28 - Conosco vite di cui potrei fare a meno

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Conosco delle vite di cui potrei fare a meno

Senza dolore alcuno –

Altre – un istante d'assenza delle quali

Sarebbe un'eternità –

Queste ultime – scarse di numero –

Non sono nemmeno due –

Le prime – un orizzonte di moscerini

Facilmente supererebbero.

(Emily Dickinson)

Era mattina, la luce filtrava piano dalle persiane che non avevano abbassato del tutto. Ethan, che era disteso di fianco alle spalle di Lydie, ne approfittò per tracciare con un dito un sentiero tutto suo, che dall'orecchio della ragazza scendeva giù, lungo il collo, ruotava attorno a un seno, lo risaliva come se dovesse scalare una montagna e conquistarne la vetta e poi di nuovo giù, in una lenta e inesorabile discesa fino ai fianchi. Poi il dito divenne mano, aperta, tesa a coprire quanta più pelle fosse possibile, per sentire lui, il piccolo Etienne, che tutte le mattine calciava e premeva per farsi spazio. Diede un piccolo colpetto col dito sulla pancia di Lydie e il calcetto non si fece attendere. Sorrise, divertito, nascondendosi dietro la spalla di lei, neanche avesse compiuto una marachella o forse sì, l'aveva compiuta, svegliandola. La desiderava così tanto, eppure ultimamente aveva paura di far l'amore, perché la vedeva in affanno e temeva che lo sforzo fisico e l'eccitazione non le facessero più molto bene. La ragazza si stiracchiò un po', si accarezzò il pancione, sorrise nell'avvertire un calcetto proprio nel punto in cui aveva posato la mano, poi si protese indietro, per sentire il corpo di Ethan dietro di lei.

«Non mi vuoi più» bisbigliò piano, «è da un po' che ti limiti solo ad accarezzarmi. Qualcosa non va?»

Il ragazzo chiuse gli occhi e fece scivolare la mano, che era rimasta appoggiata alla base del pancione di Lydie, fin sulle cosce, per poi scivolarne in mezzo e farsi largo, in cerca del suo luogo perfetto, il punto in cui sogno e realtà si toccavano. Il luogo che Ethan considerava il suo porto sicuro, la sua vera casa, il luogo che voleva fosse accessibile solo a lui, che solo lui potesse toccare.

L'accarezzò a lungo, gemendo appena e spingendo il bacino contro il sedere di Lydie, per farle capire che lui la desiderava sempre, come un pazzo, come se l'unica cosa davvero importante, che lo facesse sentire felice e umano, era divenire un tutt'uno con il corpo di lei. Avrebbe fatto volentieri a cambio con Etienne; Ethan voleva rifugiarsi dentro Lydie e restare lì per sempre, nutrendosi di ciò che nutriva lei, godendo di ciò che faceva godere lei, soffrendo di ciò che faceva soffrire lei e morendo di ciò che stava facendo morire lei.

Lei riuscì a leggere i suoi pensieri, la sua fronte nascosta dalla pesante frangetta fu solcata da una profonda ruga, «Ethan... amore» non riuscì a finire la frase che il campanello di casa cominciò a squillare con furia. Ethan la guardò sorpreso, chi poteva mai essere a quell'ora del mattino. Si voltò a guardare l'orologio, nove e mezza. Quella domenica mattina aspettava il curatore dei suoi beni, che avrebbe dovuto consegnargli le chiavi dell'appartamento dei suoi genitori, solo che avevano appuntamento alle dieci e mezza, non poteva essere in anticipo di un'ora e soprattutto perché suonava alla porta di casa e non al citofono? Come aveva fatto a entrare nel portone? Forse era James.

Si alzò di scatto, s'infilò un pantalone di una tuta e una t-shirt e corse alla porta, guardò allo spioncino e rimase interdetto un po'. Si allontanò lentamente dallo spioncino, mentre il campanello suonava ancora con insistenza.

Sorrise divertito e aprì piano la porta.

«Ciao figlio di puttana» disse ridacchiando, «ti pare l'ora adatta a rompere i coglioni?»

Bruciare ||Harry Styles ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora