Capitolo 3.

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15 sett 2015

Newt si era ormai arreso all'idea che le giornate di sole non si sarebbero più fatte vive e chi poteva dargli torto?

Dopo tre giorni di pioggia continua, un po' di grandine qua e là, il davanzale della finestra completamente bagnato e il pavimento della stanza cosparso di bacinelle e secchi per contenere l'acqua che si faceva spazio attraverso le travi di legno del soffitto, sembra comunque che finalmente il tempo gli avesse concesso una tregua.

In tre giorni non era accaduto molto.

Possiamo anche ommettere l'accesa discussione tra il nostro protagonista e Thomas, seguita da due giorni di completo silenzio fra i due.

Adesso è meglio informare il lettore della particolare data e dell'ora in cui il racconto ha inizio.

È il quindici settembre. Ore sette e venti. Nubi che ricoprono il cielo, ma niente pioggia.

Newt stava proprio fissando quella moltitudine di nuvole sparse quando il pullman si fermò ad un metro da lui.

Sobbalzò e si girò notando la figura annoiata del conducente al volante che lo fissava con un misto di disprezzo e fretta. Newt sospirò e dopo aver salito i cinque gradini si guardò in giro cercando un posto libero. Trovò due sedili vuoti e con passo lento si andò a sedere ignorando il ragazzino che piagnucolava in prima fila e i bulli che lo prendevano in giro.

Perché doveva prendere il pullman quando Thomas poteva dargli benissimo un passaggio?

-Il pivello non ci sale nella mia macchina.- Aveva gridato questo uscendo di casa e sbattendo la porta.

Così Newt è stato costretto a prendere un mezzo pubblico per andare a scuola.

Non che la cosa gli dispiacesse! Diciamocelo, gli ha dato il modo per restare un po' da solo con le sue adorate cuffiette e la musica. In realtà ha passato gli ultimi giorni così.

Venti minuti più tardi, dopo nove formate chiese al conducente quale sarebbe stata la prossima.

"Stephen King Street." Rispose questo con tono pacato senza staccare gli occhi dall'asfalto.

Newt alzò il volume della musica e rimase in piedi aspettando che il pullman si fermasse. Nel giro di cinque minuti si trovava sul marciapiede in compagnia di due ragazze più o meno della sua età. Entrambe con gli zaini in spalla e l'uniforme scolastica indosso si diressero derso la traversa poco distante. Il biondino le seguì a pochi metri di distanza, non conoscendo esattamente la strada.

Nella sua mente si susseguivano diversi pensieri che lo tennero impegnati fino all'arrivo davanti al gigantesco cancello in ferro battuto di fronte all'edificio di tre piani che si ereggeva coprendo la visuale. Le pareti bianche erano in alcuni posti ricoperte di dipinti o graffiti in forma artistica che davano una certa visibilità al complesso.

Rimase bloccato mentre lo sguardo gli correva sui volti dei ragazzi presenti nel cortile. Alcuni alti, altri magri, bassi, ragazzine dai capelli tinti e maschiacci con piercing. Tutti diversi, ma fin troppo simili. Il loro abbigliamento era davvero monotono: camicie bianche e cravatte amarena per tutti, la ragazze con la gonna e i ragazzi con pantaloni anch'essi dalla stessa sfumatura della cravatta.

Istintivamente il suo sguardo si abbassò verso il proprio copro. Il suo abbigliamento non differiva per nulla da quello degli altri e lo faceva sentire un po' a disagio.

Alzò le spalle e riprese a camminare meccanicamente verso l'entrata. Dopo aver vagato un po' nell'atrio, si ritrovò nella segreteria dove chiese indicazioni. Fu mandato al secondo piano, lato montagna, aula 36.

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