two: guilt

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Colpa.

sostantivo;

il fatto di aver commesso uno specifico crimine o essere implicato in esso.

Sono passati tre giorni dal mio tentato suicidio, tre giorni da quando il misterioso ragazzo mi ha bloccata e mi ha dato un pizzico di speranza che tutto andrà perfettamente bene. So che niente andrà bene in questa lunga corsa, ma è carino fingere per un po'.

Ora sono totalmente assalita dai sensi di colpa. Colpa perché se fossi rimasta su quelle rotaie, il ragazzo che stava guardando mi avrebbe vista morire esattamente davanti ai suoi occhi, e nemmeno io, la ragazza alla quale non importa degli altri, vorrebbe mai vedere qualcuno morire. Sarebbe troppo.

Mi sento in colpa anche perché avrei abbandonato il mio migliore amico, Peaches, la mia gattina. Non penso riuscirei a vivere in pace con me stessa se la lasciassi a vivere in balia del nulla.

Anche se non mi importa delle persone, questo non vuol dire che non mi importi del mio gatto. Lei è, dopo tutto, l'unico essere vivente che è rimasto con me dopo tutto.

Attualmente, sono seduta su una panchina di un parco vicino a casa. Il parco è calmo e rilassante, e ora come ora è il posto migliore per me, ho davvero bisogno di riflettere.

Il ragazzo che mi ha salvata, che non mi ha nemmeno detto il suo nome, persiste nel rimanere nei miei pensieri.

I suoi capelli arruffati, i brillanti occhi verdi, le forti braccia che mi hanno stretta per ore, mentre piangevo. Il ragazzo misterioso continua a tornarmi in mente, e lo odio. Odio pensare ad altre persone.

Non dovrei pensare a lui, mai. Mi ha impedito di andarmene da questo mondo orribile; potrei averlo ringraziato, ma ora, l'oscurità del mondo mi sta avvolgendo velocemente e ho paura che se non faccio qualcosa, diventerò uno zombie più di quanto non lo sia ora.

"Un penny per i tuoi pensieri?"

Salto leggermente al suono della voce roca, e mi giro trovando lo stesso ragazzo di tre giorni fa.

"Cosa ci fai qui?"

"Cosa intendi, bellissima?"

"Cosa fai qui, in questo parco, dove sono io?"

Questa è la seconda volta che appare casualmente. Se dovesse succedere ancora forse dovrei sporgere denuncia, perché sono sicura che sarebbe considerata un azione di stalking da parte sua.

"Che? Non sono autorizzato a fare una passeggiata nel parco vicino al palazzo dove vivo? È un crimine?"

"Cosa?"

"Cosa..."

"Vivi qui vicino?"

"Si."

"Oh..."

Guardo in basso, sentendo improvvisamente l'urgenza di andarmene, non voglio più stare con lui. Voglio essere sola. Mi alzo per andarmene, ma come sempre qualcosa -o qualcuno- mi ferma.

"Non so ancora il tuo nome, dolcezza."

"Mi chiamo Porsche."

Sorride. Il suo sorriso è così carino, i denti sono perfettamente dritti e bianchi, come può qualcuno avere dei denti del genere?

"Harry. Il mio nome è Harry."

"Non che te l'abbia mai chiesto... Harry." Sorrido, un piccolo, piccolo sorriso; pur sempre un sorriso. La faccia di Harry sembra sconvolta, ma lo ignoro e vado verso la mia piccola casa.

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