Terzo giorno di battaglia

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All'alba del terzo giorno i Focesi a guardia del sentiero sopra le Termopili, sentendo il fruscio delle foglie di quercia, si accorsero che una nutrita colonna persiana stava aggirando le Termopili; perciò balzarono su e rivestirono frettolosamente le armi. Idarne rimase sbigottito nel vederli, in quanto era sicuro che non si sarebbe imbattuto nel minimo ostacolo, e temette di aver incontrato degli Spartiati: fu però informato da Efialte che non lo erano, così dispose i suoi soldati per la battaglia. Ma i Focesi, del pari colti di sorpresa e credendo che quei militari fossero venuti ad attaccare proprio loro, si ritirarono su per la montagna preparandosi a resistere all'attacco. Invece, i Persiani guidati da Efialte si limitarono a scagliare una fitta raffica di frecce poiché Idarne non intendeva perdere tempo con loro e in fretta condusse i suoi uomini giù dalla montagna per portare a termine l'accerchiamento dei Greci al passo delle Termopili.
Appreso da un messaggero (secondo Diodoro un persiano chiamato Tirrastiade, nativo di Cuma d'Eubea) che i Focesi non avevano protetto le sue retrovie, Leonida convocò un consiglio di guerra all'alba. Alcuni comandanti greci optarono per la ritirata ma Leonida decise di rimanere in difesa del passo con gli Spartiati. Molti dei contingenti ellenici scelsero di ritirarsi senza attendere ordini o furono congedati da Leonida (Erodoto ammette che esiste qualche dubbio sulla veridicità di questo gesto). Un contingente di 700 Tespiesi guidati dal loro generale Demofilo si rifiutò di andarsene con gli altri Greci e rimase a combattere. Erano inoltre presenti 400 Tebani e probabilmente anche gli Iloti che avevano accompagnato gli Spartiati. Le azioni di Leonida sono state oggetto di diverse interpretazioni. Sebbene sia da tutti accettato che gli Spartiati stessero obbedendo alle leggi di Sparta, contrarie alla ritirata, sembra che sia stata proprio la ritirata di massa dalle Termopili a dare origine a tale norma. È anche possibile che, ricordando le parole dell'oracolo, Leonida si fosse impegnato a sacrificare la sua vita per salvare Sparta; poiché però la profezia era indirizzata solo a lui, non si spiega il motivo per cui impegnò altri 1 500 uomini in una lotta dall'esito scontato. L'ipotesi più probabile è che Leonida scelse di formare una retroguardia in modo che gli altri contingenti greci potessero allontanarsi senza pericoli: se l'intero corpo di truppe greche avesse ripiegato contemporaneamente, la cavalleria persiana avrebbe potuto inseguirlo senza difficoltà, mentre se fosse restato sul passo, ormai indifendibile, i Persiani l'avrebbero massacrato per intero. Coprendo la ritirata e continuando a bloccare il passo Leonida avrebbe potuto salvare più di 3 000 uomini, da utilizzare in guerra in un secondo momento. Anche riguardo alla permanenza dei Tebani sono sorti dibattiti: Erodoto suggerisce che furono portati alla battaglia come ostaggi per saggiare le reali intenzioni di Tebe, pesantemente sospettata di parteggiare per i Persiani; secondo Erodoto i Tebani restarono contro voglia e loro malgrado e solo perché Leonida li tratteneva, ma come Plutarco sottolineò tempo dopo, se fossero stati veri ostaggi non si comprende il motivo per cui non fossero stati mandati indietro con gli altri Greci. Probabilmente si trattava di quella parte dei Tebani che, a differenza della maggioranza dei concittadini, erano avversi al dominio persiano e che, forse, si erano uniti di loro spontanea volontà a Leonida decidendo di combattere fino all'ultimo perché in caso di vittoria persiana non avrebbero potuto tornare a Tebe. I Tespiesi avevano rifiutato di sottomettersi a Serse e temevano che la loro città sarebbe stata rasa al suolo una volta che i Persiani avessero conquistato la Beozia. Tuttavia ciò non basta da solo a spiegare la mancata ritirata del generale Demofilo e dei suoi uomini: infatti il resto dei cittadini fu fatto allontanare da Tespie prima dell'arrivo dei Persiani. Sembra piuttosto che i Tespiesi abbiano scelto volontariamente di rimanere come atto di sacrificio, tanto più sorprendente in quanto il loro contingente riuniva ogni singolo oplita che la città era in grado di offrire, ma questo pare essere stato un tratto caratteristico dei Tespiesi, che in almeno altre due successive occasioni combatterono una strenua lotta fino alla morte.
All'alba Serse attese alcune libagioni, fermandosi per dare agli uomini di Idarne il tempo di scendere dalla montagna, e poi mandò avanti le sue forze. Un esercito persiano composto da diecimila uomini tra fanteria leggera e cavalleria caricò il fronte della falange. I greci questa volta lasciarono il muro e uscirono dal passo per scontrarsi con i Persiani nella parte più ampia della gola, cercando di ucciderne il maggior numero possibile; combatterono con le lance fino a che non furono tutte spezzate e poi passarono alle spade corte xiphoi. Erodoto riporta che in questa mischia morirono due fratelli di Serse, Abrocome e Iperante. Nei primi minuti dell'assalto era perito anche Leonida e per il suo cadavere furono ingaggiati scontri furiosi che terminarono quando i Greci riuscirono a recuperarlo. Quando i Greci si accorsero dell'arrivo degli uomini di Idarne, la battaglia mutò aspetto: i Greci riguadagnarono di corsa la strettoia del passo, superarono il muro e andarono a prendere posizione sulla collina. La manovra lasciò indietro i Tebani che "allontanatisi dai loro compagni, e con le mani alzate, avanzarono verso i barbari" i quali li presero prigionieri dopo averne uccisi alcuni mentre si avvicinavano e alla maggior parte, per ordine del Gran Re, venne poi impresso il marchio reale, a cominciare dal loro comandante Leonziade.

Una dura prova di valoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora