10. Fingere

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"Ci sono storie, diceva, che quando le racconti si consumano.
Altre storie, invece, consumano te."
Chuck Palahniuk – Cavie

Le prime "sedute" con Popper sono sempre state sfiancanti.
Raccontare la propria vita a chi si professa il messia salvatore della tua psiche non è facile, soprattutto perché sei consapevole di essere sotto attento esame. Gli psicologi, gli psichiatri, i medici, sono tutti pronti a dirti di parlare senza problemi, che nessuno ti giudica e che sei libero di omettere i particolari che ti turbano: mentono con spudorata sicurezza, consapevoli che in realtà tu gli racconterai ogni cosa, ogni bugia detta a cinque anni, ogni sega fatta a 13, ogni canna fumata a 18. Io sono sempre stata più furba di quello che Popper si aspettava, per quello le sedute mi portavano sempre ad essere tanto esausta da finire a letto con il mal di testa. Aveva iniziato la terapia dicendo: "Sappi che qui nessuno ti giudica, nessuno ti corregge e nessuno pensa tu sia pazza. Siamo qui solo per capire il tuo punto di vista ed aiutarti ad affrontare le paure.".
Palle, una montagna di palle.
Ma non mi sono mai fatta problemi davanti alla sua falsità: dato che lui si sentiva autorizzato a mentire, mentivo e mento tutt'ora pure io.
Ero molto attenta a selezionare le parole, alle frasi che mi uscivano da bocca e alle considerazioni che facevo: ogni seduta era studiata nei minimi dettagli, una specie di copione recitato all'insaputa di uno dei due interlocutori.
E con questo riuscivo a giustificare ogni mia azione, ogni mia crisi, ogni mio rifiuto. Col passare dei mesi e con la certificazione dei miei problemi nero su bianco, questo programmare non è più stato necessario, ed infatti ho smesso di farlo. 
Ora sono libera di parlare a ruota libera, sapendo che lui crederà a più o meno tutto ciò che dirò: a quello servivano le palle. A vedere se lui mi avrebbe creduta davanti ad ogni rivelazione.
E non sarei in cura, se la risposta non fosse stata positiva.
La seduta di ieri si è rivelata però la più pesante tra quelle avute finora: le immagini dell'esperienza con Xavier e i pensieri continuavano a sovrapporsi, mandandomi in tilt il cervello e impedendomi di riflettere con lucidità.
Sarà per quello che terminata la chiamata, ho lanciato il telefono contro il muro della mia camera, riducendolo in pezzi.
E subito dopo, senza nemmeno sentirmi in colpa, ho chiuso gli occhi e ho dormito per 13 ore di fila.

Guardare il soffitto nero non è mai stato tanto gratificante come in questo momento. Vedo la rappresentazione grafica del mio cervello diritto sopra la mia testa: il nero, il vuoto più totale, l'assoluto nulla. L'insieme dei pensieri, delle frustrazioni, se non liberati e sfogati conducono a questo: il nulla totale. E mi viene da ridere se tento di collocare questo tra i tanti pensieri attutiti dal Valium.
Il delirare continuo della mia mente mi conduce solo ad uno stato di riflessione continua, che sfocia poi in queste scenette: me, completamente fatta, che cerco di dormire per non pensare, riducendomi poi a fissare il soffitto, immaginando di essere rinchiusa nella mia testa, nel vuoto assoluto.
Il pensare fa male, i pensieri sono dolorosi e ricordare è un atto di autolesionismo.
Ricordare.
Che cosa sciocca ed infantile. Inutile, oserei dire.
Se potessi, cancellerei ogni singolo ricordo del mio passato, cancellerei quelli con me, mamma e Britt al parco giochi, cancellerei quelli di mio padre che ci porta in piscina, cancellerei tutto. Tutto.
Cosa più inutile dei ricordi non credo esista.
Perché? Perché devo conservare tutti quei momenti felici? Perché non posso eliminarli tutti e riavere Brittany?
Sapete che vuol dire perdere la propria metà? Io l'ho vista nascere, l'ho vista muovere il primo passo, dire il mio nome per primo davanti allo sguardo stupito di mia madre, ho visto il suo primo dentino cadere e l'ho accompagnata a scuola per la prima volta.
Il primo giorno, tornata a casa, mi corse incontro con un enorme sorriso, porgendomi un disegno: c'ero io, con la testa più grande del corpo ed i capelli simili a spaghetti, che tenevo la mano ad una piccola principessa dal vestito rosa e la conducevo ad un castello di caramelle.
"Che bello Britt! L'hai fatto oggi?"chiesi davanti alla sua espressione curiosa. Mi guardava con gli occhi sgranati e pieni di speranza ed orgoglio, un sorriso a trentadue denti, pronta a ricevere i complimenti tanto sperati. Britt adorava i complimenti, non faceva che trovare modi su modi per sentirne ogni giorno di più. Ed io ero sempre molto felice di inventarmi strani giochi per fargliene il più possibile.
"Echo, quando diventerai grande, voglio andare qui. Con te." Disse puntando il minuscolo dito sulla porta a forma di biscotto del castello.
"Certo piccola. Ma prima devi diventare abbastanza grande anche tu!" Spiegai.
Io ho visto tutte le prime esperienze di Britt, ogni singola stupida cosa. Perché non sono riuscita a vederla crescere? Perché diamine mi è stata portata via così presto?
Ora ditemi, che cazzo serve ricordare, se ti porta a questo?
A cosa? Soffrire. Soffrire da sola nella tua camera al buio, riflettendo su quanto sarebbe bello poter riabbracciare anche solo per due secondi tua sorella.
O riflettere su quanto vorresti essere morta al posto suo.
O esserlo insieme a lei.

Sento l'irrefrenabile impulso di vedere mia sorella.
Ne ho bisogno, come un drogato ha bisogno della cocaina, come un vampiro del sangue. Ne ho l'estrema necessità.
Mia madre entra in camera veloce, sorridendo nervosa e porgendomi un bicchiere d'acqua con tre piccole pastiglie. Prendo tutto e la ringrazio, con un enorme e fintissimo sorriso, consapevole che ciò che sto per fare non le piacerà. Non piacerà a Popper. Non piacerà a nessuno, se non a me.
Aspetto che esca dalla stanza e scosto le coperte, bevo tutto il bicchiere d'acqua e metto le pastiglie nella tasca della felpa.
Ti prego Britt, ho bisogno di te.
Mi alzo piano ed infilo le pantofole.
Esco dalla camera e guardo la porta che ho davanti a me, dall'altra parte del corridoio.
Mi sembra quasi di sentirla ridere, mentre gioca con la sua bambola preferita o mentre fabbrica strani dolci con la pasta da modellare colorata. Appoggio una mano sulla maniglia di metallo, rabbrividendo al contatto col materiale freddo.
Sospiro, immaginando il disastro che avrà fatto con le perline e i brillantini sul tappeto appena pulito.
Apro la porta e sussurro piano il nome di mia sorella, nella speranza che non si sia nascosta fra le tende bianche con le mani sporche di tempera.
Faccio un passo all'interno della stanza e mi guardo attorno: c'è un enorme tappeto rosa e bianco al centro esatto della camera, un piccolo letto a baldacchino con svariati cuscini dalle buffe forme, una piccola tenda a forma di castello ed un bellissimo lampadario a forma di luna. Britt ha lasciato il tavolino col servizio da the in mezzo ai piedi, ci sono alcuni tubetti di colore aperti per terra, la tempera ha raggiunto uno degli angoli del tappeto, macchiandolo appena: mamma la sgriderà di certo.
"Hey Britt, non mi va di giocare, vieni fuori. Mamma si arrabbierà, guarda, hai macchiato il tappeto." Dico inginocchiandomi accanto alla macchia. "Britt?" Sussurro ancora.
Mi alzo piano e scosto le tende: non si è nascosta qui.
Guardo il punto vuoto, in una sorta di trance, quasi aspettandomi di vederla comparire da un momento all'altro.
"Brittany, adesso mi sto arrabbiando. Non è il momento di giocare." Dico con voce agitata.
"Britt?" Ripeto.
Ma mia sorella non c'è. Mi muovo verso il letto, dove la sua bambola preferita mi fissa, sorridente.
Sembra quasi stia aspettando qualcuno, ma di certo quel qualcuno non sono io.
Lei aspetta Britt. Ma perché? Non la lascia mai a casa, la porta sempre con sé.
Le immagini iniziano a colmarmi la mente, le informazioni mi invadono, come se le avessi trattenute momentaneamente e poi si fossero liberate.
Raccolgo la sua bambola e la fisso.
"Smettila di ridere, lei non c'è più." le sussurro "Smettila."
Ma una bambola è pur sempre una bambola e la sua espressione rimarrà sempre la stessa.
Continua a fissarmi col suo sorriso finto.
Ed io raggiungo il limite.



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Ecco, finalmente faccio uno spazio autrice anche qui.
So che questa storia può risultare molto strana per alcuni di voi, perciò mi dispiace se ho deluso le vostre aspettative.

Spero vi possa piacere comunque, e che possiate amare Echo, Xav e tutti gli altri personaggi almeno tanto quanto li amo io.

Detto questo, fatemi sapere che ne pensate.

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-When The Lines Overlap.Where stories live. Discover now