gatto capiva quello che gli veniva detto, non era realistico pensare che mi stessi immaginando tutto da giorni.
...
-Adla, non farlo per te, fallo per i nonni e per i più piccoli. Stanno aspettando la tua festa da giorni e se non scendi ci sarà un'altra litigata e rovinerai la serata a tutti quanti.
Gli adulti avevano mandato Matilda e Nicolas come emissari di pace, gioia e serenità.
Sono le sette meno un quarto e io mi sono barricata in camera mia con una scorta d'acqua e tre pacchetti di sigarette, posso resistere qui dentro per giorni.
-Adla, ti prego...
La voce di Nicolas è roca al di là della porta, la cosa mi allarma, che avesse pianto?
-Nic, stai bene?
-Starei meglio se ci aprissi e ci facessi entrare.
Sbuffo e apro la porta.
-Sei passato dalla parte del nemico.
Lo accuso, ma lui non reagisce, si limita a scuotere la testa e a far ciondolare le braccia lungo i fianchi.
Ha un aspetto spaventoso, il viso è segnato, sembra che abbia perso peso e ha le spalle ingobbite, come se non ce la facesse a stare dritto.
-Tutto bene?
Gli chiedo allungando una mano per toccarlo.
Nicolas si sposta di lato, evitandomi e va a sedersi sul letto senza guardarmi in faccia.
-Adla, festeggiamo il tuo compleanno alle sette e venti di sera da sempre, per piacere, indossa qualcosa di carino e scendi.
Matilda parla col solito tono spiccio che usa per i fratelli più piccoli, segno che pensa io sia irragionevole e infantile.
La ignoro.
Nicolas sospira ed è un sospiro doloroso, lento, che mi colpisce al cuore come una pugnalata.
-Matilda, così non otterrai niente da lei, dici di essere intelligente e devo essere io a spiegarti queste cose?
Mio cugino non risponde mai male alla sorella maggiore, mai, ma lei ammutolisce, si gira e se ne va.
-Adla, è una cosa che non si può evitare, per piacere scendi.
Lo dice con un senso di ineluttabilità che mi sconcerta.
Mi siedo accanto a lui e mi meraviglio nel trovare le nostre spalle alla stessa altezza, possibile che non mi fossi accorta di quanto fosse cresciuto negli ultimi mesi?
-Nic, tuo padre ti ha picchiato?
Mi esce così, di getto, senza che possa rifletterci sopra.
Lui inizia a ridere, una risata che lo scuote e che risulta essere incredibilmente matura per un ragazzino di dodici anni.
-No, non mi ha torto un capello, ma verrà a prendere te se non scendi e vorrei evitarmi di assistere alla scena.
Rimaniamo in silenzio per qualche minuto, non c'è molto di cui parlare, l'aria è tetra e pesante, fuori il sole è scomparso dietro nuvole gonfie di pioggia.
-Non capisco cosa stia succedendo.
Dico a bassa voce.
-Lo so.
Mi risponde allo stesso modo.
-Tu lo sai, invece.
Si guarda le mani che stropicciano l'orlo della camicia che indossa.
-Sì.
Gli poso la testa sulla spalla e gli circondo la vita con un braccio.
Sta soffrendo e io non posso aiutarlo, in questo momento non sono in grado di aiutare nemmeno me stessa.
-Non fa niente se non me lo puoi dire, mi basta che tu non ci stia tanto male.
Lui posa delicatamente la testa sulla mia, vedo le nostre nagome specchiarsi nel legno lucido del'armadio che abbiamo difronte.
Sembriamo due adulti, due innamorati che si sussurrano segreti.
-Tu vuoi che scenda?
Gli chiedo piano, lo sento trattenere il respiro per poi lasciarlo andare di colpo.
-No, ma devi farlo e preferisco essere io ad accompagnarti.
Rifletto sulle sue parole.
-Mi tolgo la tuta e andiamo, ok?
-Grazie.
Mormora alzandosi e uscendo dalla stanza.
...
Il salone è addobbato a festa, la nonna ha sistemato vasi di fiori freschi ovunque e i miei familiari sono vestiti con eleganza, come se dovessero andare a teatro a vedere l'opera.
L'atmosfera è di attesa, sembrano tutti in ansia per qualcosa, nessuno tocca il cibo disposto sulla tavola imbandita, ma continuano a lanciare rapide occhiate alla pendola di legno antico che si trova vicino alla televisione spenta.
Le sette e un quarto.
Da noi c'è l'assurda tradizione di festeggiare i compleanni all'ora esatta in cui siamo venuti al mondo, il mio è sempre stato piuttosto semplice da organizzare, Martina e Gioele, invece sono nati in piena notte l'una e all'alba l'altro, molto più complicato.
La nonna e il nonno mi vengono vicini e mi abbracciano stretta, sento la nonna piangere e singhiozzare e anche il nonno ha gli occhi lucidi dall'emozione.
-Si può sapere cosa vi prende?
Ho la voce soffocata dalla loro stretta mortale.
-Niente, bambina mia, niente... è solo che aspettavamo questo giorno da tanto tempo e in realtà speravamo non sarebbe mai arrivato.
Me li scrollo da dosso e li guardo senza capire.
Qualcuno suona al campanello, zio Lidio e zio Lauro si muovo insieme per andare ad aprire, tutti gli altri si spostano in silenzio ai margini della stanza.
Rimaniamo al centro solo io e i nonni.
Sono le sette e diciotto.
-Ti vogliamo bene, te ne abbiamo sempre voluto e te ne vorremo per sempre.
Mi sussurra la nonna nell'orecchio, poi mi lascia andare e si mette con il nonno di lato, come tutti gli altri.
-Che sta succe...
Ma non faccio in tempo a finire la domanda, perché dal corridoio arrivano gli zii che scortano un gruppo di uomini vestiti di nero.
Mi sembra di vivere un momento surreale.
Sono un gruppo di cinque individui, quattro sono disposti a formare un perimetro attorno al quinto, che ha gli occhi fissi su di me come se fossi un premio per cui brama nel profondo.
È più grande di me di qualche anno, ha i capelli neri e i tratti del viso affilati, aquilini, gli occhi sono di un azzurro chiaro, limpido...sembrano avere il... il colore del ghiaccio.
Il cuore inizia a battermi così forte che mi sento ondeggiare.
Lui si distacca dal gruppo e mi si ferma difronte, respira profondamente e chiude gli occhi per un istante, poi li riapre e mi sorride con gentilezza.
È molto bello, ma in un modo particolare.
Malinconico.
-Buon compleanno Adlartok, questo è il mio regalo per te.
Abbasso gli occhi e vedo che mi sta porgendo un'orchidea nera.
La pendola inizia a suonare.
Sono le sette e venti, ho appena compiuto diciasette anni.
...
Immobile guardo la sua mano tendermi quel delicato fiore nero, non riesco a convincermi a prenderlo dalle sue mani.
-Il mio nome è Chogan e ti attendevo da molto, molto tempo.
Il ragazzo mi sorride ancora e alza lentamente una mano, come se volesse toccarmi il viso con una carezza.
Io ho gli occhi spalancati, non so cosa fare, i suoi occhi sono ipnotici e non mi lasciano andare.
Non appena il dorso della sua mano sfiora la mia guancia destra, un'improvvisa ondata di calore si sprigiona da un punto iprecisato appena sotto il mio ombellico, trasformandosi in una lingua di fioco rosso, che gli avvolge il braccio e lo fa allontanare di scatto.
Le quattro guardie corrono da lui che le blocca con una parola in una lingua che non conosco.
Dopo un primo istante di sorpresa, adesso è fermo e si guarda il braccio che brucia, come se non appartenesse a lui.
Presa dal panico volgo lo sguardo disperato alla mia famiglia, la nonna si tiene de braccia strette intorno al corpo, il nonno le sta accanto e sembra la sorregga, tutti gli altri sono impietriti.
Solo Nicolas cerca di divincolarsi per correre da me, ma il padre lo trattiene da dietro con una morsa ferrea.
Chogan scuote la testa come se stesse valutando i danni della monellata di qualche bambino dispettoso e schiocca le dita con l'altra mano.
Le fiamme scompaiono e il suo braccio torna normale, solo il vestito elegante è irrimediabilmente danneggiato.
-Immagino che a questo punto si possa parlare di tradimento, giusto Necomata?
Io sono ancora ammutolita, non so cosa fare, non so nemmeno cosa ho visto, non riesco a capire niente di quanto stia succedendo e in più il mio stomaco brucia dall'interno in un modo strano, non doloroso, ma che mi divora, che mi porta via le forze e mi fa ansimare.
Una risata bassa e vibrante riempie la stanza.
Un movimento alle mie spalle e poi due braccia che mi circondano e mi sorreggono un istante prima che le mie ginocchia cedano e io cada rovinosamente per terra.
-Lei è mia.
Quella voce.
Quelle parole.
Un campanello nella mia testa si mette a trillare insistentemente ed è come se qualcosa traboccasse dalla mia memoria e rompesse gli argini.
Un orribile incubo che diventa realtà.
Mi divincolo da quelle braccia, ma la presa è troppo forte e io finisco col farmi solo del male.
Giro la testa e mi ritrovo a fissare due terrificanti occhi del colore dell'oro antico, con la pupilla verticale stretta in una fessura sottile e lunghe ciglia nere a contornarlo e renderlo più profondo e inquietante.
-Lasciami...
Sussurro mentre inizio a vedere delle macchioline nere che mi invadono lo sguardo.
-Lasciami andare...tu...tu mi hai ...mentre dormivo...
Il proprietario degli occhi mi sorride in maniera crudele e al contempo indecente.
-Sono d'accordo che i mezzi che ho usato si possano definire poco ortodossi, ma nella prima parte non mi sembra tu ti sia lamentanta, anzi...
Quell'allusione al sesso orale che mi aveva praticato mentre ero in uno stato di semi incoscienza mi fa salire il sangue al cervello.
Con una spinta riesco a liberarmi dalla sua presa, solo che non avevo tenuto conto del fatto che le gambe non mi avrebbero sorretta, così finisco per terra.
-Cosa le hai fatto? Tu e la tua stirpe siete dei perversi voltafaccia. Aspetta che si sappia quello che hai fatto... vedrai... non rispettando il patto, hai appena dichiarato guerra a tutte le Famiglie Reali.
Chogan si china su di me, attento a non toccarmi, il suo viso esprime una profonda disperazione.
-Ti ha fatto del male? Ti ha violata in qualche modo?
Prova ad accarezzarmi i capelli, ma non appena si avvicina io provo nuovamente quel calore allo stomaco che mi fa piegare su me stessa e lui è costretto ad allontanare nuovamente la mano.
-Mi ha morsa... dormivo e lui mi ha... morsa...
Riesco a spiegare tra un sussulto e l'altro.
-Troveremo una soluzione, non ti preoccupare.
Chogan si alza e torna a fronteggiare Necomata, che non ha perso la sua espressione crudere e pericolosa.
-Hai marchiato una Sposa che non era destinata a te. Tuo fratello ha avuto la sua occasione cinquecento anni fa e ha combinato il disastro che tutti sappiamo. Il turno della vostra Famiglia è passato, lei è nata per me, per essere mia.
Necomata emette un suono che sembra quello di un grosso felino che soffia contro un nemico, un istante prima di attaccarlo.
Io inizio a sentirmi leggermente meglio, quel tanto da riuscire a focalizzare l'attenzione su questi due estranei che parlano di me come fossi un oggetto e non una persona.
Necomata è alto, ha la struttura del corpo slanciata e possente, ha corti e spettinati capelli neri che si arricciano delicatamente intorno la mascella squadrata, le labbra carnose sono leggermente sollevate e mostrano dei canini bianchi e appuntiti.
Nonostante il suo aspetto sia spettacolare già così, sono le orecchie triangolari e pelose che gli spuntano ai lati speriori della testa ad attirare tutta l'attenzione.
-Gatto...
Lui si gira e sorride divertito.
-Te ne sei accorta, Adla.
-E tu... tu sei il corvo... voi siete... che cosa siete?
Chogan si passa una mano tra i capelli e scuote la testa incredulo, poi si rivolge a zio Lauro.
-Perché gli è stato permesso di avvicinare la Sposa e di marchiarla, prima del suo diciassettesimo compleanno?
-Non ho potuto impedirlo, sono stati tolti i sigilli di protezione a lei e alla casa senza che me ne accorgessi.
Sigilli? Io ero stata sigillata?
-Mi pare evidente che come Custode, tu non valga niente. Non è nemmeno più vergine.
Commenta Chogan con una traccia di disprezzo nella voce.
-Chiedo perdono, se per la mia mancanza lei la ritiene una giusta punizione, prenda pure la mia vita.
Zio Lauro si inginocchia e abbassa la testa, nella stanza c'è talmente tanto silenzio che posso sentire il respiro affannoso di mia zia e dei suoi figli.
No, no... di cosa stanno parlando, no.
Mi alzo a fatica e mi paro davanti a quell'odioso stupido uomo.
-Non uccidere mio zio.
Chogan mi guarda stupefatto, Necomata sbuffa divertito.
-L'hanno cresciuta come un'umana, non sa niente del nostro mondo, nè di quale sia il suo destino. Crede che il Custode sia suo zio e che i suoi genitori siano i suoi nonni.
Cala il gelo.
-Cosa?
Mi giro verso mio nonno che scuote lentamente la testa.
-Mi dispiace Adla, abbiamo cercato di agire per il meglio.
La nonna non smette di piangere, scuote la testa anche lei, i miei cugini non hanno il coraggio di guardarmi negli occhi.
Solo Nicolas incontra il mio sguardo, ci fissiamo a lungo, poi lui fa un impercettibile gesto di assenso e io capisco che tutto quello che sta succedendo è vero.
Sento il pianto salirmi nella gola, ma lo ricaccio indietro con la forza di volontà dettata dalla rabbia.
-Tutto questo è davvero assurdo! Come pensate che possa comprendere quali siano i suoi doveri se non è stata cresciuta correttamente, se non è stata educata al nostro mondo... Di questo mi preoccuperò dopo, ora rispondete alla mia domanda. Perché la mia Sposa è stata marchiata da un'altro? Chi è il traditore?
Lauro si alza e con una brusca spinta, mi sposta di lato, lo guardo socchiudendo gli occhi, indispettita.
Nicolas lo guarda supplicante, non ricevendo attenzione, mi prende per il polso e mi tira verso di sè, stringendomi forte.
Mi aggrappo a lui, il mondo mi sta crollando intorno, ma lui è lì, solido, familiare, rassicurante.
-Allora?
Chogan sembra sempre più furioso, mentre Necomata si siede su di una poltrona con fare non curante.
-Sono stata io.
La nonna si fa avanti, con un braccio blocca il marito che cerca di dire qualcosa per fermarla.
-Sono stata io a togliere i sigilli alla casa e a mia figlia, prima che il tempo giungesse. Sono stata io a stringere un patto con la Terza Famiglia Reale e a rompere lo schema. Sono stata io.
Di tutto il discorso, le uniche parole che filtrano nella mia mente sconvolta sono: "mia figlia".
-Perché?
La domanda che sembra si stiano facendo tutti quanti, tranne me e il ragazzo gatto, è stata espressa ad alta voce da zio Lidio.
Che forse dovrei iniziare a chiamare Lidio e basta.
-Perché mio marito stava morendo in un letto dello stesso ospedale in cui ero ricoverata io per il parto. Ricordi l'incidente stradale che ci fu la notte della nascita di Adlartok? Le condizioni di Alfio erano disperate, la sua ripresa fu un miracolo.
La nonna si ferma, guarda suo marito che sembra essere completamente svuotato di ogni forza, poi riprende a raccontare.
-In realtà, lui non si riprese mai, morì quella notte.
Necomata si schiarisce la voce per attirare l'attenzione di Chogan.
-Un'opportunità magnifica per me, non trovi? Ridare la vita al padre della Sposa in cambio di un piccolo favore. Togliere i sigilli di protezione poco prima del suo diciassettesimo compleanno, per marchiarla, per farla mia, per sottrarla a te.
E il suo sorriso è così osceno e crudele da nausearmi.
-Traditrice!
E per come è pronunciata la parola, sembra che Lauro le stia sputando addosso.
La scena va a rallentatore, lo vedo voltarsi e lanciarsi contro di lei, contemporaneamente Nicolas mi lascia per cercare di intercettare il padre e fermare il suo attacco, il mio cervello lavora a una velocità mai sperimentata prima e all'improvviso so cosa fare.
Sfruttando i muscoli delle gambe che sono allenati a correre e saltare, faccio un salto flettendo le ginocchia e atterrando su di lei.
Sento l'aria spostata dai corpi di Lauro e Nicolas che mi investe il viso, poi delle ombre si muovono veloci e io sospiro di sollievo.
Le guardie del corvo si sono schierate intorno a me e alla nonna, proteggendoci dalla lotta che sta avvenendo tra quelli che ho sempre considerato essere mio zio e mio cugino.
Nonostante tutta la situazione fosse un mirabile casino, avevo capito che la mia incolumità era importante, così avevo deciso di sfruttarla per proteggere la mia anziana nonna madre.
-Papà basta! È la madre della Sposa! Cosa pensi di fare?
-Togliti dai piedi o giuro che ti riduco così male da farti desiderare di non essere mai nato. È una traditrice, ha infangato il nome dei Custodi, diventeremo la barzelletta delle Famiglie Reali e ci distruggeranno. Devo ucciderla per lavare il nostro onore nel sangue.
Quell'uomo è pazzo, ho sempre sospettato che non ci stesse del tutto con la testa, ma non pensavo fino a questi livelli.
Mollo la nonna e mi infilo tra due degli energumenti che mi si parano davanti, immediatamente sento il calore sprigionarsi dal marchio che mi è stato imposto da quel mostro dagli occhi gialli e vedo il fuoco rosso attaccare i vestiti delle guardie che si scansano bruscamente.
Allungo le braccia e circondo i fianchi di Nicolas, tirandolo verso di me con tutte le forze che ho, lui barcolla e perde l'equilibrio.
Il nostro movimento fa si che il pugno che Lauro aveva destinato a Nic, cambi sogetto e punti direttamente alla mia faccia.
Chiudo gli occhi aspettando di sentire l'impatto e il dolore.
Niente.
Li riapro e vedo il dorso della mano di qualcuno a mezzo millimetro dalla mia faccia.
Alzo la testa per vedere meglio... è Necomata.
Sento un gemito soffocato e il rumore sgradevole di qualcuno che sta soffocando e cerca disperatamente di respirare dell'aria, così mi sposto e mi raddrizzo e scopro che mentre Necomata ha bloccato il pugno con la propria mano, un istante prima che mi colpisse, Chogan ha afferrato Lauro per il collo e lo sta facendo penzolare a qualche centimetro dal terreno.
Sento Nicolas tremare.
-Non ucciderlo!
Urlo più per Nicolas che per me, in effetti ora come ora non sono sicura che mi importerebbe davvero se lui morisse o meno.
Chogan mi guarda e mi sorride dolcemente.
-Sei gentile e delicata come un fiore, mia Sposa. Se per te è importante, non toglierò la vita a questo inutile sacco di carne che non è stato in grado di proteggerti.
Necomata ride, lo sento mormorare "gentile e delicata come un fiore" tra una risata e l'altra.
Gli lancio un'occhiataccia e poi torno a ignorarlo.
-Senti, io non so cosa stia succedendo e più parlate più sento la testa che minaccia di scoppiarmi. Voglio delle spiegazioni, ma prima desidero che qui, adesso, tutti promettiate che nessuno ucciderà nessun'altro. Chiaro?
Chogan lascia andare Lauro aprendo semplicemente la mano, l'uomo crolla per terra tossendo e ansimando, sua moglie e i suoi figli si lanciano su di lui, Nicolas rimane accanto a me, voltando le spalle a quella scena.
Il nonno sta aiutando la nonna ad alzarsi e le guardie sono riuscite a spegnersi i vestiti, sembra che tutti si stiano calmando.
-Chi è il prossimo che assumerà l'incarico di Guardiano Capo?
Chiede Chogan guardando Lidio che è pallido, ma sembra essere padrone di se stesso.
-Se Sua Altezza è d'accordo, prenderò io il posto di mio fratello.
-No.
Nicolas si è fatto avanti, ha un'espressione che non gli ho mai visto prima.
Non lo riconosco nemmeno.
-La tradizione vuole che sia il primo figlio maschio a ereditare il titolo e i doveri che esso comporta. Spetta a me.
Chogan lo guarda in silenzio, lo sta osservando, lo sta valutando.
-È un tuo diritto reclamare il posto che ti spetta, ma sei molto giovane... sai a cosa andrai in contro, vero?
Chiede Chogan.
Necomata fa un elegante gesto con la mano e scuote la testa, le orecchie da gatto si muovono cambiando direzione, per cogliere qualsiasi suono.
-Ha fatto la sua scelta da tempo, il processo è già iniziato, non vedi?
Nicolas si lascia esaminare, immobile, gli sguardi di tutti i presenti nella stanza sono puntati su di lui.
-D'accordo.
Chogan è tornato a rivolgere la sua attenzione su di me.
Faccio un passo per allontanarmi da lui e da Necomata, non voglio che mi guardino, non voglio che mi parlino, voglio che vadano via dalla mia casa e che tutto torni come prima.
-Nic...
Lo chiamo prendendolo per la camicia, non so a chi rivolgermi, mi sento tradita da tutti, i miei nonni che in realtà sono i miei genitori, i miei zii che in realtà sono degli estranei, i miei cugini che non so nemmeno chi siano e le due persone che ho sempre considerato essere la mia mamma e il mio papà che non...
Nicolas mi stringe con delicatezza il polso e lo lascia andare, poi mi sussurra nell'orecchio così piano che faccio fatica a capire cosa sta dicendo.
-Mostra la tua tenacia Adlartok, non lasciare che ti vedano spaventata.
Ci guardiamo negli occhi, li abbiamo entrambi marrone scuro, del colore della polvere del caffè tostato.
Ho sempre pensato che questo fosse il segno della nostra parentela, ma adesso mi accorgo che i suoi hanno delle venature verde scuro e che in alcuni punti hanno delle macchiette più luminose, castano chiaro.
Non gli avevo mai guardato gli occhi così attentamente... forse perché non erano mai stati alla stessa altezza dei miei.
Era cresciuto, Nicolas era cresciuto in altezza dal giorno prima.
Mi distanzio da lui per poterlo guardare meglio.
Il suo corpo era cambiato, il suo viso era più...
Basta.
È arrivato il momento di capire.
-Credo mi dobbiate delle spiegazioni.
Dico guardando i miei neo scoperti genitori e ignorando volutamente tutti gli altri.
-Sì... dobbiamo...
-E voi ve ne dovete andare, tutti quanti. Non voglio nessuno che non sia della mia famiglia, qui.
Un rapido scambio di sguardi da parte dei miei falsi zii e cugini, poi l'attenzione di tutti si sposta su Nicolas che mi pare essere appena diventato il nuovo capo della baracca.
-Andiamo.
Ordina lui facendo ben attenzione a rimanere distante dal padre che è sorretto da Matilda e dalla moglie Lucia e sembra avere ancora dei problemi nel riuscire a respirare.
-Tu puoi rimanere.
Dico in fretta per paura che pensi che lo stia cacciando via.
-No Alda, questa è una questione che devi affrontare da sola, mi troverai al secondo piano, quando avrai bisogno di me.
Li guardo andare via, poi mi giro e noto con disappunto che i due ragazzi animali e le quattro guardie non si sono mossi.
-Andatevene via.
Ribadisco, sentendo la rabbia che mi monta dentro così velocemente che ho paura di non saperla controllare.
-Sono assolutamente d'accordo con te, Chogan, tu e i tuoi ragazzi potete andare.
Necomata si sposta dietro i miei genitori e incrocia le braccia sul petto, ha un'espressione di immensa soddisfazione.
-Non osare, gatto, lei appartiene a me di diritto. Non ti lascerò tramutarla e fare di lei la tua schiava. È la mia Sposa, legata a me dal momento stesso in cui è stata concepita. Lasciala andare, sciogli il sigillo, e io dimenticherò il torto subito.
Fusa.
Necomata sta facendo le fusa.
Lo guardo allarmata, è un suono forte, vibrante, che riempie lo spazio così tanto da renderlo saturo.
-Il sigillo rimane lì dov'è, lei non sarà mai tua, partorirà la mia discendenza e renderà la mia Famiglia forte come un tempo. Lo sporco trucchetto che avete usato l'altra volta non ci ha distrutti, ci ha solo rallentati. Puoi andare a riferire al consiglio che siamo pronti alla guerra se sarà necessario, ma che la Sposa è mia e diventerà una di noi.
Mi rendevo perfettamente conto che avevo parecchio su cui obiettare, tipo che non ero di nessuno perché appartenevo a me stessa e che non avrei sposato o partorito i figli di un mostro e così via... ma vederli discutere era troppo affascinante e potevo trattenermi ancora un pochino dall'urlargli contro.
-Questo significa guerra, Necomata. Guerra e morte.
Il sorriso del ragazzo gatto è così affilato da farmi gelare il sangue nelle vene.
-Guerra e morte, Chogan.
-Mia Sposa, perdonami, ma devo andare. Promettimi che non berrai il suo sangue e che aspetterai il mio ritorno.
La mia faccia deve dimostrare tutto il disgusto che provo per quello che ha detto, perché Chogan ride dolcemente e mi raggiunge, piegandosi su di me, fino quasi a sfiorarmi e respirando il mio odore.
Averlo così vicino mi confonde, il mio corpo reagisce in maniera strana, facendomi rabbrividire violentemente.
-Io e te siamo destinati a stare insieme, adesso promettimi che non berrai il suo sangue.
Le sue parole mi ammaliano, ho gli occhi incatenati nei suoi che hanno il colore del ghiaccio, ma in cui si agitano emozioni forti, violente.
-Te... te lo prometto.
Balbetto in preda a uno struggimento così intenso da spaventarmi.
-Grazie, mia amata. Domani tornerò con una soluzione ai nostri problemi e finalmente potremo stare insieme.
Con un inchino, Chogan lascia la stanza insieme alle sue guardie.
Mi volto e osservo le tre persone che ho davanti, il mio nonno pare, la mia nonna madre e un mostro mezzo gatto e mezzo umano che mi ha regalato l'orgasmo più intenso della mia vita e che dopo mi ha morsa, marchiata e rubata a quello che sembra essere il mio vero marito.
Chissà perché ho l'impressione che la parte difficile della giornata debba ancora arrivare.

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