Capitolo 1

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L'oscurità era tutta intorno a me. Tutto quel silenzio assordante rimbombava nella testa. Eccetto per una voce. Era bassa e fredda, raschiava la gola di chi la possedeva. Un boato e davanti ai miei occhi apparve un ombra generata dalla stessa oscurità che mi teneva prigioniera. Quella figura mi osservava immobile, senza batter ciglio; due biglie rosse mi scrutavano divertite, quando in una mano si materializzò una frusta. Passo dopo passo, tagliava le distanze fra di noi. La paura si faceva spazio nel mio petto ma il mio corpo non si muoveva neanche a pregarlo. Era vicino, troppo vicino. Il suo fiato sul collo mi faceva venire i brividi di disgusto.
"Ora stai buona e fammi giocare" sibilò prima di fendere l'aria con la frusta.

Mi svegliai terrorizzata, la fronte impregnata di sudore. Il petto si alzava e abbassava a ritmi frenetici, la testa mi bruciava e le mani mi facevano male. Le osservai attentamente, poi volsi lo sguardo sul materasso e mi accorsi di aver lasciato dei segno evidenti delle mie unghie.

Mi ripresi e cercai di calmarmi ripetendo a me stessa che avevo solo fatto un altro brutto sogno. Lentamente mi alzai ma al primo passo che compii mi cedettero le gambe e dovetti appoggiarmi al comodino per non cadere. Avevo un fastidioso formicolio lungo i nervi che mi procurava una momentanea perdita del tatto, ma tutto si risolse non appena scossi gli arti, così potei riprendere il mio corso e dirigermi al bagno.

Mi sciacquai il viso ed alzai gli occhi verso lo specchio di fronte a me: i lunghi capelli corvini incorniciavano il mio piccolo viso color porcellana e risaltavano quegli occhi azzurri che mi veniva sempre detto, appartenessero a mio padre. Ma oggi quell'azzurro lo trovai spento, scurito da un alone di stanchezza che nell'ultimo periodo non voleva abbandonare il mio corpo. Afferrai il pettine sul bordo del lavandino e spazzolai le ciocche una ad una, cercando di fare attenzione a non tirare troppo nel tentativo di sciogliere i nodi. Tornata in camera cominciai a preparare tutto l'occorrente:  sfilai dall'armadio rovere una grande valigia rossa dove misi una buona parte dei miei vestiti. In una più piccola, nascosta sotto al letto, travasai tutti i prodotti per la cura del corpo che tenevo custoditi con premura. Indossai qualcosa di comodo e varcai per l'ultima volta la soglia della mia camera.

A passo svelto e con le valigie in mano, scesi le scale dirigendomi verso l'ingresso, quando un odoro mi fede voltare verso la cucina.
<Camille, vieni ho preparato la colazione.> esclamò mia madre portando sul tavolo qualche pancake al miele.
<Buongiorno mamma.> La salutai dandole un bacio sulla guancia.
<Buongiorno Camille, siediti e comincia a mangiare.> 

Mentre mandavo giù un boccone, il mio sguardo non poté non finire sulla sedia vuota in cima alla tavola e delle parole mi tornarono alla mente. Parole che credevo di aver dimenticato, ma che purtroppo si rivelarono come incise in una parte molto profonda di me stessa:
"Bambina mia, per loro sei una minaccia. Sei il frutto di un amore che nessuno mai aveva visto prima d'ora. Il Paradiso e l'Inferno non dovrebbero mai entrare in contatto, eppure eccoti qui, mia piccola innocente...Nephilim..."

Scossi la testa sperando di scacciare anche questo ricordo, per quanto sembri impresso nella mia memoria. Socchiusi gli occhi e conclusi che si stava facendo tardi, da come mia madre si accingeva in maniera frenetica a liberare la tavola dal pasto appena terminato. Sistemato il casino di pensieri che mi frullavano nella testa, percorsi la cucina e tornai al punto di partenza: l'ingresso. Portai la mano alla maniglia e la porta si aprì emettendo un rumoroso cigolio. L'aria degli Inferi era calda e forte, capace di uccidere chiunque non fosse di questo mondo. Mio padre non aveva mai visitato questi luoghi scuri, ma in fondo quando mai si era visto un Angelo camminare qui?

Mi risvegliai dai miei pensieri. Ancora. Questa mattina il mio cervello non voleva proprio carburare e sarei caduta nuovamente nei ricordi e nelle parole tristi della mia esistenza se non fosse per mia madre, che con un gesto pulito della mano fece apparire un immenso portale dalle sfumature viola e lilla. Il suo guardiano era un enorme gatto grigio, dalla coda più scura rispetto al resto del corpo e con degli artigli aguzzi con cui ero sicura potesse tranquillamente tagliarmi in due se solo lo avesse desiderato.
<Sgr. Gatto Mammone*> chiamò mia madre il felino.
<Loren, mia vecchia amica, era da tanto che non mi chiamavi. Sapresti dirmi chi è questa ragazza? Sento nel suo sangue un'odore insolito.> enunciò il felino avvicinando il viso minaccioso ed io mi feci piccola piccola.
< Lei è Camille, mia figlia. Erede di un grosso fardello quale l'avere me come madre ed un Angelo come padre... E te ne prego, non giudicare per ciò che è stato, io lo amavo.>
<Capisco mia cara, non temere. Quel che tu sai e che la ragazza presto imparerà sulla sua pelle è che in questo Mondo crudele, governato da perbenisti che fingono di mantenere ordine e pace sulla terra e i secondi regni, non la tratteranno con clemenza. Detto ciò, Loren e Camille, desiderate oltrepassare questo portale per raggiungere quale luogo di preciso?>
<Abbiamo bisogno di andare sulla terra, precisamente a Brognir.>
Il gatto sorrise compiaciuto, dandoci il permesso per attraversare lo squarcio ed accompagnandoci in quel luogo che presto sarebbe stata come una seconda casa.


*Nel mondo delle fiabe il gatto mammone è un mostro immaginario della tradizione popolare , con forma di un enorme gatto dall'aspetto terrificante

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